Spacciatori di "oro nero"
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Spacciatori di "oro nero"

Si moltiplicano i sequestri di prodotti petroliferi clandesitini che arrivano dal medioriente attraverso i balcani e gestiti dalla criminalità organizzata

La piazzola di servizio sull’ultimo tratto della «Statale 106 Jonica» si trova proprio alla fine di un dosso che non permette di vedere oltre, se non quando lo hai già superato. A sinistra c’è una rampa in discesa che affaccia su un castello svevo e, anche di notte, ci si può trovare un’auto davanti. «Quando superi il dosso è tardi» spiega un investigatore della Guardia di Finanza di Montegiordano, in provincia di Cosenza. «E quando ti trovi la paletta sulla faccia e dei militari col mitra, vuoi o non vuoi, devi fermarti». Lì, dieci giorni fa, una pattuglia di finanzieri ha fermato un autoarticolato a cui era agganciata una grossa cisterna. L’autista e il suo aiutante, entrambi polacchi, avevano caricato 26 mila litri di petrolio importati illegalmente.

Non c’è solo la rotta libica a inquinare, come denunciato da Report, la trasmissione della Rai, il mercato italiano. Oltre al petrolio estratto dall’Isis e proveniente dall’Iraq, che tramite strane triangolazioni maltesi e turche, sbarca in Italia, quello che preoccupa di più la Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo, perché supera le dogane italiane in quantità notevolmente superiore, è il petrolio che arriva dai Paesi dell’Est.

Secondo le valutazioni fornite dallo Scico, il Servizio centrale per le investigazioni sulla criminalità organizzata della Guardia di finanza, l’immissione fraudolenta nel consumo di prodotti energetici provenienti dall’Europa orientale sta assumendo dimensioni e caratteristiche sempre più significative, sia in termini di mancato gettito fiscale, sia per gli effetti distorsivi provocati sui mercati a danno degli operatori onesti.

Come riferisce l’Agenzia delle dogane e dei monopoli, i prodotti energetici trattati dalle mafie «risultano soggetti a imposta di consumo e non ad accisa e, pertanto, non sono soggetti agli obblighi di monitoraggio previsti dal sistema Excise movement and control». La loro esclusione impedisce agli organi di controllo di monitorare telematicamente le movimentazioni intracomunitarie e rende difficoltosa l’azione di contrasto alle frodi. Le indagini giudiziarie sul contrabbando hanno svelato che le organizzazioni mafiose hanno messo le mani sugli idrocarburi sia all’ingrosso che al dettaglio. Famiglie di ’ndrangheta, di camorra e di Cosa nostra siciliana sono i broker finali, il punto di snodo tra gli esportatori esteri e i grossisti nostrani.

«Il sistema criminale» spiega Cesare Sirignano, magistrato che nel pool della Direzione nazionale antimafia coordina le indagini sul contrabbando, «prevede l’importazione e l’introduzione dei prodotti nel territorio nazionale con documenti amministrativi di accompagnamento fittizi e l’immissione sul mercato a un prezzo sensibilmente più basso di quello praticato dai concorrenti anche alla pompa». Ma oltre ad alterare le regole della concorrenza, sottolinea il magistrato, «il meccanismo appena descritto determina anche un grave danno all’Erario». Non si riescono a quantificare precisamente il giro d’affari illecito e l’evasione conseguente, anche se la stima di svariate decine di milioni di euro è realistica.

Il prodotto risulta destinato a rifornire in prima battuta importanti aziende del settore dell’autotrasporto e del movimento terra. Poi viene direttamente immesso sul mercato al consumo attraverso la rete di distribuzione stradale di carburanti.

Le società che operano nel settore, hanno scoperto gli investigatori, spesso sono riconducibili a fiancheggiatori delle organizzazioni criminali. Delle teste di legno. Che non si fanno alcuno scrupolo a importare da Polonia, Serbia, Bosnia Erzegovina e Ungheria. I varchi sono quelli classici: Brennero, Tarvisio, Gorizia e Trieste. Oppure gli scali ferroviari di Busto Arsizio e Trento. E, infine, ci sono i porti: quello di Augusta è il più utilizzato, soprattutto dai mediatori turchi e libici; ma, sempre più spesso, vengono scelti anche gli scali di Napoli e quelli di Bari e Taranto. Campania e Puglia, infatti, sono le regioni che detengono il record di persone denunciate per essersi sporcate le mani con il petrolio in nero. E, così, nel 2017, su un totale di 487 indagati, il 60 per cento ha agito in Campania, mentre il 12 per cento in territorio pugliese.

Nel 2018, invece, il dato si è invertito: dei 491 indagati, il 35 per cento è pugliese e il 16 è campano. A queste regioni seguono la Sicilia, l’Emilia Romagna e il Friuli-Venezia Giulia, seppur con percentuali molto inferiori.

Si calcola che nella sola provincia di Salerno il grande affare del petrolio in nero abbia prodotto nel 2018 un’evasione di oltre 35 milioni di euro. La compagnia della Guardia di finanza di Scafati, per esempio, come ha ricostruito il quotidiano locale la Cittàdi Salerno, solo qualche mese fa ha scoperto un giro di imprenditori dalle improvvise fortune, spesso senza una patrimonializzazione dell’azienda, ma con grande liquidità. «Neo-nababbi» locali che sul territorio acquistano di tutto, a partire dai distributori di carburante a cui hanno prima fatto concorrenza sleale.

A Napoli, invece, tra il 27 febbraio e il 7 maggio scorsi sono stati contrabbandati oltre 23 mila tonnellate di gasolio. La società Opera international limited business Ltd (società «esterovestita», ma amministrata in Italia), hanno ricostruito i finanzieri, importava gasolio acquistato da società estere (Gardag marine Ltd e Mar tankship Ltd) con diverse navi provenienti dalla Spagna che scaricavano il prodotto, in sospensione d’imposta, nel deposito fiscale della società Garola Srl al porto di Napoli. Poi, senza pagare l’accisa, il carburante veniva ceduto ad altre aziende che lo immettevano sul mercato al consumo attraverso fatture false. Il gasolio esentasse, quindi, veniva venduto alla pompa a un prezzo inferiore.

E nonostante il sistema di contrabbando criminale creato dall’Isis ormai sia ridotto ai minimi termini, Malta continua a farla da padrona: nel marzo scorso i finanzieri di Augusta hanno scoperto un meccanismo fraudolento stimato in 8 milioni di euro. Il carburante veniva acquistato in Slovenia da due società, una di diritto maltese e l’altra bulgara, che facevano da intermediarie, raggiungeva l’Europa in regime di sospensione d’imposta e veniva infine destinato ai terminal ferroviari di Milano e Catania Bicocca come olio lubrificante. Il prodotto in realtà era gasolio. Il combustibile, destinato formalmente a Malta, una volta raggiunta la stazione di Catania Bicocca andava a confluire nel deposito carburanti Lubricarbo Srl di Augusta. E da qui distribuito a una serie di «pompe bianche», quelle che non fanno parte di grandi marchi. Gli oneri fiscali rimanevano a carico di una terza società, la cui partita Iva, però, era cessata nel dicembre 2017. Un affare per tutti. Tranne che per lo Stato. 

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Fabio Amendolara