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(Ansa)
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A Gaza cresce la protesta palestinese contro Hamas

Dopo 100 giorni di guerra parte della popolazione ha deciso di sfidare i miliziani

Ieri, a Khan Yunis, si è svolta una marcia di protesta contro la continuazione della guerra, come riportato dalla televisione pubblica israeliana Kan, che ha trasmesso alcune immagini dell'evento. Circa un centinaio di manifestanti con bandiere bianche ha scandito lo slogan «Vogliamo la pace». Alcuni partecipanti hanno mostrato tutta la loro frustrazione esibendo taniche d'acqua vuote. Martedì, a Deir el-Ballah e a Rafah, si sono tenute altre due manifestazioni. In una di esse, è stata avanzata la richiesta a Hamas «di risolvere i problemi da loro creati», mentre altri manifestanti hanno definito i membri di Hamas che sequestrano gli aiuti umanitari come «dei pescecani di guerra».

Poi nel video si vede una folla di palestinesi che marcia per le strade di Khan Younis, che chiede al primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e al leader di Hamas Yahya Sinwar di porre fine alla guerra a Gaza: «La gente vuole un cessate il fuoco! Netanyahu e Sinwar, vogliamo un cessate il fuoco. Basta con la guerra e basta con la distruzione!», grida la folla composta principalmente da uomini. Il fatto che dei manifestanti -oltretutto di sesso maschile- chiedano anche a Sinwar di fermare la guerra è il primo vero segnale del crescente malcontento della popolazione contro la leadership di Hamas che vive all’estero nel lusso e che ha trascinato un popolo nella disperazione più totale. E nei prossimi mesi per loro sarà anche peggio dato che tra 15 e 20mila cittadini indiani e filippini verranno assunti in Israele al posto dei palestinesi, il cui ruolo era importante in molti settori, ma che ora sono stati banditi dal Paese dopo il massacro dello scorso 7 ottobre.

Prima dell'attacco di Hamas e della conseguente guerra a Gaza, il Coordinamento delle attività governative nei territori (Cogat) riporta che circa 150.000 palestinesi della Cisgiordania e altri 18.500 della Striscia di Gaza avevano il permesso di entrare in Israele per motivi di lavoro. Nel dicembre scorso i proprietari di imprese e fabbriche hanno esercitato pressioni sui legislatori per consentire ai lavoratori palestinesi (tra gli 8.000 e i 10.000) di ritornare al lavoro negli insediamenti e nelle imprese israeliane in Cisgiordania. Raul Sargo, presidente della Israel Builders Association, ha esposto la difficile situazione all'interno del settore dell’edilizia durante un intervento presso la Knesset, come riportato dal Times of Israel: «Siamo in gravi difficoltà, l'industria è completamente ferma ed è produttiva solo al 30%. Il 50% dei siti sono chiusi, con un impatto significativo sull'economia israeliana e sul mercato immobiliare».

Il settore agricolo israeliano è altrettanto colpito, dipendendo fortemente dalla manodopera straniera, in particolare dai lavoratori tailandesi. Almeno 10.000 di loro hanno lasciato il Paese dopo l'attacco di ottobre, durante il quale molti lavoratori agricoli tailandesi sono stati uccisi e presi in ostaggio. Secondo quanto riportato dai media israeliani, il governo sta esaminando un piano che mirerebbe a sostituire migliaia di lavoratori palestinesi con manodopera proveniente dall'estero. Tuttavia, si profila il rischio di suscitare nuove tensioni e delusioni in Cisgiordania, eliminando ciò che molti politici considerano una valvola economica chiave, fondamentale per controllare la motivazione al terrorismo. Il piano ipotizzato prevede che Israele porti oltre 80.000 lavoratori, principalmente dall'Asia, per occupare posizioni nell'edilizia e nell'agricoltura, settori normalmente occupati dai palestinesi. Secondo l'emittente pubblica Kan, la proposta, frutto di un organismo di coordinamento tra i ministeri, prevede che Israele provveda all'ingresso di 25.500 lavoratori dallo Sri Lanka, 20.000 dalla Cina, 17.000 dall'India, 13.000 dalla Thailandia e 6.000 dalla Moldavia e si tratta dell’ultimo regalo avvelenato di Hamas alla sua popolazione che dice di amare tanto.

Da quando è iniziato il conflitto la propaganda di Hamas veicolata da al-Jazeera e che viene ripresa anche in Italia racconta che Israele spara sui civili e non invia aiuti alla popolazione. Vero o falso? Totalmente falso. Prima delle operazioni militari la popolazione viene avvisata e aiutata sotto scorta, a lasciare le aree interessate dalla operazioni militari contro Hamas. Da sabato 27 dicembre 2023, data dell'inizio dell'operazione «Piombo Fuso» contro Hamas in risposta a tre anni di attacchi missilistici su città meridionali di Israele, Israele ha profuso ogni sforzo per assistere i civili palestinesi residenti a Gaza. Il governo israeliano ha chiaramente dichiarato la sua intenzione di non arrecare danni ai civili innocenti, impegnandosi ad aiutarli per l'intera durata dell'operazione. In previsione dell'azione, il governo israeliano ha inviato a Gaza il 26 dicembre ben 90 camion di aiuti umanitari. Israele ha lavorato incessantemente, 24 ore su 24, in collaborazione con organizzazioni umanitarie internazionali e private, garantendo l'arrivo di cibo e forniture mediche essenziali per i civili palestinesi a Gaza. Solo il 29 dicembre, Israele ha inviato nella Striscia di Gaza 63 camion (1.545 tonnellate) di beni di aiuto umanitario, tra cui riso, lievito, farina, zucchero e 64 tonnellate di forniture mediche. Il 31 dicembre sono stati consegnati a Gaza 98 camion e 2.366 tonnellate di cibo e rifornimenti. Il 5 gennaio, 80 camion hanno consegnato merci nella zona. Il 6 gennaio, 49 camion sono stati inviati a Gaza tramite l'Unità umanitaria delle Forze di difesa israeliane (Idf). Il 7 gennaio, 100 camion e 500.000 litri di gasolio sono stati inviati attraverso il valico di Kerem Shalom. Israele ha anche pompato centinaia di migliaia di litri di carburante diesel a Gaza il 6 gennaio, incluso carburante per la centrale elettrica, strutture delle Nazioni Unite e uso domestico. Il 12 gennaio, l’Idf ha fermato un camion al valico di Kerem Shalom che cercava di introdurre di nascosto attrezzature elettroniche non considerate parte degli aiuti umanitari. Al 15 gennaio, la rete elettrica di Gaza aveva una capacità operativa del 74%, rispetto al 40% all'inizio dell'operazione. Il 14 gennaio, un aereo cargo della El Al, carico di 100 tonnellate di forniture mediche e alimentari fornite dall'Unicef, è atterrato all'aeroporto Ben Gurion. Il 15 gennaio sono stati inviati nella zona 170 camion di aiuti umanitari e 195.000 litri di carburante, seguiti da 135 camion il 16 gennaio. Complessivamente, durante questi giorni, sono state inviate a Gaza 3.790 tonnellate di rifornimenti umanitari. Tutto questo senza le stragi del 7 ottobre 2023 volute dall’Iran, non sarebbe mai accaduto ed è bene ricordarlo a coloro che ancora oggi falsificano la storia di questi ultimi mesi.

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Stefano Piazza