Dopo 24 anni di esilio forzato, Aung San Suu Kyi torna in Europa
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Dopo 24 anni di esilio forzato, Aung San Suu Kyi torna in Europa

La paladina della libertà birmana potrà finalmente andare ad Oslo a rititare "ufficialmente" il Nobel per la Pace che le è stato assegnato ventun'anni fa

Ventiquattro anni fa Aung San Suu Kyi ha deciso di lasciare l’Europa per tornare nel suo Paese, la Birmania. Una scelta fatta per passione e per lealtà. Nei confronti di un popolo che aveva bisogno di aiuto. All’epoca pareva infatti che sarebbe spettato alla giovane figlia del leader indipendentista birmano Aung San combattere contro l'involuzione autoritaria del Myanmar. E a causa della quale, invece, per quasi tre decenni non le è più stato permesso di varcare neppure i confini del giardino della sua villa a Rangoon.  

Oggi il Nobel per la Pace birmano è tornato finalmente in Europa. Per continuare il suo ciclo di visite internazionali autorizzate da un governo militare apparentemente interessato a offrire qualche speranza a una nazione che per decenni ha strangolato nella dittatura. Servendosi proprio del carisma di Aung San Suu Kyi. Consapevole del fatto che a questa donna esile ed elegante ma dotata di una ferrea volontà basta un sorriso per irradiare pace e speranza nel cuore di chi le sta di fronte.

Quale testimonial migliore, quindi, per convincere il mondo che la Birmania è finalmente (e improvvisamente) diventata un paese amico. Una nazione pronta a cimentarsi in un dialogo civile e costruttivo con qualsiasi interlocutore. Dai rappresentanti delle minoranze etniche che vivono nel paese a quelli dell'opposizione democratica. Dai funzionari delle Nazioni Unite ai Capi di Stato e di Governo delle principali potenze mondiali. E che merita, dopo aver trovato il coraggio di riportare il Nobel per la Pace tra i banchi del Parlamento, di ricevere la fiducia della comunità internazionale.

Aung San Suu Kyi è atterrata oggi a Ginevra, e ha approfittato di una cerimonia in suo onore organizzata dall'Organizzazione Internazionale del Lavoro per ringraziare tutti quei paesi che hanno deciso di (ri)accogliere la Birmania nel mondo libero. Invitandoli a viaggiare tra le sue regioni per riscoprirne la cultura e le tradizioni ma anche per cogliere le opportunità economiche che ha da offrire. Certa che aiuti e investimenti non potranno che accellerare quel processo di democratizzazione attraverso il quale l'intera nazione riuscirà a migliorare il proprio livello di benessere economico e sociale.

Aung San Suu Kyi rimarrà in Europa per due settimane. Dopo la Svizzera andrà in Norvegia, Gran Bretagna, Irlanda e Francia. La tappa più significativa di questo viaggio epocale è certamente quella di Oslo. Dove, con ventun'anni di ritardo, la paladina della libertà birmana potrà finalmente pronunciare il suo discorso per il conferimento del Nobel per la Pace.

Autorizzando questo lungo tour del Vecchio Continente e, soprattutto, permettendo ad Aung San Suu Kyi di ritirare ufficialmente il suo premio la giunta di Thein Sein si è esposta moltissimo. Questo però non significa che abbia rinunciato alla tutela dei suoi principali interessi. Qualche passo avanti negli ultimi mesi la Birmania lo ha sicuramente fatto. Ottenendo in cambio la revoca di una buona parte delle sanzioni che per anni hanno penalizzato lo sviluppo economico del paese. Non solo: la nuova strategia incentrata su trasparenza e libertà permette alla giunta di evitare che i suoi nuovi "amici" smettano di essere tali dopo aver constatato che una grossa fetta dei problemi etnici e sociali che affliggono la nazione non è ancora stata risolta . Come ha dimostrato l'ennesima escalation di violenze tra buddisti e musulmani di etnia Rohingya nello Stato occidentale di Rakhine.

La speranza di Thein Sein è quella che l'Occidente, leggendo con ottimismo i segnali positivi lanciati dalla giunta, possa continuare a chiudere un occhio sugli episodi di ribellione che regolarmente infiammano la nazione. Immaginando che la giunta abbia solo bisogno di un po' di tempo in più per imparare a gestirli. E proseguire senza intoppi lungo il sentiero della democratizzazione.

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Claudia Astarita

Amo l'Asia in (quasi) tutte le sue sfaccettature, ecco perché cerco di trascorrerci più tempo possibile. Dopo aver lavorato per anni come ricercatrice a New Delhi e Hong Kong, per qualche anno osserverò l'Oriente dalla quella che è considerata essere la città più vivibile del mondo: Melbourne. Insegno Culture and Business Practice in Asia ad RMIT University,  Asia and the World a The University of Melbourne e mi occupo di India per il Centro Militare di Studi Strategici di Roma. Su Twitter mi trovate a @castaritaHK, via email a astarita@graduate.hku.hk

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