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Ansa
Calcio

La confusione di Spadafora sui diritti del calcio in tv

Il Ministro dello sport chiede le partite in chiaro in caso di ripresa dopo la Fase 2. La prova che non ha ancora capito a fondo la questione

Ha detto il ministro dello Sport Vincenzo Spadafora, quello del cambio di idea - letteralmente - dalla sera alla mattina nella notte dell'8 marzo con il calcio prima autorizzato (dal suo Governo) e poi messo a rischio (da lui stesso) con Parma e Spal già in campo: «Se riprenderà il campionato, stavolta prenderemo seriamente in considerazione questa opportunità di trasmettere le partite in chiaro per garantire a tutti gli italiani la possibilità di vedere i match, proprio per la funzione sociale che ha il calcio».

Lo ha detto a 48 ore dal super vertice con il mondo del pallone per pianificare la ripresa degli allenamenti il 4 maggio, data magica dell'inizio della Fase 2 in tutto o quasi il Paese. Ripresa degli allenamenti peraltro da lui stesso annunciata via Facebook lo scorso 16 aprile, precisando che si trattava di allenamenti «esclusivamente a porte chiuse» e invitando le federazioni a dotarsi di protocolli di sicurezza medico scientifici. Quello che la Figc ha fatto con un documento di 47 pagine sottoposto alla sua validazione.

Ora, solo gli imbecilli non cambiano idea e quindi non è un problema se il ministro ha cambiato idea pur dovendosi sottolineare che dal 16 al 21 aprile la situazione sanitaria complessiva del Paese è migliorata e che le previsioni parlano di "contagio zero" ovunque, tranne che in Lombardia e Marche, entro la fine di maggio. La cosa surreale, però, è che nel dibattito sull'eventuale ripartenza venga sguainata come una spada la tematica del calcio in chiaro e gratis in televisione. Come se non si fosse capito che uno dei motivi fondamentali che spinge il pallone a cercare la ripartenza - in Italia e nel resto d'Europa - è proprio cercare di tenere vivi i contratti da centinaia di milioni di euro con i broadcaster senza i quali una fetta importante dei club rischia il default.

Per venire incontro, però, all'impostazione data dal ministro al dibattito ci permettiamo di dare qualche altro suggerimento perché la ripresa economica delle attività del Paese possa rispettare pienamente la "funzione sociale" di ciascun settore e, visto che siamo in tema, invogliare la gente a stare a casa senza farsi venire la tentazione di uscire. Ad esempio, si potrebbe stabilire che in concomitanza con la trasmissione gratuita delle partite del campionato pizzerie, ristoranti e food delivery garantiscano la fornitura gratis a casa del cibo ordinato. E che nel contempo anche le grandi piattaforme di streaming rinuncino a farsi pagare gli abbonamenti: non si capisce perché il marito possa guardarsi la partita gratis in sala e la moglie debba essere costretta a spendere per una serie Netflix in camera da letto.

Allagando il concetto, perché obbligare al pagamento di beni non essenziali acquistati nella cosiddetta Fase 2 e cioè prima del ritorno alla piena normalità, senza morti e contagi? Si potrebbe fare con automobili (a meno che non si dimostri di non poterne proprio fare a meno), alta moda (fatto salvo l'indispensabile cambio di stagione nel guardaroba), giocattoli (almeno fino a Natale), gioielleria e così via. Un paradosso, ovviamente. E una provocazione. Con un'unica morale, si spera condivisa: se il 4 maggio o anche più tardi non ci saranno le condizioni per far entrare il settore economico del calcio nella Fase 2 e poi nella Fase 3, il calcio non dovrà ripartire. Ma il tentativo legittimo dei suoi dirigenti di immaginare una pseudo normalità, così da limitare i danni e mettere al riparo decine di migliaia di posti di lavoro diretti e dell'indotto, sia liberato dal ricatto ideologico e un po' populista di queste settimane. Non è un passatempo per ricchi e non può essere espropriato del suo business, in questo caso della possibilità, ripartendo, di vendere e non regalare i propri prodotti. Non lo si chiede a nessuno in questo martoriato Paese, non si capisce perché debbano farlo gli industriali del pallone.

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Giovanni Capuano