Anche Barghouti chiama alla rivolta i palestinesi
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Anche Barghouti chiama alla rivolta i palestinesi

Accoltellamenti, scontri, omicidi: sta per scoppiare una nuova Intifada nei Territori occupati?

Mettiamo in fila i fatti accaduti in Israele e nei Territori nelle ultime 24-48 ore. Uno dopo l'altro, nella loro logica e implacabile consecuenzialità. Fatti che, singolarmente presi, potrebbero  significare poco, ma che in realtà definiscono uno stato di agitazione, presso la comunità palestinese, che potrebbe sfociare, secondo gli analisti, in una nuova sollevazione popolare. Annunciata, come sempre, qualche settimana fa, con i primi scontri avvenuti nella spianata delle Moschee, a Gerusalemme, a seguito della visita provocatoria del sindaco della città e dei parlamentari di ultradestra della Knesset, della chiusura d'imperio dei luoghi di preghiera, dell'omicidio di un rabbino radicale  (Yehuda Glick) il cui sogno era riconsegnare tutta la città vecchia di Gerusalemme agli israeliani. 

Martedì 11 novembre, durante gli scontri scoppiati in un campo profughi a nord di Hebron, un ragazzo palestinese di 22 anni è stato ucciso dopo essere stato colpito al petto da un proiettile di un militare israeliano. Ne sono seguiti scontri e lanci di pietre contro i tank e gli uomini di Tsahal.  Una donna israeliana è stata sepolta dopo essere stata accoltellata a morte da un palestinese in un insediamento ebraico in Cisgiordania. Un soldato israeliano è stato accoltellato nel centro di Tel Aviv da un attivista palestinese. Sono numeri esigui, se raffrontati alle oltre 2000 vittime della guerra di Gaza. E potrebbero anche essere singoli episodi isolati.

Il fatto però che un uomo come Marwan Barghouti, il popolarissimo leader palestinese che sta scontando cinque ergastoli nelle carceri israeliane, si sia rifatto vivo sostenendo che è «giunto il momento della resistenza armata» la dice lunga su quanto potrebbe accadere nelle prossime settimane. Mai attaccato apertamente da Hamas, laico e nazionalista, Barghouti non è solo il più amato dei capi palestinesi. E nemmeno, solo, un leader terrorista che con i suoi Tanzim ha contribuito a dirigere e diffondere la seconda Intifada degli uomini-bomba. È anche un uomo che in passato si è speso, come pochi, per far digerire alla sua gente gli accordi di Oslo del 1993, tra Rabin e Arafat. La sua parola ha un peso presso i giovani palestinesi. Non è un incendiario a prescindere. E non lo è nemmeno il meno popolare Mohammed Dahlan, già numero uno dell'Anp a Gaza, considerato per parecchio tempo anche dagli americani come uno dei leader più affidabili della galassia palestinese, quando avverte dell'inevitabilità di una nuova Intifada, i cui contorni però sono tutti da capire.

Che la situazione potrebbe sfuggire di mano a tutti gli attori sulla scena non appare soltanto evidente, sul fronte israeliano, dalle dichiarazioni bellicose del ministro della Difesa israeliano e di Bibi Netanyahu, ma anche dalla decisione di rafforzare l'occupazione militare della West Bank, nelle ultime settimane. Il motivo è chiaro: gli israeliani sono i primi a sapere che le precedenti Intifada sono iniziate proprio così, con scontri di piazza diffusi e attacchi isolati in Cisgiordania, e che solo dopo sono arrivate le organizzazioni palestinesi che cercano di intestarsi la rivolta. A quel punto l'incendio è inevitabile.

L'ora di una terza Intifada?

HAZEM BADER/AFP/Getty Images
Lancio di pietre a Gerusalemme dopo la chiusura della Spianata delle Moschee

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