Energia rinnovabile, prodotti più trasparenti con l'etichetta
Economia

Energia rinnovabile, prodotti più trasparenti con l'etichetta

Sondaggio Vestas: i consumatori disposti a pagare di più i prodotti certificati "wind made", ma in Italia siamo indietro

Quale doveva essere la grande rivoluzione della green economy?
Creare industria e posti di lavoro, rendere il mondo più verde e cambiare costumi e consumi in ottica più ecologica. Ce l’ha fatta? Non ancora. Per svilupparsi continua ad aver bisogno di incentivi e il meccanismo su cui si basa la compravendita di quelli che ancora per poco (cambierà la dicitura ma non del tutto la sostanza) si chiamano i certificati verdi impedisce di lanciare prodotti con un’etichetta green trasparente e coerente. Certo, non mancano in Italia aziende come Valfrutta o Acqua Lete o Ducati che, acquistando energia rinnovabile, hanno comunicato ai consumatori la scelta green, ma si tratta purtroppo di casi isolati.

Che fare, allora?
Interessante a questo proposito è ricordare il progetto lanciato dalla danese Vestas, azienda leader nella produzione di energia eolica che in Italia (Puglia) occupa oltre 700 persone: si chiama “wind made ” e si tratta di un marchio green che le aziende possono sfruttare sul mercato. La sua caratteristica più interessante è la volontà di rendere trasparente il quantitativo di energia eolica effettivamente utilizzato, che non dovrà essere inferiore al 25 per cento e certificato rispettando parametri precisi.

Partito in sordina un paio di anni fa, ora l’etichetta “wind made” è pronta ad affacciarsi sul mercato ed è aperta a tutti. Clienti e non. Competitor di Vestas e non.
“Cominceranno Ikea e Lego” racconta Morteen Albaek, senior vicepresident di Vestas  “La prima si è lanciato nell’iniziativa comprando una centrale eolica in grado di soddisfare le sue necessità, la Lego invece, non potendo acquistare tanta energia eolica quanta ne servirebbe per la sua vasta produzione, lancerà a breve una linea “wind made” dedicata ai più piccini”. In Italia invece, ancora nessuna adesione. Ed è un vero peccato, perché i consumatori più accorti sarebbero disposti anche a pagare un prezzo leggermente più alto pur di contribuire alla tutela ambientale.

“Tutte le ricerche convergono” spiega Simone Togni, presidente di Anev, l’associazione nazionale energia del vento “La quota di italiani disposta ad accettare un prezzo un po’ più caro per acquistare un prodotto realizzato utilizzando energie rinnovabili è in costante aumento. Per questo noi sosteniamo il progetto di Vestas e auspichiamo che possa essere sviluppato anche in Italia. Anche se, purtroppo, i meccanismi attuali di incentivazione ancora non lo consentono”.
Il punto è il seguente. “Il produttore di energia deve scegliere: o l’incentivo o la rivendita dei certificati versi. A conti fatti il primo è sempre più conveniente, quindi l’incentivo va per la maggiore”.

Si può fare qualcosa? Probabilmente si deve, per creare e confrontarsi con il mercato in modo trasparente. “Ci sono tre modi per ottenere l’etichetta wind made: con un investimento diretto in una centrale eolica, avviando una società con un partner che possa avviare un impianto o acquistare certificati verdi” continua Albaek. L’economicità dell’operazione dipenderà da Paese a Paese, a seconda delle tariffe applicate ma sembra andare nella direzione dei desiderata dei consumatori internazionali.

Per messo di due recenti sondaggi internazionali (31 Paesi, industrie leader e 24mila persone) Vestas ha infatti stilato una classifica delle aziende top che utilizzano più e meglio l’ energia rinnovabile, registrando anche la sensibilità sempre più accentuata dei consumatori verso i cambiamenti climatici e i temi ambientali (seconda ragione di preoccupazione dopo la crisi finanziaria). Settanta su cento prediligono prodotti realizzati con energia rinnovabile e quasi la metà (47%) degli intervistati si è detta disposta a pagare anche il 10 per cento in più se il prodotto è “wind made”. Il mercato c’é. Adesso deve diventare trasparente.

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Antonella Bersani

Amo la buona cucina, l’amore, il mirto, la danza, Milan Kundera, Pirandello e Calvino. Attendo un nuovo rinascimento italiano e intanto leggo, viaggio e scrivo: per Panorama, per Style e la Gazzetta dello Sport. Qui ho curato una rubrica dedicata al risparmio. E se si può scrivere sulla "rosea" senza sapere nulla di calcio a zona, tennis o Formula 1, allora – mi dico – tutto si può fare. Non è un caso allora se la mia rubrica su Panorama.it si ispira proprio al "voler fare", convinta che l’agire debba sempre venire prima del dire. Siamo in tanti in Italia a pensarla così: uomini, imprenditori, artisti e lavoratori. Al suo interno parlo di economia e imprese. Di storie pronte a ricordarci che, tra una pizza e un mandolino, un poeta un santo e un navigatore e i soliti luoghi comuni, restiamo comunque il secondo Paese manifatturiero d’Europa (Sì, ovvio, dietro alla Germania). Foto di Paolo Liaci

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