Uiguri
TUWAEDANIYA MERINGING/AFP/Getty Images - 14 dicembre 2017
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La storia dell'etnia Uiguri, i Rohingya della Cina

Schedatura di massa con impronte digitali, scansione dell'iride e prelievo del DNA, in quella che è chiama la "prigione all'aria aperta" della Cina

Formalmente vivono in "Scuole di istruzione professionale", in realtà si tratta di veri campi di rieducazione nei quali la minoranza Uigura viene "addestrata" contro l'estremismo. È giunta forte e chiara la denuncia di Human Right Watch, che ha paragonato la sorte dell'etnia che vive nella regione cinese dello Xingjian a quella dei Rohingya.

Pechino ha dato il via, secondo l'organismo internazionale, a una schedatura di massa con impronte digitali, scansione dell'iride e prelievo del DNA, per tutti gli uomini, le donne e persino i bambini della minoranza etnica musulmana. Si tratta di 11 mila persone di età tra gli 11 e i 65 anni che vivono in quella che viene chiamata la "prigione all'aria aperta".

Chi sono gli Uiguri

Gli Uiguri sono una minoranza etnica che vive nella regione a nord della Cina, al confine con ben 8 Paesi: Afghanistan, Kirghizistan, Kazakistan, Mongolia, Russia, India, Pakistan e Tagikistan. La maggior parte è di religione musulmana e l'Islam gioca un ruolo importante nella vita di questa popolazione. Parlano una lingua affine al turco e si dedicano principalmente ad agricoltura e commercio: la città di Kashgar è uno snodo fondamentale lungo la Via della Seta.

Pur avendo vissuto periodi di relativa autonomia, lo Xingjiang dipende dal governo centrale cinese, che mal tollera la voglia di indipendenza della regione: Pechino ha represso diverse manifestazioni e gli attivisti sono costretti a muoversi in clandestinità.

La schedatura di massa

I prelievi del sangue che ora Pechino a obbligatoriamente previsto serviranno a formare un database generale che, secondo Human Right Watch avrà lo scopo di "sorveglianza di persone per motivi etnici, religiosi, ideologici o altri ambiti che riguardano la libertà di espressione". Il censimento, già iniziato, avviene tramite controlli medici che ufficialmente sono gratuiti e su base volontaria, ma non è chiaro se la popolazione sia realmente informata sulla destinazione dei dati, a scopi di polizia.

Al momento è in corso una campagna massiccia per spingere ad aderire ai check up. "La schedatura obbligatoria di tutta la popolazione con raccolta di dati biometrici, incluso il DNA, è una grave violazione delle norme internazionali sui diritti umani. È ancora più odiosa, poi, se camuffata da un presunto programma di salute gratuito" ha denunciato Sophia Richardson, direttrice della divisione cinese di Human Right Watch.

La "prigione a cielo aperto"

Secondo il Servizio Uiguro di Radio Free Asia (RFA), la popolazione che abita nello Xingjian vive in una prigione a cielo aperto, veri campi di rieducazione come quello nella contea di Aktu: "Circa mille persone sono detenute qui ed è previsto che ricevano un'istruzione politica" fa sapere RFA.

Questi luoghi sono chiamati formalmente "Scuole di istruzione professionale", ma in precedenza erano noti come "Scuole di formazione socialista" e prima ancora come "Scuole di addestramento contro l'estremismo".

Ce ne sarebbero almeno cinque e si tratterebbe di campi chiusi, nei quali persone iscritte su presunte "liste nere" verrebbero divise in gruppi e confinate giorno e notte, ricevendo "un'educazione politica e ideologica", secondo la testimonianza di alcuni poliziotti in servizio nei campi.

Gli Uiguri come i Rohingya

La fede religiosa rappresenta certamente il motivo più evidente di contrasto tra le autorità centrali e la comunità degli Uiguri, accusati di essere "estremisti", proprio come i Rohingya, in fuga a migliaia dal Myanmar verso il Bangladesh. La Cina, dunque, pur condannando (debolmente) le persecuzioni della minoranza islamica nel paese guidato dal premio Nobel per la Pace Aung San Suu Kyi, all'interno del proprio territorio segue una politica non molto differente.

La crescita economica della zona, poi, ha contribuito a vedere con sospetto quell'area del Paese che continua ad attrarre anche giovani cinesi altamente qualificati, che lì trovano opportunità di lavoro ben retribuito, allontanandoli da Pechino.

Secondo le denuncie di Human Right Watch gli attacchi cinesi contro gli Uiguri avvengono con regolarità e sono messi in atto con incursioni di polizia nelle abitazioni della popolazione locale nello Xingjian, restrizioni delle pratiche islamiche e limitazioni che riguardano la cultura della minoranza etnica, compresa la possibilità di parlare la lingua uigura o di vedere alcuni filmati ritenuti "pericolosi".

Una situazione che dunque ricorda da vicino quella dei Rohingya, pur senza eguagliarne i numeri: un rapporto di Medici Senza Frontiere ha stimato in 6.700 i Rohingya morti in un solo mese, tra il 25 agosto e il 24 settembre scorsi, a causa della violenza in Myanmar. Tra le vittime anche 730 bambini al di sotto dei 5 anni.

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Eleonora Lorusso