Spiagge e concessioni: la Corte di Giustizia Ue boccia l'Italia
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Spiagge e concessioni: la Corte di Giustizia Ue boccia l'Italia

La decisione di prorogare le autorizzazioni per l'esercizio nelle località turistiche è illegale: violato il principio di concorrenza

La decisione dell'Italia di prorogare le concessioni balneari è illegale. E viola i principi europei di non discriminazione e di tutela della concorrenza. Lo scrivono a chiare lettere, in una sentenza destinata a far discutere, i giudici della Corte di Giustizia europea.

«Il diritto dell'Unione osta a che le concessioni per l'esercizio delle attività turistico-ricreative nelle aree demaniali marittime e lacustri siano prorogate in modo automatico in assenza di qualsiasi procedura di selezione dei potenziali candidati». E ancora: «Tale proroga - scrive il comunicato diffuso dalla Corte - prevista dalla legge italiana impedisce di effettuare una selezione imparziale e trasparente dei candidati». 

Il punto, secondo i giudici, è insomma che in Italia, «la normativa nazionale ha disposto una proroga automatica e generalizzata della data di scadenza delle concessioni rilasciate, anche senza previa procedura di selezione, per lo sfruttamento turistico di beni demaniali marittimi e lacustri (spiagge in particolare)». La scadenza, rinviata al 31 dicembre 2020 senza bandi né regole di strasparenza, è dunque illegale, secondo la legge europea. Non ci sono stati né bandi né regole di assegnazione trasparenti che rispettino le normative europee sulla libera concorrenza.



La sentenza della Corte di Giustizia Ue

La sentenza è stata emessa dopo che alcuni operatori privati del settore turistico - cui era stata negata la proroga - si erano rivolti alla Corte di Giustizia europea, nella speranza - rivelatasi esatta - che gli dessero ragione. Per evitare sanzioni ora l'Italia dovrà adeguarsi, lasciando ai giudici nazionali la possibilità di  «verificare, ai fini dell'applicazione della direttiva, se le concessioni italiane debbano essere oggetto di un numero limitato di autorizzazioni per via della scarsità delle risorse naturali».

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