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(Ansa)
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Biden si ricandida. Ma il suo futuro politico è a rischio

Inflazione altissima, crisi migratoria senza precedenti, disastri in politica estera. Il presidente americano ha ben poco da festeggiare. E non è detto che puntare nuovamente sull'anti-trumpismo stavolta lo aiuterà a vincere

Joe Biden si è ricandidato ufficialmente alla Casa Bianca. Il presidente ha effettuato l’annuncio martedì attraverso un video. “Quando mi sono candidato alla presidenza quattro anni fa, ho detto che siamo in una battaglia per l'anima dell'America. E lo siamo ancora”, ha dichiarato per poi aggiungere: “La domanda che dobbiamo affrontare è se negli anni a venire avremo più o meno libertà. Più diritti o meno”. “So quale voglio che sia la risposta e penso che lo sappiate anche voi. Questo non è il momento di essere soddisfatti. Ecco perché mi candido per la rielezione”, ha concluso. L’annuncio della ricandidatura è arrivato con notevole ritardo rispetto a quanto atteso. Secondo indiscrezioni circolate alla fine dell’anno scorso, l’ufficialità sarebbe dovuta infatti arrivare già a inizio febbraio. Il punto è che la strada verso la riconferma si preannuncia tutt’altro che semplice. E il nodo principale non risiede tanto nell’età, comunque avanzata. No. I problemi sono ben altri.

In primis, negli ultimi quattro mesi sono emersi segnali di un’opposizione al presidente provenienti da alcuni pezzi dell’apparato governativo e di intelligence. Si pensi soltanto ai recenti leak del Pentagono, che hanno notevolmente indebolito la posizione internazionale di Biden. Fughe di notizie si erano d’altronde verificate già l’anno scorso, tanto che, a maggio 2022, Biden aveva tenuto una telefonata con il segretario alla Difesa Lloyd Austin, il direttore della Cia William Burns e la direttrice dell’Intelligence nazionale Avril Haines per lamentarsi della cosa. Non solo. Stranezze sono emerse anche nella vicenda degli oggetti non identificati, abbattuti dall’aviazione americana a febbraio nei cieli di Alaska, Yukon e Michigan. Premesso che è scarsamente credibile che servizi e Pentagono non abbiano informazioni più precise su questi marchingegni volanti, ricordiamo che, tra il 12 e il 13 febbraio, la posizione ufficiale di Northcom fu che non potesse essere esclusa la natura extraterrestre di quegli oggetti: una posizione assurda che fu smentita soltanto ventiquattr’ore dopo dalla Casa Bianca. Difficile ritenere che tutte queste circostanze siano frutto di mera imperizia. D'altronde, l’opacità con cui è stata gestita la questione degli oggetti volanti ha attirato a Biden critiche anche dallo stesso Partito democratico.

E proprio all'interno dell'Asinello il presidente si ritrova a dover gestire delle significative grane. Nel 2020 gli riuscì il miracolo di mettere insieme una santa alleanza in nome dell’anti-trumpismo. Non è detto che gli riesca anche nel 2024. In questi due anni, la sinistra dem ha espresso più volte delusione nei confronti dell’inquilino della Casa Bianca, soprattutto per la sua problematica gestione dell’immigrazione clandestina. Strali da sinistra sono arrivati a Biden anche sul fronte ambientalista: nonostante avesse promesso svolte green nel 2020, il mese scorso ha approvato un mega piano di trivellazioni petrolifere in Alaska, che ha mandato su tutte le furie le associazioni ambientaliste. È chiaro che il presidente proverà a scommettere di nuovo quasi tutto sull’anti-trumpismo. Ma stavolta ha lo svantaggio di essere già stato messo alla prova. Non a caso, un recente sondaggio della Nbc News riporta che il 51% degli elettori dem non desidera una ricandidatura dell’attuale presidente. Un dato che riflette probabilmente i risultati tutt'altro che brillanti conseguiti da Biden in questi primi due anni alla Casa Bianca.

A giugno scorso, l’inflazione negli Stati Uniti ha raggiunto il picco nell’arco di ben quarant’anni: una situazione causata anche dal pacchetto di aiuti per il Covid da 1,9 trilioni di dollari, firmato dal presidente nel marzo 2021. Non solo. Lo scorso anno fiscale si è concluso con il record storico di arrivi di immigrati clandestini al confine con il Messico: circa 2,3 milioni di persone. Infine, la politica estera dell’attuale presidente si è rivelata tutt’altro che brillante. Nonostante avesse promesso un ripristino del ruolo internazionale dell’America e un argine alle autocrazie, è avvenuto esattamente il contrario. La disastrosa evacuazione dall’Afghanistan nell’agosto 2021 ha significativamente azzoppato la capacità di deterrenza degli Stati Uniti. Tanto che, poco dopo quel tracollo, Pechino ha iniziato a violare lo spazio aereo di difesa di Taiwan e la Russia ha intensificato l’ammassamento di truppe che avrebbe poi portato all’invasione dell’Ucraina. Non solo. Da quando Biden è presidente, Washington ha perso progressivamente influenza su America Latina e Medio Oriente. La sua smania di rilanciare il controverso accordo sul nucleare con l’Iran ha infatti isolato Israele e spinto Riad tra le braccia di Mosca e Pechino.

È vero: c’è chi dice che, nonostante tutti questi fallimenti, Biden continuerebbe ad essere favorito in un eventuale nuovo duello con Donald Trump, in quanto quest’ultimo sarebbe percepito come candidato divisivo e in grado di mobilitare in massa l’elettorato dem. In realtà, si tratta di una teoria che fa acqua. Che Trump sia percepito come un candidato divisivo dagli ambienti progressisti, è fuor di dubbio. Tuttavia anche Biden è considerato tale dagli ambienti conservatori. Inoltre, il suddetto sondaggio di Nbc News ha rivelato che, mentre il 60% degli americani non auspica la ricandidatura di Trump, è il 70% a dirsi contrario a quella di Biden. Qualcuno obbietterà che, nel 2020, l’attuale presidente vinse con un vantaggio di sette milioni di voti. Questo è vero. Ma, per come funziona il meccanismo delle presidenziali americane, è un dato privo di significato. Il presidente viene infatti eletto dai grandi elettori e non dal voto popolare. Per valutare la solidità di una vittoria presidenziale è quindi necessario guardare ai risultati negli Stati chiave (Florida, Ohio, Michigan, Pennsylvania, Wisconsin). Qui, nel 2020 come nel 2016, i risultati sono quasi sempre stati caratterizzati da uno scarto piuttosto contenuto (in alcuni casi sono stati sul filo del rasoio). Quei sette milioni in più furono infatti frutto della mobilitazione dell’elettorato dem in storiche roccaforti dell’asinello (come California e New York): roccaforti che nessun candidato repubblicano sarebbe oggi (come allora) in grado di espugnare. Ovviamente poi Trump ha notevoli problemi, a partire dalle zavorre giudiziarie. Ma sostenere che in un ipotetico nuovo duello con Biden sarebbe quest’ultimo ad esserne avvantaggiato, beh, resta tutto da dimostrare.

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Stefano Graziosi