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Calcio

Il ritorno della violenza ultras

L'agguato in autostrada tra tifosi di Roma e Napoli, il razzismo e le curve in fibrillazione: cosa succede dentro e fuori gli stadi italiani? I numeri dicono che si sta tornando verso gli anni bui

La penultima fotografia del calcio italiano spedita in giro per il mondo era stata quella della curva dell'Inter svuotata a suon di insulti e schiaffoni per celebrare la morte del capo, assassinato a chilometri di distanza per motivi ancora da chiarire. Poi l'ubriacatura del Mondiale qatarino, le feste e la ripartenza. Con gli ululati razzisti indirizzati dai laziali al leccese Umtiti, stigmatizzati ovunque e costati la chiusura della curva per un turno. Ora la vergogna di Arezzo, la mattinata di scontri che ha paralizzato la A1 spezzando in due l'Italia perché due gruppi ultras nemici dovevano regolare conti vecchi di anni.

Tutto come se le lancette dell'orologio fossero tornate indietro nel tempo, al periodo degli scontri frequenti, delle risse e degli agguati come quello dell'area di servizio Badia al Pino est, provincia di Arezzo. Dove nemmeno il preallarme e la scelta di schierare le forze dell'ordine è stata sufficiente ad evitare che centinaia di facinorosi si dessero appuntamento per cercare vendetta. Rischiando di macchiare nuovamente di sangue quei metri d'asfalto in cui nel 2007 perse la vita il povero Gabriele Sandri.

Se tre indizi fanno una prova, siamo alla vigilia di una nuova stagione di guerre dentro e intorno alle curve italiane. Da nord a sud, quasi senza distinzione. Così come a novembre dopo i fatti di San Siro, la politica promette giro di vite e misure repressive in attesa che gli investigatori ricostruiscano in maniera compiuta le responsabilità della domenica di follia lungo la A1 che ha causato enormi disagi a migliaia di persone in viaggio oltre a veicolare l'immagine di un Paese che si blocca per una partita di calcio.

Responsabilità che sono anche organizzative; l'incrocio tra le tifoserie di Napoli e Roma è considerato ad altissimo rischio dal 2003 e dalla finale di Coppa Italia costata la vita al napoletano Ciro Esposito in una delle giornate più nere del nostro calcio. E' possibile che si debba tornare a scrivere i calendari utilizzando come primo parametro la tutela dell'ordine pubblico o che si rischi di riaprire la stagione delle trasferte vietate in maniera massiccia e dei settori vuoti negli stadi.

Un tuffo nel passato che la Serie A non si può permettere, ma che è figlio dell'incapacità di eradicare per sempre il fenomeno della delinquenza da curva, ben noto sia ai dirigenti che a chi governa l'ordine pubblico eppure sempre tollerato (anche e soprattutto dai secondi) in nome della gestione della sicurezza. Pochi hanno provato a invertire la rotta. Agli osservatori più attenti non sarà sfuggito il giubilo con cui gli ultras della Juventus hanno salutato l'addio di Andrea Agnelli. La colpa? Non gli errori di gestione degli ultimi anni ma la scelta, sulla scia dell'inchiesta Alto Piemonte, di denunciare infiltrazioni e ricatti svuotando la curva dei suoi leader.

Il ritorno alla violenza legata al calcio non è in realtà una novità di questo inverno. I dati dell'Osservatorio sulla scorsa stagione avevano già registrato una preoccupante impennata: 44 partite terminate con feriti di cui 25 di Serie A. E' come se, tornando negli stadi dopo le lunghe limitazioni della pandemia, i gruppi ultras abbiano sentito l'esigenza di riappropriarsi del proprio territorio, riaffermandolo come zona franca dalle regole dello Stato. Una sfida diretta cui si lega anche parte del destino del pallone italiano.

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Giovanni Capuano