Rinasce Forza Italia senza feste e bandiere
ANSA/ALESSANDRO DI MEO
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Rinasce Forza Italia senza feste e bandiere

Speranza e apprensione tra i delegati al Consiglio nazionale senza gli sfarzi di una volta

Silvio Silvio” lo chiamano i suoi fan. Lui scende dalla macchina, si avvicina per salutarli e raccogliere i loro incoraggiamenti. “Stavolta non possiamo sbagliare” gli gridano, lui sorride, stringe loro le mani, rimonta in auto e se ne va.

Silvio Berlusconi non dorme da tre giorni, oggi ha parlato per oltre due ore, a un certo punto ha avuto anche un malore “ma da noi viene sempre, è sempre gentilissimo e disponibile”.

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Certo, niente a che vedere con certi bagni di folla del passato, ma la giornata è un po' così: “grigia”. Proprio come il Cavaliere ha definito la situazione che nelle ultime settimane ha portato alla scissione con il suo ormai ex pupillo Angelino Alfano.

Che in circa due ore di discorso, lui non cita mai. Chiede a tutti, piuttosto, di non parlare male dei traditori (così sono appellati i governativi fuori e dentro l'auditorium del Palazzo dei Congressi dell'Eur), perché alla fine è con loro, con i “Cugini d'Italia” che, come con la Lega Nord e i Fratelli d'Italia, toccherà fare opposizione alla sinistra.

Si trattiene Berlusconi, o forse è solo davvero stanco. Se la prende con i giudici, la Merkel, l'Europa, i comunisti, il Pd, Letta, Monti, ma i toni sono più pacati del solito, “più da statista che da trascinatore della prima ora” commenta qualcuno.

Chi esattamente 20 anni fa era presente nello stessa sala dove oggi è risorta Forza Italia per assistere, allora, allo scioglimento della Democrazia Cristiana, parla di quel giorno come di un “funerale” e di questo, se non proprio come di una festa, almeno come di un “momento carico di speranza”.

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Ma anche di incertezza e preoccupazione. Sorrisi a denti stretti da parte di quasi tutti i big di quello che fu l'ormai ex Pdl, da Daniela Santanché – che seduta in prima fila non si alza quasi mai per applaudire il discorso del leader e che quando se ne va lo fa senza rilasciare ulteriori dichiarazioni – a Gianfranco Rotondi che a chi gli chiede come è andata risponde solo con un laconico “è andata”.

Tra coloro che occupano le ultime file nella sala riempita con gli accompagnatori dei delegati lealisti per colmare i vuoti lasciati dai 2-300 che non si sono presentati, non tutti si spellano le mani per applaudire il Cavaliere.

I più entusiasti sono i delegati locali, le donne soprattutto che, con grande disappunto dei colleghi uomini, “oggi erano vestite troppo castigate” e i berlusconiani della prima ora.

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Come Remigio Ceroni, senatore delle Marche, che il 2 ottobre si astenne sulla fiducia al governo Letta. “Quando ho sentito che Silvio aveva cambiato idea all'ultimo minuto, ci sono rimasto quasi secco. Questo ritorno a Forza Italia, per chi come me aderì fin dal '94, è una grande emozione. Da molto tempo avvisavo Silvio che anche dentro il nostro partito c'era qualcuno che tramava per farlo fuori. Per quelli come me, i più fedeli rimasti a lungo emarginati, questo è il giorno della rivincita contro i traditori”.

In molti sono convinti che “intanto Alfano farà la fine di Gianfranco” e che, in fondo, se lo merita “perché i valori non possono essere calpestati per una poltrona”.

Per altri ancora peggio di Alfano c'è Maurizio Lupi che ieri ha invocato l'aiuto di Dio. “Mai mischiare il sacro con il profano” lo bacchettano.

Un delegato ci passa al telefono Giovanni, militante forzista di Porto San Giorgio. “Ma dove pensano di andare? Con una legge elettorale di tipo maggioritario sono destinati all'eclissi. Se mi riprenderei Alfano? Forse sì, ma solo a certe condizioni. Tutto quel potere se lo scordano, ricomincino dalla militanza”.

Ma a lasciare la porta aperta a chi ieri gliel'ha sbattuta in faccia, è lo stesso Berlusconi che, rivela Raffaele Fitto a chi gli siede accanto, “non dorme da tre giorni, è stanco, provato e ha tentennato fino all'ultimo momento”.

Ha sperato davvero, il Cavaliere, che Angelino e i suoi non arrivassero a tanto, “al punto di ammazzare il padre”. Ma non in modo freudiano, “perché quello sarebbe stato un gesto nobile mentre questo è solo opportunismo”.

Alle quattro del pomeriggio il Palazzo dei Congressi è ormai quasi deserto. Arrivato per primo, l'ultimo ad andarsene è Maurizio Gasparri. Anche la sala stampa resta semivuota. I pochi giornalisti si ritrovano a commentare l'assenza di Francesca Pascale, a domandarsi se il cane Dudù sia maschio o femmina e a confrontarsi sul buffet meno ricco del passato.

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Antipasti misti, mezze maniche al ragù, roastbeef, gateau di patate, crespelle di verdure, bigné alla panna, crostate di visciole e di albicoche, non hanno suscitato particolari entusiasmi. “Se vede che pure per il Belrusca c'è la crisi”. Infatti, nonostante le critiche, si sono spolverati via tutto.

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Claudia Daconto