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(Ansa)
Dal Mondo

Elezioni in Turchia: a rischio l'impero di Erdogan

Il rifiuto dell'ex zar economico della Turchia Mehmet Simsek di tornare alla politica è un duro colpo per il partito di governo del presidente Recep Tayyip Erdoğan che lotta per ricostruire la sua credibilità economica a meno di due mesi dalle elezioni che secondo gli ultimi sondaggi potrebbe addirittura perdere

Il presidente turco aveva personalmente chiesto all’economista turco Mehmet Simsek di tornare al governo e assumere la guida del ministero dell’Economia ma dopo un incontro nella sede dell'AKP Simsek, molto rispettato dagli investitori internazionali, ha dichiarato su Twitter « di non essere interessato alla politica attiva» dopo essersi dimesso da vice premier nel 2018. Il no del’economista che si è comunque detto pronto a fornire qualsiasi tipo di supporto nella sua regione, mostra la difficoltà di rinominare un governo le cui politiche hanno scatenato una crisi del costo della vita e lasciato l'economia e i mercati finanziari pesantemente gestiti dallo stato in balia degli eventi e delle decisioni di Erdoğan.

Per il sondaggista Ertan Aksoy « Il rifiuto di Simsek di entrare nell’esecutivo non è né il primo né l'ultimo indicatore dell'indebolimento del sostegno al governo». Omer Celik portavoce dell'AKP ha detto dopo l'incontro che Erdoğan non aveva offerto a Simsek una posizione ufficiale «ma che tutti i meccanismi e le funzioni del partito gli erano stati aperti». Un alto funzionario ha detto alla Reuters che l'AKP è alquanto diviso, con alcuni membri contrari al ritorno di Simsek, e ha definito «indesiderabile l'esito dell'incontro con Erdoğan ». Poi ha aggiunto che « il partito potrebbe ora dover rivedere il suo programma economico in vista della campagna elettorale». Altri funzionari dell'AKP speravano che Simsek accettase l’incarico «stiamo incontrando difficoltà con l'attuale situazione economica. Su questo non si discute». La spericolata scelta di Erdoğan di tagliare i tassi di interesse per rilanciare la crescita economica ha portato l'inflazione a oltre l'85% lo scorso anno tanto che la lira turca ha perso l'80% del suo valore rispetto al dollaro in cinque anni, durante i quali gli investitori stranieri sono in gran parte fuggiti a gambe levate da questo grande mercato un tempo emergente. A tutto questo si è aggiunta la tragedia del devastante terremoto avvenuto tra il 5 e il 6 febbraio 2023 dove sono morte piu’ di 54.000 persone che per la Turchia significa anche un costo di 104 miliardi di dollari a fronte di un Pil di 819 miliardi di dollari (dato 2021).

Recep Tayyip Erdoğan che a secondo del momento indossa i panni dell’uomo solo al comando (economista, capo della protezione civile, dell’esercito, urbanista, ecc, ecc) nonostante si definisca da sempre un nemico giurato dei tassi di interesse, negli ultimi anni ha talvolta sostenuto politiche di libero mercato ma poi ha cambiato tono e ha adottato un modello che dava la priorità alla produzione, alle esportazioni e al credito a buon mercato. Tutti questi capovolgimenti, compreso il licenziamento del governatore della banca centrale Naci Agbal dopo soli quattro mesi nel 2021, hanno lasciato gli investitori profondamente scettici. Per Blaise Antin, responsabile della ricerca sui mercati emergenti presso il gestore degli asset TCW di Los Angeles, «oggi gli investitori sono per usare un eufemismo, estremamente cauti su qualsiasi cambio di rotta da parte del governo di Erdogan viste le tante note false del passato». Secondo Polina Kurdyavko, responsabile dei mercati emergenti e senior portfolio manager presso BlueBay Asset Management «la sfida economica non è facile da risolvere, indipendentemente da chi sale al potere e indipendentemente dalle politiche che verranno implementate».

Colpito dalla catastrofe del terremoto del 6 febbraio, da una crisi finanziaria senza fine e dalla mancanza di liquidità estera, il potere del presidente turco e del suo Partito Giustizia e Sviluppo (AKP) sta registrando, giorno dopo giorno, un forte calo della sondaggi tanto che due recenti rilevazioni condotte da MAK e Turkiye Raporu mostrano che l'avversario Kemal Kilicdaroglu è tra i 4 e i 10 punti percentuali davanti a Erdogan.

Dal terremoto in poi i sondaggi mostrano quasi all'unanimità la stessa tendenza a favore di un'alternanza politica, dove il candidato dell'opposizione Kemal Kiliçdaroglu viene dato per vincente tanto che in alcune rilevazioni Erdogan, potrebbe essere battuto già al primo turno dallo sfidante un esito che solo due mesi fa era inimmaginabile.

Per il professor Berk Esen, professore all'Università Sabanci di Istanbul che ha parlato a Le Monde « Il terremoto è stato un punto di svolta perché ha consolidato il sostegno a Kiliçdaroglu e ha dimostrato l'incompetenza del governo» mentre allo stesso giornale il saggista ed economista Mehmet Altan ha detto che « il terremoto è stato un evento cruciale nella nostra storia. Ha rivelato agli occhi del mondo la potenza turca così com'è, cioè l'autorità di un solo uomo, che agisce solo per la propria sopravvivenza alla guida del Paese. Visto il risultato, l'equilibrio del presidente sembra aver raggiunto i suoi limiti, sia in Turchia che sulla scena internazionale». Ed in effetti in poche settimane il Capo dello Stato turco ha visto accumularsi i problemi con gli Stati Uniti con la visita del Segretario di Stato, Antony Blinken, ad Ankara il 20 febbraio che incontrato il suo omologo turco, Mevlüt Çavusoglu al quale ha ricordato che gli USA sapevano che la Turchia continuava a fare affari con la Russia di Vladimir Putin. Ufficialmente nessuno sa cosa sia siano detti tuttavia, quindici giorni dopo la Turchia ha improvvisamente cessato senza darne comunicazione alcuna, ogni transito o consegna alla Russia di merci e merci soggette a sanzioni contro la Russia. Il primo cartellino giallo era stato mostrato ai turchi qualche settimana prima della visita di Antony Blinken dal sottosegretario al Tesoro per il terrorismo e l'intelligence finanziaria, Brian Nelson che aveva ricordato ai funzionari turchi che erano note violazioni alle sanzioni internazionali.

Poi dopo aver rilevato che il messaggio non era stato ben compreso la Casa Bianca avrebbe inviato ad Ankara un alto funzionario che ha trasmesso il seguente messaggio «o vi mettete in riga o ne risponderete davanti ai tribunali internazionali». Per i turchi il colpo è stato duro da accettare visto che dall’invasione russa dell’Ucraina il valore del commercio di merci tra i due paesi è aumentato di quasi il 200% in un anno. Poi pero’ le minacce degli americani hanno fatto effetto tanto che il 14 marzo 2023 la Turchia senza darne notizia, ha interrotto la fornitura di carburante e relativi servizi agli aerei russi. E perché? In una lettera del Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti, è scritto « che queste operazioni sono vietate per gli aerei privati, cargo e commerciali contenenti più del 25% di materie prime di origine americana se destinati alla Russia e alla Bielorussia. Sono interessati tutti gli aerei Airbus e Boeing delle compagnie russe». Altro segnale del dietrofront si è visto lo stesso giorno sul quotidiano Milliyet con l’intervista a Haluk Görgün capo della Aselsan Elektronik Sanayi la piu’ importante industria militare turca che ha annunciato «noi non abbiamo più bisogno dei missili russi S-400 perché il nostro gruppo sta costruendo un sistema di difesa aerea».

Evidente che la retromarcia non può che fare piacere a Washington e alla Nato così come è evidente che Erdoğan cerca aiuti economici ed in tal senso si spiega il sostegno all'adesione della Finlandia al trattato transatlantico mentre per il via libera alla Svezia è solo questione di tempo. Ma cosa farà Recep Tayyip Erdoğan se una volta aperte le urne sarà sconfitto ad esempio al primo turno? Sicuramente evocherebbe i brogli elettorali e il Derin devlet ( l’mmaginario stato profondo turco) e qualche complotto ordito dall’immancabile imam Fethullah Gulen che vive dal 1999 in Pennsylvania ( USA) e che a parte il terremoto viene accusato da Erdogan di qualsiasi cosa accada nel paese. A quel punto interverrebbe il Millî İstihbarat Teşkilâtı (il servizio segreto turco), che potrebbe orchestrare (come fatto piu’ volte in passato), qualsiasi cosa utile a distrarre l’opinione pubblica mentre l’esercito occuperebbe le strade e le piazze del paese. Lo stesso accadrebbe in caso di ballottagggio perché Recep Tayyip Erdoğan da venti anni è il “padrone” della Turchia e per non perdere tutto questo è pronto a fare ogni cosa. Nessuna esclusa.

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Stefano Piazza