Loris e il senso di abbandono della madre
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Loris e il senso di abbandono della madre

Se venisse dimostrata la colpevolezza di Veronica, quanto può aver influito il suo rapporto conflittuale con la famiglia di origine? L'analisi dello psicologo forense Silvio Ciappi

“Veronica è stata sempre una ragazza problematica, ma non è un mostro: sono convinta che nasconda qualcuno o qualcosa. Mi dispiace, perché lei è mia figlia e non provo odio per lei, nonostante la morte di mio nipote". Carmela Aguzza, mamma di Veronica, descrive sua figlia come una adolescente “problematica” ma esclude che possa avere ucciso il piccolo Loris.

La sorella di Veronica, Antonella, invece, ha avuto dei dubbi fin dall'inizio delle indagini che ha condiviso con gli investigatori: "Sebbene non abbia alcuna prova - ha detto loro - non ritengo di potere escludere che sia coinvolta nella morte del bambino o che stia cercando di coprire qualcuno o nascondere comunque la verità”
Ma la famiglia di origine di Veronica, la conosceva davvero bene?


Silvio Ciappi, psicologo forense, secondo quanto è emerso dall'inchiesta Veronica è stata un'adolescente che ha provato il senso di rifiuto, abbandono”, quello di “non essere accettata” da parte della famiglia di origine.
Quanto può aver influito questo sentimento sul figlio?

Diciamo che in linea generale non aver fatto i conti con la propria famiglia d'origine, getta spesso una profonda ipoteca sulle relazioni future. Non bisogna portare l'eredità della famiglia passata nel nuovo nucleo familiare. Questa è una regola che vale per tutti. L'individuo deve sapersi emancipare dai legami familiari e costruirsi come individuo. Nel caso di Veronica, stando a quanto riportato dai giornali, il conto con il passato non si è mai chiuso. È importante saper "slacciarsi" dalla famiglia e costruirsi come individui. Ciò ci rende liberi e autonomi e nuovamente in grado di porre in essere legami familiari.

Quali traumi del passato possono minare i rapporti con i figli fino a decidere di sopprimerli?
Sicuramente c'è la depressione, c'è la solitudine, il senso di inutilità, c'è che ancora no si è passato il varco della genitorialità: troppo ancora figli e figli spesso con una infanzia infelice, condizione che rende difficile diventare genitori. E poi quello che ho definito trauma complesso, una serie di maltrattamenti e trascuratezze protratte nel tempo che possono incistarsi nel nostro apparato neurobiologico più profondo. Situazioni che scavano e menano fendenti in profondità e che possono riacutizzarsi, in caso di stress emotivo, di disagio relazionale. Le vittime diventano allora degli oggetti, delle scuse, degli specchi infranti nei quali vediamo riflessa tutta la nostra debolezza. Non si uccide l'altro, non c'è spesso un altro da uccidere. Non c'è movente. L'unico motivo è la rabbia profonda contro se stessi, contro la vita.

I traumi adolescenziali e la solitudine. Veronica era costretta a stare molti giorni da sola. Questo può aver agevolato il ritorno di vecchi fantasmi?
Èciò che accade nel trauma complesso. Ricordi sotto forma anche di flashbacks che riaffiorano, disregolazione degli stati di attivazione corporea. In infanzia non c'è bisogno di un evento traumatico acuto, cioè di un sovraccarico imponente affinché si crei una situazione di stress. Anche eventi meno traumatici possono causare effetti patogeni. In questi traumi antichi ci troviamo davanti alla impossibilità di comprendere bene cosa sia successo. I ricordi traumatici vengono scissi dalla coscienza, non vengono integrati ed elaborati. Si crea così una sorte di mente e di ricordi a chiazze, frammentata. Questi ricordi traumatici diventano corpi estranei che circolano per il corpo, con una portata pericolosissima.

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ANSA/ Marco Costantino

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Nadia Francalacci