Cittadinanza all'estero: facile ma costoso
SAM YEH/AFP/Getty Images
Economia

Cittadinanza all'estero: facile ma costoso

Ecco come comprare visti permanenti in Inghilterra, Australia, Nuova Zelanda, Canada e Stati Uniti sta diventando un business

L'Occidente è in crisi. O meglio, ha un disperato bisogno di trovare nuove risorse, e ha iniziato a farlo in maniera creativa. Vale a dire concedendo a potenziali investitori una corsia preferenziale per ottenere un visto permanente e, in alcuni casi, persino una nuova cittadinanza.

L'Inghilterra, ad esempio, ha suggerito di mettere all'asta un centinaio di cittadinanze all'anno, chiedendo in cambio agli aspiranti inglesi di investire in una delle tante attività del paese almeno una quota base di cinque milioni di sterline (8,4 milioni di dollari). In realtà, è già dal 1994 che chi si presenta a Londra con l'intenzione di investire uno, cinque o dieci milioni di sterline riceve "in cambio" un visto permanente dopo aver vissuto, rispettivamente, cinque, tre o due anni nel paese. Quindi insomma, più si investe prima si ottiene il diritto a rimanere nel Regno Unito per sempre. Ma per diventare inglesi, oggi, i soldi non bastano. 

Tutto questo però potrebbe cambiare se il paese, come molti sperano, decidesse di mettere all'asta una quota fissa di cittadinanze all'anno. Da vendere ai milionari più generosi, per risanare le finanze dello stato e offrire, allo stesso tempo, nuovi servizi ai "normali" cittadini. 

A dire il vero l'Inghilterra non è l'unico paese interessato a trasformare la concessione di visti permanenti e cittadinanze in un business anti-crisi. Ma il problema è che, come sempre, quando gli introiti di breve periodo sembrano semplici, le controindicazioni di medio e lungo periodo tendono a essere sottostimate.

Chi si schiera a favore dello snellimento delle procedure di attribuzione di cittadinanza lo fa essenzialmente per due motivi: fare cassa e regolamentare (in maniera più conveniente per tutti) ciò che, di fatto, sta già succedendo. Il boom di trasferimenti di famiglie e capitali, soprattutto di origini cinesi e russe, che si è registrato negli ultimi tempi non ha precedenti. E alla fuga dei tycoon emergenti dai loro paesi di origine l'Occidente ha risposto creando una serie di corsie preferenziali per fare in modo che tutti questi soldi confluiscano nel loro paese anziché in un altro. Australia, Nuova Zelanda, Canada, Stati Uniti e Gran Bretagna hanno rapidamente creato nuove regole per evitare di ritrovarsi tagliati fuori da questa corsa tanto redditizia, e gli stranieri lo hanno apprezzato.

In Australia, ad esempio, esiste un programma per investitori che concede il visto a chi si impegna a trasferire un minimo di cinque milioni di dollari. In Nuova Zelanda la residenza è garantita per chi investe in un massimo di quattro anni 1,3 milioni di dollari nel paese, ma grazie alla categoria "Investimento Plus" anche chi non parla inglese e non ha alcun tipo di esperienza lavorativa è benvenuto. Ma deve pagare addirittura 8,5 milioni di dollari. Il Canada offre un visto permanente a chi si impegna a prestare al governo 720mila dollari (a interessi zero) nell'arco di cinque anni. Gli Stati Uniti hanno un programma noto come EB-5, noto anche come "visto per gli investitori", che offre un visto a chi si dichiara disposto a trasferire 500mila dollari negli Stati Uniti, da utilizzare per rilanciare un'attività che dia lavoro a cittadini statunitensi, con un progetto che duri almeno cinque anni. 

Eppure, se il Canada ha già deciso di fare un passo indietro deve esserci qualcosa che non funziona in questa compravendita di visti e cittadinanze. Ottawa ha scelto di rinunciare a questo sistema di visti quando ha scoperto che gli uffici che ne gestiscono le pratiche erano stati letteralmente inondati dalle domande provenienti dalla Cina popolare. E anche negli Usa è scoppiata una polemica sui "visti per gli investitori" che, a detta di molti, non creerebbero abbastanza opportunità per i "veri" cittadini.

Il risultato? La Nuova Zelanda ha ricevuto 31.900 domande di visto in più. Scoprendo che i ricchi, cinesi soprattutto, sono pronti a sborsare qualsiasi cifra pur di trovare un'alternativa al loro paese. Probabilmente è stato proprio questo a spingere il Regno Unito a considerare l'ipotesi di mettere le cittadinanze all'asta: chi è disposto a pagare un visto permanente in Nuova Zelanda 8,5 milioni di dollari non avrebbe motivo per rinunciare ad acquistare, per la stessa cifra, un passaporto britannico. E il problema è che, anche a causa della crisi, i paesi interessati a vendere permessi di soggiornino aumenteranno sempre di più. Ma cosa potrebbe succedere nel lungo periodo? Quando immobili, attività commerciali, servizi, banche e chissà che altro finiranno in mani straniere (o cinesi?), anche se i governi saranno un po' meno indebitati, siamo davvero sicuri che staranno meglio? Purtroppo rispondere a questa domanda oggi è impossibile, ma è un dato di fatto che questa corsa agli investitori emergenti fa gola a troppi per essere frenata.

 

I più letti

avatar-icon

Claudia Astarita

Amo l'Asia in (quasi) tutte le sue sfaccettature, ecco perché cerco di trascorrerci più tempo possibile. Dopo aver lavorato per anni come ricercatrice a New Delhi e Hong Kong, per qualche anno osserverò l'Oriente dalla quella che è considerata essere la città più vivibile del mondo: Melbourne. Insegno Culture and Business Practice in Asia ad RMIT University,  Asia and the World a The University of Melbourne e mi occupo di India per il Centro Militare di Studi Strategici di Roma. Su Twitter mi trovate a @castaritaHK, via email a astarita@graduate.hku.hk

Read More