Che fine hanno fatto i pacifisti?
ANSA / CESARE ABBATE
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Che fine hanno fatto i pacifisti?

Oggi non c’è più traccia di cortei, né di bandiere arcobaleno. A sinistra, ma anche nel mondo cattolico. Perché?

Dove sono finite le bandiere arcobaleno che fasciavano i palazzi durante la guerra del Golfo? E i cortei e sit-in «per la pace» davanti alle ambasciate di Israele e Stati Uniti? Il pacifismo militante è sparito. Se ne duole Luciana Castellina, icona della sinistra giurassica che sul Manifesto denuncia la mancata mobilitazione di piazza per Gaza contro Israele. I pacifisti non godono di buona salute e litigano tra loro: gli scout si sfilano dalla marcia Perugia-Assisi del 19 ottobre, e puntano l’indice sulla «poca trasparenza» dei bilanci.

Di più. Un’altra storica icona della non-violenza, il Mahatma Gandhi, finisce sotto accusa nei libri della star del progressismo antimperialista autrice del Dio delle piccole cose, l’indiana Arundhati Roy: «Gandhi? Mito occidentale completamente falso» concorda Jacques Attali, che lo dipinge nella sua biografia del Mahatma come «estremamente reazionario e fautore della separazione fra caste». Lo stesso Papa Francesco, che aveva galvanizzato i nostalgici del pacifismo dichiarandosi contro la (solo) annunciata guerra di Barack Obama in Siria, ribadisce invece in Iraq il diritto di «fermare l’aggressore ingiusto».
A fornire la chiave per capire «il declino del pacifismo ideologico che si esprime nelle classiche marce per la pace» è il direttore del Dipartimento di scienze politiche dell’Università Cattolica di Milano, Massimo de Leonardis, autore di un saggio sulla guerra nelle relazioni internazionali, Ultima ratio regum (edizioni Monduzzi), che è la frase fatta incidere dal Re Sole sui cannoni per significare la ratio, l’argomento a cui ricorre il potere sovrano quando tutti gli altri si sono rivelati inutili: la guerra.

«Il pacifismo di sinistra è finito se non nelle frange più intransigenti» spiega de Leonardis. «Perché è finita la Guerra fredda in cui c’erano due schieramenti precisi, ma perché quel pacifismo era rivolto contro l’uso delle forze armate in interventi regolari, come i conflitti in cui uno stato ne invade un altro». Oggi non è più così. «Invece della guerra classica, c’è una violenza internazionale diffusa. Dopo la Seconda guerra mondiale nessun conflitto è stato più dichiarato, neppure l’invasione e la liberazione delle Falkland. Il conflitto del Kosovo aveva una legittimità controversa, i paesi Nato erano 16, nel frattempo divennero 19, e 17 erano guidati da governi di sinistra o di centrosinistra. In Italia, dal primo premier postcomunista, D’Alema».
Ma una differenza c’è. «La prima condizione per la guerra giusta nella tradizione cattolica è che solo lo stato sovrano abbia diritto di farla. Ora Papa Francesco dice che gli stati sovrani possono agire solo su mandato dell’Onu. Naturalmente le guerre si fanno anche senza, come in Kosovo o in Iraq, oppure forzando il mandato: in Libia dalla difesa dei civili si passò all’abbattimento di Gheddafi». Il pacifismo gandhiano totale «è difficile trovarlo, il pacifista in realtà ha a cuore una causa particolare. Oggi un atteggiamento coerentemente pacifista, assoluto, non ha più rilevanza politica».  

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Marco Ventura

Inviato di guerra e cronista parlamentare de Il Giornale, poi  collaboratore de La Stampa, Epoca, Il Secolo XIX, Radio Radicale, Mediaset e La7, responsabile di uffici stampa istituzionali e autore di  una decina fra saggi e romanzi. L’ultimo  "Hina, questa è la mia vita".  Da "Il Campione e il Bandito" è stata tratta la miniserie con Beppe Fiorello per la Rai vincitrice dell’Oscar Tv 2010 per la migliore  fiction televisiva. Ora è autore di "Virus", trasmissione di Rai 2

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