bin salman arabia saudita
(Getty Images)
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Arabia contro Iran; la divisione nel mondo islamico che cambia la geopolitica

Le azioni di Emirati Arabi, Giordania ed Arabia Saudita contro Teheran segnano la fine dell'unione del mondo islamico contro l'occidente, riportando un po' di serenità nel mondo

Quando la mattina del 7 ottobre 2023 Hamas e la Jihad islamica hanno attaccato Israele il principe ed erede al trono saudita Mohammed Bin Salman (MBS) ha capito che degli iraniani non si poteva fidare. E pensare che lui il 10 marzo 2023, dopo sette anni di ostilità, su pressione della Cina ha deciso di dare il via alla normalizzazione delle relazioni tra le due potenze del Medio Oriente con la riapertura di ambasciate e missioni diplomatiche. Ma un anno dopo aver ristabilito i legami diplomatici, Arabia Saudita e Iran mantengono una situazione tesa. Nonostante i tentativi di dialogo e la riapertura dei canali diplomatici non sono stati raggiunti accordi rilevanti a causa dei conflitti in atto nella regione e della diffusa mancanza di fiducia, particolarmente riguardo ai loro alleati e alla situazione in Yemen, in Libano e ora nella Striscia di Gaza. Come scrive l’analista del Wilson Center, David Ottaway, «nonostante tutti gli sforzi diplomatici iniziali, l’Arabia Saudita e l’Iran devono ancora firmare, per non parlare di attuare, alcun accordo sostanziale in qualsiasi ambito diverso dalla diplomazia. I loro ministri degli Esteri, delle finanze e dell’economia hanno tenuto numerosi incontri per rilanciare l’Accordo Generale di Cooperazione del 1998 in tutti i settori tranne quello della sicurezza, così come l’Accordo di Cooperazione sulla Sicurezza del 2001. Finora, tuttavia, non è stata infusa nemmeno una nuova vita».

In molti a Riyadh non erano d’accordo con il principe ed erede al trono (specie il clero, da sempre avverso agli sciiti di Teheran), tuttavia, in una monarchia, specie in quella saudita, quello che decide MBS è legge e quindi si fa e basta. Per l’Arabia Saudita quanto avvenuto è stato un duro colpo dato che i dialoghi con Israele e gli Stati Uniti per la sigla degli Accordi di Abramo erano arrivati al punto che MBS era pronto a siglare il documento che avrebbe cambiato per sempre il volto del Medio Oriente. Evidente che l’Iran tutto questo lo ha sempre avversato dato che la fine delle ostilità con Israele da parte del Regno avrebbe messo l’Iran nell’angolo e da qui la decisione di infiammare il Medio Oriente con l’attacco a Israele che ha naturalmente reagito.

L’instabilità nel Golfo Persico, compreso quanto accade nel Mar Rosso dove gli Huthi (armati e finanziati dall’Iran) stanno mettendo in crisi il traffico mondiale delle merci, mette a repentaglio anche «Vision 2030», il gigantesco piano infrastrutturale saudita sul quale MBS si sta giocando tutto.

La sigla degli Accordi di Abramo mediati dall’amministrazione Trump, per normalizzare le relazioni tra Israele, gli Emirati Arabi Uniti, il Bahrein e il Marocco, avrebbe anche incluso un patto strategico tra Riyadh e Washington contro l'Iran, un accordo di normalizzazione tra Arabia Saudita e Israele, e un impegno rinnovato verso la soluzione dello Stato palestinese che evidentemente a Teheran non vogliono che nasca perché è nel caos che l’Iran può continuare a dettare legge. Sebbene l'attacco di Hamas abbia interrotto questi sforzi non ha impedito alle potenze occidentali presenti nella regione di collaborare con i partner arabi, tra cui l'Arabia Saudita, per formare una coalizione militare contro l'Iran. Queste manovre difensive congiunte rappresentano la prima collaborazione tra i cinque eserciti e l'Arabia Saudita come parte di una nascente coalizione anti-iraniana. Non è quindi un caso che l’Arabia Saudita ha ammesso di aver collaborato con una nuova coalizione militare regionale, composta da Israele, Stati Uniti, Giordania (che si sta ritagliando un ruolo importate in questa crisi), Regno Unito e Francia, per respingere l’attacco iraniano contro Israele di sabato scorso, secondo un report di KAN News. L'articolo ha evidenziato il ruolo saudita nella difesa, durante la quale è stato distrutto il 99% dei droni e dei missili iraniani prima che potessero raggiungere i loro bersagli. Gran parte dei droni e dei missili hanno attraversato lo spazio aereo giordano e saudita per raggiungere Israele. Una fonte vicina alla famiglia reale saudita ha dichiarato a KAN che il paese ha un sistema avanzato per intercettare automaticamente qualsiasi minaccia nel suo spazio aereo. Che l’Arabia Saudita deplori quanto avvenuto il 7 ottobre 2023 lo si può confutare scorrendo i giornali del Regno nei quale sono apparsi decine di articoli nei quali si accusa esplicitamente l’Iran di aver provocato il conflitto a Gaza attraverso il suo alleato, Hamas, in risposta agli sforzi degli Stati Uniti per un accordo di normalizzazione con l'Arabia Saudita. Pesantissime anche le critiche al cosiddetto «Asse della Resistenza» composto da Iran, Hezbollah, Siria, milizie irachene e Huthi yemeniti ritenuto «la semplice e chiara volontà dell’Iran di voler portare avanti la sua agenda regionale a scapito di altri». Israele nelle scorse ore ha affermato che «l’Iran affronterà le conseguenze delle sue azioni» ma questo evidentemente non si tradurrà in un attacco sconsiderato su Teheran o altre città perché verranno scelti obbiettivi strettamente militari, ad esempio, le basi dove l’Iran continua nel suo programma di arricchimento nucleare che minaccia non solo l’esistenza dello Stato ebraico ma anche l’Arabia Saudita. Scontato che la risposta di Gerusalemme agli attacchi di sabato terrà conto anche dell’opinione di paesi arabi che non intendono seguire l’Iran che oggi più che mai è sempre più isolato. Guai a commettere errori.

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Stefano Piazza