I coreani non sanno cosa vogliono
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I coreani non sanno cosa vogliono

Christopher Hill, ex sottosegretario di Stato americano, spiega perché è impossibile capire l'attuale crisi

Nessuno ormai è in grado di capire quello che sta succedendo in Corea del Nord o di prevedere come evolveranno gli equilibri della Penisola. In parte perché il regno di Kim Jong-un è così poco trasparente da non permettere a nessuno di intuire quali siano le sue priorità, le sue strategie e interessi di breve e lungo periodo. E in parte perché l'isolamento dietro cui il giovane dittatore si è barricato rendono ancora più complicato prevederne pensieri e azioni. Senza dimenticare il fattore "inesperienza", perché il giovane Kim in appena 16 mesi è stato capace di spaventare la comunità internazionale, Cina e Russia inclusa, molto di più di quanto sia riuscito a fare il padre in 17 lunghissimi anni di governo!

Ecco perché, in un contesto in cui districarsi diventa ogni giorno più difficile, può tornare utile chiedere un parere a Christopher R. Hill, l'ex sottosegretario di Stato americano con delega per gli Affari dell'Asia Orientale e del Pacifico che dal 2005 al 2008 ha guidato la delegazione statunitense ai Six party talks, il tavolo negoziale attraverso il quale le potenze asiatiche, con il supporto di Washington, hanno tentato di dialogare con Pyongyang.

Nel corso di una lunga intervista il funzionario americano ha chiarito molti punti che potrebbero aiutarci a valutare meglio l'attuale crisi. Anzitutto il nucleare, su cui il regime avrebbe iniziato a investire negli anni '70, o forse addirittura prima. E che si sarebbe trasformato in una delle massime priorità della famiglia Kim dopo il collasso dell'Unione Sovietica. La Corea del Nord si sarebbe infatti lasciata coglire impreparata dal crollo del suo vero grande alleato, e avrebbe così iniziato a cercare una protezione che, dal suo punto di vista, solo il nucleare sarebbe stato in grado di assicurarle.

Eppure, ha sottolineato Hill, anche se la retorica della grande potenza fa ormai parte della quotidianità dei nordcoreani, è percepibile, e non solo a Pyongyang, che nonostante l'isolamento in cui è relegata la popolazione sia consapevole di quanto poco assomigli a una grande potenza la Corea del Nord. Con un atteggiamento a dir poco irresponsabile l'attuale leadership sta cercando di sfatare questi dubbi innescando questa frenesia di guerra a tutti i costi, ma è chiaro che lo sta facendo solo per aumentare il proprio consenso.

L'unica cosa certa è che la leadership vuole a tutti i costi mantenere il potere. Ma non sa come farlo, e nemmeno cosa vuole oltre al semplice potere. La guerra? Il nucleare? Chi può dirlo. Del resto è capitato più volte in passato che dopo essere stata accontentata Pyongyang ha scelto di cambiare le carte in tavola presentando nuove richieste e negando quelle precedentemente avanzate.

In qualche modo i cinesi hanno provato ad aiutarli a risolvere il problema di questa confusione su interessi e obiettivi da raggiungere, tentando di convincerli dell'importanza di dedicarsi all'economia, per garantire al paese benessere e prosperità. Purtroppo, però, non è servito a nulla. E visto che i Kim continuano a ragionare seguendo logiche incomprensibili, anche analizzare questa crisi è, purtroppo, inutile.

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Claudia Astarita

Amo l'Asia in (quasi) tutte le sue sfaccettature, ecco perché cerco di trascorrerci più tempo possibile. Dopo aver lavorato per anni come ricercatrice a New Delhi e Hong Kong, per qualche anno osserverò l'Oriente dalla quella che è considerata essere la città più vivibile del mondo: Melbourne. Insegno Culture and Business Practice in Asia ad RMIT University,  Asia and the World a The University of Melbourne e mi occupo di India per il Centro Militare di Studi Strategici di Roma. Su Twitter mi trovate a @castaritaHK, via email a astarita@graduate.hku.hk

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