Covid: parte da Benevento il riscatto dei bambini
Una ragazzina al Teatro romano di Benevento (Carmelo Geraci/Getty Images)
freemium-page-header-post

Covid: parte da Benevento il riscatto dei bambini

Non c'è solo la Danimarca, dove i più piccoli fanno scuola da mesi nei parchi, nei musei e negli zoo. Anche in Italia sta sorgendo un movimento che si propone di riportare sulla scena i bambini, i dimenticati del Covid-19, promuovendo quel riscatto auspicato in un'intervista a Panorama da Giuseppe Banderali, primario di Pediatria dell'Ospedale San Paolo di Milano. E un importante contributo arriva da una città del Sud: Benevento. Il neonato comitato Benevento città dei bambini ha stilato un manifesto per spingere le istituzioni ad aprire la scuola al territorio. Il progetto del comitato, composto dal gruppo MammeRana e da professionisti in campo sanitario, sociale e pedagogico, prevede di uscire dall'emergenza educativa, organizzando continuità didattica all'aperto e tutelando al tempo stesso la salute degli scolari. Il tutto considerando le condizioni locali: dove l'incidenza del virus è inferiore, come è il caso di Benevento, i margini di manovra possono essere più ampi. Panorama anticipa la lettera aperta, che sta per essere inviata alle autorità scolastiche locali e nazionali. E presenta le riflessioni dei professionisti che sostengono dal punto di vista scientifico le rivendicazioni delle MammeRana.

  • Il Manifesto: Apriamo la scuola al territorio, facendo lezione all'aperto
  • I rischi dell'uso prolungato delle realtà virtuali
  • Il ruolo cruciale del movimento nello sviluppo dei bambini
  • Due pesi e due misure dell'insegnamento online
  • Benvenuti a scuola Covid-19
  • I limiti della (pur necessaria) didattica a distanza per gli alunni più deboli
  • Il coronavirus a Benevento



Allestimenti per l'Infiorata del Corpus Domini a Sant'Agata dei Goti, provincia di Benevento (Getty Images).


Siamo le MammeRana, un gruppo di mamme del territorio beneventano, appartenenti a diverse categorie professionali, che da sei anni porta avanti un progetto legato alla crescita e all'educazione dei bambini. Alla base delle nostre iniziative c'è la convinzione che ai bambini e ai ragazzi si debbano offrire una grande varietà di stimoli e libertà, rispettando il più possibile i loro bisogni naturali e i tempi personali dell'evoluzione fisica e interiore.

Il nostro gruppo ha fornito negli anni un sostegno importante alla cittadinanza, in termini di impegno solidale ed ecologico, realizzando diverse iniziative scociali e culturali anche con altre associazioni. Da sempre l'intento è stato di costruire una rete con la comunità e il territorio.

Con queste premesse riteniamo necessario, in questo periodo storico di particolare emergenza sanitaria e scolastica, intervenire con delle proposte per supportare l'immane carico che le scuole saranno chiamate ad affrontare in vista della riapertura a settembre.

A tale proposito stiamo realizzando un documento più elaborato, che espliciti una dichiarazione di valori attorno ai quali aggregare un gran numero di adesioni e consensi da parte di genitori, nonni, insegnanti, presidi, pediatri, psicologi, neuropsichiatri, associazioni e tutti coloro che hanno a cuore il benessere delle giovani generazioni, pesantemente penalizzate in questi ultimi mesi.

Questo Manifesto vuol essere un primo passo per la costituzione di un successivo gruppo di lavoro operativo, attraverso il quale si traccerà insieme possibili soluzioni pedagogiche e logistiche. La nostra proposta principale è la didattica outdoor, che prevede l'utilizzo degli spazi esterni, come giardini, cortili e porticati, di cui quasi tutte le scuole dispongono, trasformandoli in «aule verdi» immerse nella natura.

A tal fine è necessario il coinvolgimento delle famiglie, ossia un nuovo Patto di corresponsabilità scuola–famiglia. L'emergenza ci ha dimostrato quanto importante sia la partecipazione dei genitori all'intero processo educativo e all'organizzazione degli spazi di apprendimento.

Per raggiungere questi obiettivi occorre promuovere un'azione partecipata all'interno del territorio. L'educazione e la scuola devono rappresentare uno spazio in cui esercitare una responsabilità comune e condivisa. Pertanto sosteniamo anche il bisogno di un Patto territoriale tra scuola, istituzioni, Comune, terzo settore e società civile, centrato su pratiche di pedagogia attiva e aperta all'ambiente e alla comunità.

I rischi dell'uso prolungato delle realtà virtuali

Bambini nella piazza di Fragneto Monforte, in provincia di Benevento, al Raduno internazionale delle mongolfiere il 12 ottobre 2018 (iStock).

I bambini sono protagonisti attivi della vita scolastica, non sono solo ospiti. Questi protagonisti non vivono gli apprendimenti in modo passivo, bensì in modo attivo e personale. E più l'apprendimento risulta difficoltoso più il bambino richiede conoscenze e competenze da parte del docente.

Questo vale ancor di più in un periodo problematico come quello che stiamo vivendo, dove la distanza sociale si è declinata come trauma relazionale e dove l'inaspettato e l'ingovernabile sono entrati nelle vite modificando radicalmente il mondo dell'infanzia e della scuola.

Siamo un neuropsichiatra infantile e un neuropsicologo degli apprendimenti e scriviamo questo testo assieme per non cadere nell'errore di Cartesio che scinde mente e corpo, dividendo gli aspetti funzionali da quelli strutturali. Un aspetto peculiare di questo momento non è solo il gap tra programmazione effettuata e realizzata. Quello che sperimentano i bambini sono lacune relazionali, lacune di serenità, motivazione e autostima.

Dalla nostra pratica clinica raccogliamo fondamentalmente tre grandi preoccupazioni, che intrecciano la vita familiare con la vita scolastica in modo indissolubile. Tali perplessità sono riportate sia da genitori di bambini con sviluppo cosiddetto tipico, ma maggiormente da genitori che hanno bambini con neuro diversità, neuro varietà e disturbi più in generale del neuro sviluppo.

La prima preoccupazione riguarda le forme di regressione. I bambini tornano ad avere fenomeni di enuresi notturna e diurna da disattenzione. Molti ricominciano a dormire con i genitori. E in generale aumentano gli stati d'ansia con somatizzazioni non ben definite e diffuse, a cui reagire con la serenità non cadendo negli allarmismi, ma comprendendo la fase reattiva - transitoria simbolo di fisiologica preoccupazione.

La seconda grande preoccupazione riguarda la scuola, le lacune che si porteranno a settembre, gli apprendimenti, la prestazione scolastica. Bisogna focalizzarsi sulle competenze, sulle funzioni trasversali che sottendono agli apprendimenti, togliere l'accento dalla prestazione e dalla votazione, per non alimentare sottesi movimenti ansiosi che incutono paura dell'errore e timore di divergere. Bisogna capire e far capire che chi sbaglia non è sbagliato e che l'errore non solo ci è amico ma è il motore della conoscenza.

La terza attuale preoccupazione riguarda l'autoregolazione, l'inibizione, le capacità di autocontrollo. L'uso forzato di strumenti virtuali ha prodotto un deficit inibitorio. La realtà reale è più lenta e più regolata della realtà virtuale. Questo inevitabile alienamento ha prodotto ripercussioni sul comportamento e sugli apprendimenti stessi. A tal proposito ricordiamo ricorrenti fenomeni di lettura superficiale, che non conduce a una buona comprensione del testo e di conseguenza porta a una memorizzazione poco efficace. Questi fenomeni si possono rintracciare in una lettura a zig a zig, che salta parti di testo in cerca di parole chiave (skipping) e in una lettura veloce poco profonda che non elabora quanto letto (skimming).

Un altro inconveniente dell'uso prolungato di realtà virtuali è la perdita del senso di empatia e della coerenza centrale, cioè la difficoltà di attenzione sociale nel prendere in considerazione il punto di vista dell'altro. Un difetto in questo delicato meccanismo porta ad una maggiore impulsività sociale e cognitiva.

Alla luce di queste ultime riflessioni ci auguriamo che i mediatori virtuali restino mediatori e non diventino stabili sostituti di un'arte, l'insegnamento, basata sulla relazione e sull'emozione.

Proponiamo dunque di andare verso una neuro didattica guidata dall'evidence base education e dallo universal design for learning, che promuova non più la linearità della transizione delle conoscenze, ma la meta cognizione e l'autoregolazione. Queste procedure sono basate sul feedback della valutazione non quantitativa ma formativa, intendendo con ciò quel senso di riconoscimento dell'altro su cui si basa ogni relazione e interazione.

In quest'ottica, l'inclusione sfugge a quel paradigma assimilazionsita di far raggiungere a tutti negli stessi tempi i medesimi risultati, e non si focalizza più sul deficit, sulla quantificazione dalla distanza media. In piena ottica Icf (la classificazione che descrive lo stato di salute delle persone, ndr) si abbattano le barriere che impediscono l'apprendimento, valorizzando i singoli talenti per realizzare un'accessibilità formativa e partecipativa equa e non uguale.

Al rientro a scuola avremo bisogno di flessibilità e accessibilità. Da questo periodo bisogna imparare e ricordare dell'importanza delle relazioni, tenendo soprattutto presente che i bambini vedono il mondo con i nostri occhi: come piccoli meteorologi, percepiscono il tempo dagli occhi dei grandi. E nonostante le mascherine, dobbimao sorridere loro con gli occhi.

Domenico Dragone, neuropsichiatra infantile, e Roberto Ghiaccio, neuropsicologo degli apprendimenti


Il ruolo cruciale del movimento nello sviluppo dei bambini

Giochi distanziati nella campagna di Montesarchio, uno dei borghi più belli d'Italia in provincia di Benevento.

«Restate in casa»: è la frase che ci accompagna da circa tre mesi. Questo distanziamento sociale, da alcuni definito semplicemente di sicurezza, era necessario per salvaguardare le nostre vite e la nostra salute. Nello stesso tempo, la necessità di tutela ci ha portato all'immobilità all'interno della casa, alla mancanza di movimento, all'impoverimento sensoriale e sociale dovuto a spazi ristretti e mancanza di relazioni.

Chi ha patito maggiormente di questa condizione sono stati i più deboli: anziani, bambini e soprattutto disabili. Il movimento che si trasforma in azione è fondamentale per la nostra salute e soprattutto per i bambini nel periodo che va dai 7 ai 12 anni. Non a caso questo periodo coincide con l'inizio della scuola elementare.

È questa la fase del «corpo rappresentato», in cui i bambini hanno bisogno di sperimentare la fisicità con i compagni, fuori dal contesto familiare. In questi anni, il loro sviluppo psicomotorio deve raggiungere il massimo possibile per affrontare poi l'ultimo passaggio, non meno difficile, necessario a diventare adulti.

All'attenzione degli esperti educativi è sempre più presente il «corpo» del bambino e la cognizione che il corpo sia «capace» in termini di funzioni percettive e motorie. Tale cognizione scaturisce soprattutto dal tipo di esperienze che il corpo ha avuto possibilità di compiere, come sostengono Iverson e Thelen nel saggio Hand, mouth and brain: The dynamic emergence of speech and gesture del 1999).

Oggi moltissimi bambini arrivano alla scuola elementare non sapendo correre, saltare, senza un buon controllo posturale, non avendo raggiunto coordinazione dinamica dell'arto superiore, con deficitaria coordinazione oculo-manuale e scarsa motricità. Tutto questo si trasforma nelle problematiche molto note alla scuola, come disprassie e difficoltà di apprendimento, ma anche in tanti altri problemi di salute. Sempre più bambini già verso i 10 anni soffrono di mal di schiena, sono affetti da obesità e di conseguenza da dolori muscolo-scheletrici degli arti inferiori, ma anche da altri disturbi metabolici come il diabete giovanile.

Quindi sono molteplici le conseguenze dovute alla mancanza di movimento o alla disorganizzazione di tale movimento, che possono incidere a vari livelli sulla salute dei bambini Tutto questo non nasce con il Covid-19, ma la pandemia ha potenziato e reso più evidenti queste problematiche latenti. Ora i nostri bambini hanno raggiunto i tre mesi di immobilità e distanziamento, con la prospettiva che rimangano in isolamento altri tre mesi. Chiusi in casa, privi di relazioni e di esperienze vitali fatte di sensorialità e movimento.

Non si sa inoltre quale sarà modalità di riapertura della scuola a settembre, visto che permarrà l'esigenza della prevenzione e della sicurezza. Comunque viene contemplata la prospettiva di svolgere le lezioni in parte a scuola e in parte online, sempre tra quattro mura.

Ma se vogliamo realmente tutelare la salute e l'educazione dei nostri bambini, dobbiamo cogliere questo momento, fare tesoro dell'esperienza Covid e renderla un volano per dare il via al cambiamento. Qual è l'opportunità da cogliere e la rivoluzione a cui dare inizio? Una scuola nuova, aperta, dinamica che si apra al territorio e alla comunità, che parta dalla costruzione della conoscenza che si sperimenta attraverso l'azione.

Solo attraverso la «conoscenza incarnata», cioè la conoscenza che viene dall'azione e passa attraverso il corpo e il suo movimento, i nostri bambini diventeranno adulti sani, raggiungendo quell'armonia del sistema bio-psico-sociale che è alla base del vero concetto di salute.


Brankica Pavic, riabilitatrice, già direttrice del corso di laurea in Fisioterapia dell'università Federico II, sede di Benevento


Due pesi e due misure dell'insegnamento online

Bambini in piazza a Fragneto Monforte (Benevento) al Raduno delle mongolfiere il 12 ottobre 2018 (iStock).

L'emergenza coronavirus ha offerto non pochi spunti di riflessione sul rispetto e l'attuazione dei principi e dei diritti sanciti dalla nostra Carta Costituzionale e certamente la gestione emergenziale della scuola, o meglio della didattica (perché di scuola non si può parlare) è emblematica.

Da più parti si grida al vulnus dei valori fondanti della scuola italiana, tracciati dai padri e dalle madri costituenti, che scaturiscono dagli articoli 2, 3, 9, 33 e 34. Proprio nell'emergenza sono emerse le disuguaglianze sostanziali che lo Stato avrebbe avuto il compito di rimuovere e che invece, a distanza di oltre 70 anni, esistono ancora, con il rischio di finire ancora più in fondo in classifiche in cui il nostro Paese già non eccelleva.

Da subito, dovendo delegare allo strumento informatico la tenuta del rapporto scuola – allievi, è emerso con drammatica evidenza il cosiddetto digital divide. Si è cercato, più o meno in fretta, di porre rimedio, con bonus o comodati d'uso gratuiti, per portare nelle case degli italiani (e non), lo strumento, salvo poi realizzare che da colmare c'era anche un altro divario, quello di copertura della rete, disomogenea sul territorio nazionale, dove le aree interne, anche se spopolate, sono ancora abitate da qualche sparuto studente.

E neppure questo poteva essere sufficiente a portare la «scuola» nelle case dei 10 milioni di studenti italiani (e non), perché, ormai lo dobbiamo ammettere, la famigerata didattica a distanza si è trasformata poi in un incubo per docenti e famiglie, costrette queste ultime a dedicare buona parte della loro giornata, oltre che dei loro dispositivi digitali, a compiti e lezioni dei figli, soprattutto se non ancora autonomi. E come potrebbero esserlo ad esempio gli alunni della primaria?

Ecco che il vero «divide» diventa, purtroppo, quello familiare o ambientale, fattore di disuguaglianze anche questo più che noto, a cui la scuola, quella vera ha potuto porre rimedio. Quegli alunni, uguali (o quasi) nei banchi di scuola, sono diventati molto diversi tra loro, dietro quelle telecamere con cui gli insegnanti sono entrati (non sempre), talora in camerette dotate anche di fornite librerie e talora in ambienti tutt'altro che idonei.

Ha fatto e fa la differenza, nella didattica dell'emergenza, l'abitazione e, quindi, la possibilità di seguire la lezione in un ambiente almeno silenzioso o in cucina con uno o più fratelli urlanti. Ma a fare la differenza è anche la presenza di un genitore (molto più spesso la mamma, ma questo è un altro problema) e la sua capacità di sostenere il proprio figlio, in sostanza la sua alfabetizzazione digitale. Discriminante è insomma stato un ambiente familiare che potesse essere realmente di sostegno, esclusivo e non nei tempi vuoti dello smart-working.

Sembra che la scuola, quella vera, messa in prima linea, anche se spesso disarmata, nella guerra contro la povertà assoluta (1,2 milioni di minori come denuncia Save the Children nell'ultimo Atlante dell'Infanzia), la povertà educativa e la dispersione scolastica, ora sia improvvisamente sacrificabile su altri altari.

Quello della dispersione scolastica era «il problema», al centro di dibattiti e tavole rotonde, oltre che di numerosi progetti, più o meno efficaci, per raggiungere l'obiettivo del 10% segnato da Europa 2020. Se in Italia abbiamo registrato un progressivo aumento (14% nel 2017 e 14,5 nel 2018) non è difficile prevedere che queste performance negative siano destinate a peggiorare.

Addirittura c'è chi ha tracciato una nuova fenomenologia della dispersione scolastica, parlando di "drop-Dad", categoria in cui rientrano gli studenti che non hanno potuto partecipare alla relazione educativa a distanza, per problemi legati in qualche modo al «divide» di cui sopra, così come i semi-dispersi, cioè quelli che partecipano a singhiozzo perché poco motivati.

Alunni già a rischio sono progressivamente scomparsi dagli schermi, anche se i veri numeri li avremo in futuro, non essendo possibile adesso un controllo effettivo della «frequenza». Molti probabilmente sono stati espulsi dal sistema scolastico e difficilmente ci rientreranno, finendo preda della malavita, come qualche nota ed eroica dirigente sempre del Sud faceva notare, o impiegati in lavoro di famiglia, come nelle zone rurali, che ancora esistono lungo lo Stivale.

Come non pensare a una didattica che si fa, più o meno consapevolmente, vettore di disuguaglianza, in evidente contrasto con il dettato costituzionale ma anche con la grande tradizione di inclusione della scuola italiana a partire dagli anni Settanta. Non è pensabile, infatti, che si possa far sentire parte del gruppo classe uno studente vulnerabile, con disabilità o disturbi dell'apprendimento, completamente lasciato alle sole cure familiari, privato anche di supporti terapeutici, in alcuni casi vitali. E sarebbe il caso di interrogarsi anche sul rispetto dei diritti dei docenti, mortificati da un surrogato digitale e da una burocrazia già troppo soffocante, da vicoli più o meno discutibili, che poco lasciano alla loro libertà di insegnamento.

Questo dovrebbe essere (e può esserlo, se facciamo finalmente i conti con la realtà) il tempo del «nessuno resti indietro», dove attraverso l'individuazione di nuove strategie, si possano eliminare le differenze che già esistevano o che si stanno esasperando, tra famiglie con strumenti educativi e altre in cui scarseggiano, tra aree urbane e aree interne, tra figli di italiani e figli di stranieri, tra Nord e Sud. O almeno, nell'immediato, bisognerebbe limitare i danni ed evitare di cadere in un circolo vizioso dove le disuguaglianze si autoalimentano. Con il contributo, purtroppo, del sistema scolastico.

Giovanna Megna, avvocata

Benvenuti a scuola Covid-19

Giochi distanziati nella campagna di Montesarchio, in provincia di Benevento.

La maestra curriculare e la didattica a distanza: «un piccolo mondo di un mondo piccolo». Routine di una piccola provincia al tempo della quarantena. Pigiama sotto, giacca sopra e ciabatte protagoniste, genitori che irrompono, scarichi che incombono, vicine che cantano, nonne che suggeriscono… E poi qualche bambino risponde da cavallo, qualche piccolo è in pigiama, qualcuno chiede tempo per la colazione, un papà cerca la camicia e invade la diretta...

Benvenuti a scuola Covid-19. Ma non tutte le didattiche a distanza vengono per nuocere; l'home schooling, usato in modalità relazionale con vicinanza emotiva, ha dato una spallata a quell'area di insegnanti che erano rimaste ancorate ad una didattica lineare, frontale e trasmissiva. La didattica a distanza ci ha insegnato, seppur con mille criticità di esclusione e connessione, ad andare oltre la cattedra.

Tale didattica andrebbe applicata in tutti i contesti di apprendimento, facendo sì che ogni contesto di vita diventi luogo di apprendimento. In questo strano periodo, il nostro compito è quello di non andare avanti per raggiungere il fantasma della programmazione, ma consolidare (mediante strategie interattive e non con la mera assegnazione di «cose» da fare) la motivazione, l'autostima e l'autovalutazione.

Gite virtuali, canzoni, creazione di power point, montaggi di video clip e docu film, linguaggi alternativi virtuali andranno a settembre intrecciati alla relazione reale, con la didattica del sorriso e della lumaca. I mediatori vanno sempre usati in maniera calda, inducendo nei protagonisti della scuola emozioni positive e non paura dell'errore. Tali mediatori, se usati con buon senso e con buona volontà diventano un aiuto prezioso per la co-costruzione di competenze e il raggiungimento di traguardi di apprendimento.

Certa è la difficoltà a utilizzare sempre ogni giorno tali strumenti, che hanno escluso parti di classi, messo contro fazioni di genitori e «piattaformato» le maestre, ma in fondo la didattica a distanza è solo un mezzo, non un fine. È uno strumento transitorio che, pur tra mille problematicità, ha ricordato alla scuola tutta l'importanza della vicinanza affettiva.

Che cosa aspettarci a settembre ? Speriamo che oltre la corsa agli zaini griffati, porta-pastelli a cinque piani (con tanto di attico e garage), non si aggiunga la gara alla mascherina firmata, di tendenza, all'ultimo grido. Speriamo di non dover rientrare a scuola con le mascherine che coprono il sorriso: il vero motore dell'apprendimento.

Se non potremo sorridere ai nostri bambini, con la bocca, vorrà dire che lo faremo con gli occhi e a tal proposito ci impegneremo anche noi maestre, durante l'estate, a esercitare e approfondire quell'intelligenza emotiva che spesso, nelle classi, viene accantonata a scapito di una formale logica «Rottenmeieristica». A settembre non dovremmo immergerci nella corsa al dover fare o catapultarci nell'ossessione di dover recuperare un improbabile «programma», ma dovremmo essere consapevoli che, se c'è una cosa che va recuperata, quella è la tranquillità, la serenità di una relazione che non dovrà essere incentrata sulla paura di apprendere ma sul piacere di farcela dentro una relazione autentica.

Auspico, come docente, una scuola più socratica e che attribuisca alla maieutica un valore aggiunto, magari trasferendo l'ambiente di apprendimento in un bosco o sperimentando dei veri laboratori teatrali proficui per un'educazione alla coralità, attuando una comunicazione viva e attiva; puntando su una scuola «palcoscenico» di uno sviluppo inclusivo.

Anna Caserta, insegnante di scuola primaria

I limiti della (pur necessaria) didattica a distanza per gli alunni più deboli

Giovani escursionisti a Cusano Mutri, in provincia di Benevento (iStock).

Siamo due insegnanti di sostegno, alla scuola dell'infanzia e a quella primaria e sentiamo il bisogno di parlare della nostra esperienza in merito alla didattica a distanza (Dad). Noi crediamo che la didattica a distanza in una prima fase sia stata utile ad abbattere le distanze e a mantenere la relazione insegnante/alunno.

Tuttavia sono stati immediatamente chiari i forti limiti che la didattica a distanza avrebbe presentato per gli alunni, ancor di più per quelli i deboli come gli alunni con disabilità, bisognosi di attenzioni e cure particolari. Il limite più grosso risiede proprio nella seconda parola dell'acronimo Dad: distanza.

È noto che la qualità del processo di insegnamento-apprendimento dipende molto dal tipo di relazione che si instaura tra insegnante e alunni, da cui scaturisce il cosiddetto «clima educativo» della classe. Esso si basa su un aspetto fondamentale nel nostro lavoro di maestre: il lavoro di cura educativa, basato a sua volta sull'osservazione costante e continua degli alunni in classe, che permette di esprimere alla fine la valutazione formativa.

Il lavoro di cura educativa è fatto di ascolto attivo, conoscenza dell'altro, comprensione ed empatia, stimolo, aiuto, accompagnamento, aspettative, azione orientata verso il successo, proposta e guida. Tali termini si traducono nella costruzione di una relazione, fatta di azioni quotidiane in classe come imparare a riconoscere e comunicare emozioni, imparare a condividere sguardi e stimoli, rispondere agli incoraggiamenti, apprendere la prossemica dell'altro, saper cogliere le fragilità per farne risorse. Ma è fatta anche di un tocco o di una carezza inaspettata per mantenere vivo il dialogo e l'attenzione, all'interno di un ambiente che faciliti tali dinamiche relazionali e quindi di apprendimento.

Va da sé che la relazioen educativa si possa creare e mantenere con rapporti diretti di prossimità, non nel chiuso di una stanza in solitaria davanti a un computer. È dunque chiaro che tanto si perde nella didattica a distanza, poiché si perde quello che è il processo per il raggiungimento dell'obiettivo didattico, più importante dell'obiettivo stesso in termini di formazione educativa.

Il concetto di formazione richiama quello di competenze e abilità che si traducono, soprattutto per alunni così piccoli, nell'apprendimento del metodo e delle autonomie, attraverso lo studio delle discipline. Ancor di più per gli alunni con Bisogni educativi speciali!

La didattica a distanza si rifà a una metodologia innovativa che presuppone delle pregresse capacità e competenze tecnologiche sviluppate in presenza e trasferite a distanza per potenziare l'autonomia e l'apprendimento (classe capovolta, classi virtuali) nelle metodologie didattiche innovative.

Non tutte le realtà scolastiche e il limite dell'età dei bambini hanno favorito un lavoro di preparazione alla Dad. Questo ha comportato la necessità di farsi carico da parte delle famiglie non solo della gestione dei mezzi informatici, che sono gli strumenti di accesso alla Dad, ma anche, e direi soprattutto, della gestione del metodo di apprendimento del proprio figlio. Sulla base di questa evidenza, le disparità tra i bambini si sono accentuate: il bambino più fortunato ha avuto alle spalle dei genitori in grado di supportarlo, gli altri sono stati penalizzati e, in casi estremi, inevitabilmente esclusi.

Un altro grande svantaggio è stato l'ambiente di apprendimento per i bambini di questa fascia d'età, il quale dovrebbe essere fatto di spazi reali e non solo virtuali per la loro salute fisica e mentale. Così come afferma la teoria dell'apprendimento sociale di Albert Bandura, esso è strettamente collegato all'ambiente poiché avviene, soprattutto per i più piccoli, per imitazione (alunno-insegnante, alunno-alunno) e attraverso un modello (alunno-insegnante).

È nell'ambiente educativo reale che il bambino impara compiendo movimenti e giochi, che a casa perdono di senso poiché svolti da soli e non sempre favoriti dai contesti familiari. Al contrario la Dad rende più sedentari anche i più piccoli, forzandoli a stare troppe ore seduti. La discrepanza tra ambiente reale e ambiente di apprendimento, che caratterizza la didattica a distanza, ha fatto scattare stanchezza, noia e, nei casi peggiori, rifiuto e abbandono dello studio.

Alla luce di quanto sopra eviscerato, riteniamo che l'uso della Dad in questi mesi abbia fortemente minato le basi della scuola pubblica di tutti, aggravando i dislivelli di partenza per i bambini e famiglie in situazioni di povertà e disagio. Ha messo fortemente a rischio l'inclusione, la garanzia di contesti educativi e formativi adeguati alle diverse fasce d'età, la qualità dell'istruzione e degli apprendimenti e il raggiungimento per tutti dello sviluppo pieno delle proprie potenzialità attraverso l'individualizzazione dell'insegnamento e la valutazione formativa.

I diritti di tutti i bambini non possono essere compressi ancora a lungo a causa dell'isolamento. Bisogna trovare soluzioni alternative e sfruttare tale sfida come opportunità per ripensare la scuola. Crediamo infatti in una didattica diffusa e sempre più outdoor, che colga ogni occasione per stimolare gli alunni con esperienze dirette, significative e reali.

Valentina Ricciardi e Linda Rinaldi, insegnanti di sostegno


Il coronavirus a Benevento

L'ospedale Sacro cuore di Gesù di Benevento.

Abbiamo vissuto una crisi sanitaria e sociale globale senza precedenti, a causa della pandemia da Covid-19 diffusasi nel nostro Paese a macchia di leopardo, con zone più colpite e altre meno. I pochi casi registrati nel Sud Italia, secondo l'opinione medica comune, trovano ragione nel fatto che, grazie al ritardo temporale, le regioni del meridione si sono preparate meglio nel gestire il contagio, adottando misure di restrizione più precoci rispetto a quelle adottate al Nord d'Italia, risultate per questo meno efficaci.

Tra le regioni virtuose di certo spicca la Campania, con i suoi quasi 5.000 casi su 176.000 tamponi effettuati d, in particolare, il territorio sannita dove i poco più di 200 casi hanno evitato il collasso del sistema sanitario locale, sebbene più fragile rispetto a quello di altre realtà regionali.

Merito di tutto ciò è ascrivibile anche alla corretta condotta dei cittadini beneventani i quali, coordinati da un governo locale efficiente e tempestivo, hanno rispettato al meglio le direttive imposte a livello centrale e locale contenendo così i rischi della pandemia. Il primo focolaio di contagio si è registrato presso la Rsa «Villa Margherita» con 11 morti e oltre 50 contagiati. L'ospedale «Sacro Cuore di Gesù» dei Fatebenefratelli, dopo aver attivato un percorso dedicato per i malati sospetti Covid-19, ha visto solo una decina di casi dubbi, risultati poi tutti negativi. Lo screening è stato esteso anche ai 639 dipendenti del presidio ospedaliero sannita e nessuno dei sanitari e degli operatori è risultato positivo al tampone oro-faringeo, a riprova dell'attenta osservanza delle norme di prevenzione igienico-sanitarie imposte per il contenimento della diffusione.

L'altro nosocomio beneventano, il «San Pio», individuato fin dall'inizio come centro di riferimento per la gestione dei contagiati Covid, ha registrato 16 decessi e 158 guariti, con una ottima tenuta di tutti quei reparti adibiti alla accoglienza dei degenti affetti da Covid-19. La corretta osservanza delle regole di prevenzione sanitaria ha limitato anche il contagio tra operatori sanitari del «San Pio» a soli due casi, fortunatamente guariti. Meno fortunata è stata la sorte di un operatore del 118, contagiato dal coronavirus e poi deceduto.

La diffusione del coronavirus ha cambiato e probabilmente cambierà profondamente le nostre abitudini e, contemporaneamente, ha impartito all'umanità una lezione di vita che servirà, sotto molti aspetti, anche per il futuro. Un futuro in cui saremo consci che non siamo immuni alle pandemie, che le stesse non colpiscono solo i Paesi in via di sviluppo ma possono, purtroppo, mietere vittime anche in quelli industrializzati. Occorrerà ripartire da questa considerazione. Occorrerà, inoltre, procrastinare le regole per contenere il contagio, anche una volta terminata l'emergenza, adottando misure di distanziamento sociale - in attesa di farmaci e vaccini efficaci - volte a evitare il contagio di ritorno, come già sta accadendo in alcune zone della Cina. Infine, si auspica per evitare il crollo economico dovuto al lockdown che lo Stato attui una politica sociale tesa alla ridistribuzione del reddito per venire incontro alle fasce più fragili della popolazione, quelle che avranno bisogno della mano pubblica per ripartire e non fermare il motore del Paese, già così travolto dagli effetti non solo sanitari ma anche economici.

Luca De Lipsis, anestesista all'ospedale «Sacro Cuore di Gesù»

I più letti

avatar-icon

Elisabetta Burba