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(Ansa)
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Erdogan-Zelensky-Guterres; al vertice per la pace vince solo il leader turco

Nel vertice a tre di Leopoli pochi spiragli di una pace tra le parti ma Mosca appare più debole di qualche mese fa, mentre Erdogan sempre più cruciale

L’ultima volta che il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, si è recato nell'Ucraina invasa - era una sera di fine aprile - è stato accolto dai russi con una pioggia di missili. All’ora di cena l’esercito russo ha tirato dieci volte su Kiev, bruciando il quartiere di Chevchenkovsky. Tanto per far capire al massimo rappresentante Onu quanto Vladimir Putin apprezzasse la sua visita, e così da fargli digerire l’idea che Mosca avrebbe continuato a lungo a violare i diritti umani e a spadroneggiare su quel territorio su cui s’incaponisce dallo scorso febbraio.

Sono passati quasi quattro mesi da allora, ma le cose non sono affatto cambiate: l’artiglieria russa si diverte ancora a terrorizzare la popolazione civile e a colpire le città ucraine a ogni passerella di solidarietà verso Kiev da parte dei politici d’Europa, spesso costretti a ripararsi nei bunker tra gli sghignazzi del Cremlino. È, questa, una tattica tipica della diplomazia russa, che punta a mettere in soggezione la controparte con qualsiasi mezzo, ogni qualvolta si deve discutere di questioni cruciali che riguardano Mosca e la comunità internazionale.

Il ruolo di Erdogan

Oggi, però, quando Antonio Guterres ha raggiunto il presidente ucraino Volodymyr Zelensky e quello turco, Recep Tayyip Erdogan, a Lviv (ossia Leopoli), nell’Ucraina occidentale, niente di ciò è accaduto. E la ragione è semplice: il presidente della Turchia è una pedina troppo importante per i russi, nonché l’unico leader della Nato che Putin rispetti. Non soltanto perché Erdogan è anch’egli un «dittatore», com’ebbe a dire il premier italiano Mario Draghi; ma anche perché il Mar Nero è sotto il controllo strategico dei turchi, e il satrapo di Mosca sa che Ankara sarebbe davvero capace di strangolare i traffici russi, se provocata.

Anche per questo, Putin ha appena rimosso dal comando della flotta del Mar Nero l’ammiraglio Igor Osipov, sostituito da un nuovo comandante, Viktor Sokolov. Osipov è stato incapace di assicurare il controllo dell’area nonché di garantire la sicurezza della Crimea, bersagliata nei giorni scorsi dall’artiglieria ucraina con grave smacco per le forze armate russe (l'intera marina russa, invero, non ha sinora brillato quanto a capacità strategiche).

A parte ciò, per discutere della situazione nel Paese a quasi sei mesi dall’invasione russa, erano presenti anche degli sherpa informali di Mosca, allo scopo di valutare insieme con i tre leader internazionali l'andamento del recente accordo sull’esportazione di cereali ucraini.

Sul tavolo c’era anche la questione «di una soluzione politica al conflitto», secondo quanto auspicato dal portavoce dell’Onu Stephane Dujarric. Con la notizia, filtrata dalle agenzie, che si sarebbe addirittura aperta la strada per un incontro al vertice tra Putin e Zelensky nelle prossime settimane. Anche se, a dire il vero, questo sembra più il frutto di una ipnosi collettiva che non un segnale credibile: è la sesta volta dall’inizio del conflitto che una simile speranza nasce e muore nel giro di un pomeriggio. E la «buona novella» portata in dote dal leader turco non è che una speculazione sulle vere intenzioni della leadership russa.

Rischio nucleare

Ma soprattutto, alla trilaterale di Leopoli si è discusso del caso esplosivo - in tutti i sensi - della centrale nucleare di Zaporizhzhia: il capo dell'Amministrazione militare dell'omonima regione, l’ucraino Oleksandr Starukh, ha dichiarato che la situazione a Enerhodar, la città che ospita la centrale, è giudicata «pericolosa» e che esiste già un piano di evacuazione dell’area residenziale a rischio di contaminazione radioattiva, che tiene conto dei recenti sviluppi militari. Ecco perché l’Aiea, l’agenzia Onu che sovrintende all’energia atomica, dovrà presto organizzare una missione sul posto, secondo quanto concordato tra Guterres e Zelensky nel bilaterale che ha preceduto l’incontro con Erdogan.

Nella zona - oggi controllata dai russi, che l’hanno conquistata nelle prime settimane dell’invasione - tutti sono in pre allerta e in stato di allarme: se le radiazioni sono ancora giudicate «stabili» e gli indicatori per il momento «non superano la norma», è però Mosca stessa a ritenere che tutto possa cambiare da un momento all'altro, soprattutto a causa delle attività belliche.

«Secondo i nostri specialisti, a causa delle azioni delle forze armate ucraine, una situazione simile a Fukushima (la centrale giapponese protagonista di un incidente nucleare nel 2011, ndr) potrebbe verificarsi anche nella centrale nucleare di Zaporizhzhia» dichiarano fonti del Cremlino.

La controparte, intanto, si prepara al peggio; con la protezione civile ucraina che già si esercita per un’eventuale evacuazione degli oltre 400 mila civili coinvolti, e che sarebbe però resa assai difficoltosa e incerta dagli occupanti russi. I quali, nel frattempo, starebbero pianificando di «spengere» l’impianto, e intenderebbero convogliare l’energia del più grande sito nucleare d’Europa esclusivamente verso la Crimea.

Una trilaterale che premia Erdogan

Il trilaterale Guterres-Erdogan-Zelensky, in definitiva, ha portato a un nulla di fatto sugli argomenti capitali: se vi è un’intesa di massima circa le manovre marittime per continuare a garantire il commercio del grano e dei fertilizzanti nel Mediterraneo; e seppure siano già pronti i piani per consentire all’Aiea di valutare i rischi di un disastro nucleare alle porte d’Europa, non si ravvisa alcun significativo passo in avanti per una cessazione delle ostilità.

La presenza del presidente Erdogan ha garantito soltanto qualche ora di tranquillità nei cieli dell'Ucraina occidentale, mentre ha portato Ankara all’incasso, con la sigla di importanti accordi per la ricostruzione del Paese (cui dunque i turchi concorreranno come e meglio di altri). Una ricostruzione che, tuttavia, deve ancora fare i conti con gli ingenti danni di guerra, molti dei quali sono di là da venire.

Tutto, infatti, lascia pensare che il peggio debba ancora arrivare. E l’apertura del fronte in Crimea da parte di Kiev, così come l’allarme nucleare intorno a Zaporizhzhya - senza contare i missili ipersonici schierati da Mosca nell'enclave europea di Kaliningrad - ne sono la più lampante dimostrazione. Così passa alla storia il giorno 176 dall'inizio del conflitto.

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Luciano Tirinnanzi