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Cuba, l'incendio che svela l'inefficienza del regime

Brucia un deposito petrolifero a Matanzas e le associazioni per i diritti umani accusa: "Nessuna fatalità, mancano investimenti nella manutenzione e l'emergenza è stata affrontata mandando ragazzi allo sbaraglio"

Non si sono ancora spente le fiamme del gigantesco incendio scoppiato lo scorso 7 agosto nella periferia di Matanzas, città di 140.000 abitanti a 100 chilometri a est de L'Avana (Cuba), dove è esploso un deposito petrolifero. Il bilancio provvisorio è di un morto, diciassette persone disperse, 77 feriti e tra loro c’è anche il ministro dell'Energia cubano Nicolás Liván Arronte Cruz. Secondo quanto riferito dalle autorità cubane a far esplodere il deposito sarebbe stato un fulmine che secondo il giornale del regime cubano Granma «avrebbe causato un guasto nel sistema del parafulmine che non ha resistito alla potenza della scarica elettrica».

Su questo punto però, mentre anche un secondo deposito ha preso fuoco, alcuni testimoni riferiscono di un possibile atto deliberato, mentre il governo di Matanzas ha confermato sui social network: «Il coperchio del serbatoio 3 è crollato dopo che il vento ha fatto una virata da nord-est. Le forze operanti sul posto sono state evacuate». Ora il timore è che il devastante incendio possa estendersi alla vicina centrale termoelettrica Antonio Guiteras ma le autorità cubane dicono che si trova nella parte opposta a dove soffia il vento e che «al momento il problema principale è l’approvvigionamento di carburante, ma sta funzionando».

Secondo quanto riferito da Greenrport.it tutta la vicina zona industriale, compresi i materiali, è stata evacuata, ma il ministero ammette che «attualmente la situazione nella Base de Supertanqueros de Matanzas è molto complessa. Le esplosioni continuano a verificarsi. Il luogo non è accessibile». Per Asbel Leal, direttore del commercio e dell’approvvigionamento della Cuban Petroleum Union (Cupet), il primo serbatoio «conteneva circa 26.000 metri cubi di greggio nazionale, ovvero circa il 50% della sua capacità massima al momento del disastro. Il secondo serbatoio conteneva 52’000 metri cubi di olio combustibile».

A far peggiorare la situazione c’è stata la totale disorganizzazione e la sconsiderata strategia per spegnere le fiamme visto che i pompieri cubani hanno usato acqua invece che la schiuma e questo ha peggiorato la violenza del fuoco. Il governo cubano dopo le iniziali resistenze è stato costretto ad accettare l’aiuto degli Stati Uniti, del Venezuela, del Messico e di altri Paesi latino-americani per cercare di domare le fiamme.

Con Panorama.it parlano Yadira Campanioni , Yennifer Pinillo e Yuraimy Machado, attiviste per diritti umani e dell’opposizione cubana, attive nel territorio italiano ed integrate nella rete nella Opocicion Europea (Alianza - Aiecc): «Quanto è accaduto non è certo stata una semplice fatalità ma è il risultato della negligenza e della mancanza di investimenti nella manutenzione degli impianti. È evidente che mancavano i parafulmini nella struttura. Quindi oggi il regime si trova a raccogliere ciò che ha seminato per molti anni. A nostro giudizio quello che è accaduto è il frutto di problemi accumulati e di problemi vitali che non sono stati valutati nell'arco del tempo. La cosa più triste è che le cattive conseguenze colpiscono quasi sempre duramente chi non decide nulla (il popolo). Per anni il governo ha parlato di manutenzione degli impianti e poi non ha mai fatto nulla».

Ciò che colpisce guardando i video e ascoltando le testimonianze della popolazione è l’impressionante inefficienza della macchina dei soccorsi, ma anche qui secondo le nostre interlocutrici non c’è nulla di nuovo: «Le macchina dei soccorsi non ha funzionato perché non è un mistero per nessuno che il regime cubano gli unici investimenti che fa sono quelli per rafforzare le forze militari che servono solo per opprimere il popolo. Ai pompieri e agli ospedali non arriva un centesimo e gli unici che hanno mezzi all’avanguardia sono i militari, tanto che nell'isola ci sono più pattuglie per opprimere il popolo che ambulanze e mezzi di soccorso in generale».

Scorrendo i video si notano soccorritori giovanissimi (molti ragazzini) mandati alla sbaraglio la notte dello scorso venerdì 7 agosto: «Come hanno denunciato molte persone del posto attraverso i social in prima linea sono stati mandati ragazzini della leva militare obbligatoria certamente non preparati e addestrati per gestire una catastrofe di tale portata» e molti di loro sarebbero morti anche se il regime comunista dell’isola non ne ha fatto parola, così come le informazioni che i cubani ricevono sono pochissime: «I cubani possono contare su pochissime informazioni affidabili perché tutti i media ufficiali dentro l'isola dicono informazioni obsolete e si contraddicono. E per quel che riguardano gli sfollati le autorità hanno chiesto a molti cittadini di auto-evacuarsi con le proprie risorse, quindi molte persone si sono allontanate dal posto del disastro e sono andate via con le loro famiglie e propri mezzi».

Mentre su L’Avana incombe la nuvola nera di Matanzas, sull’isola si rincorrono le ipotesi più disparate: un atto di un piromane o auto-sabotaggio della dittatura stessa. Secondo le nostre interlocutrici questo potrebbe essere davvero accaduto: «Per ricevere aiuti che non verranno mai a beneficio del popolo come è palese, oppure per giustificare i prolungati blackout che si sono intensificati negli ultimi giorni che la stampa ufficiale non ha riportato. La verità è certamente nelle immagini satellitari che secondo alcuni testimoni mostrerebbero che la prima cisterna esplosa presentava delle anomalie rispetto alle altre». Intanto mentre a Matanzas i depositi petroliferi bruciano, il popolo cubano chiede la verità ma le speranze che la ottengano con il regime attualmente al potere sono praticamente nulle.

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Stefano Piazza