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Calcio

Inter e Milan, senza nuovo San Siro un futuro da comprimari

La lotta impari della Milano del calcio contro le big d'Europa: ecco come in dieci anni si è scavato un gap quasi incolmabile. Cosa vuole fare la politica?

La cartolina della prima settimana della Champions League con Inter e Milan nella parte delle squadre coraggiose, che hanno sfiorato l'impresa, eppure uscite sconfitte contro Real Madrid e Liverpool è un'immagine alla quale il calcio italiano farebbe bene a non assuefarsi. E insieme ad esso, sarebbe utile che a non rassegnarsi alla decrescita (poco) felice di due dei top club della Serie A fosse tutto il sistema, compresi gli stessi tifosi di Inter e Milan e il tessuto sociale in cui le due società operano da decenni. Il discorso può essere brutale, ma va sintetizzato così: essendo ormai sepolto nel tempo il calcio dei mecenati e anche quello dei costi a misura di imprenditore, o Inter e Milan vengono messe nella condizione di competere davvero al massimo livello in Europa oppure il finale della storia è scritto e la pandemia, con la crisi conseguente, non è altro che un acceleratore nello scavare il gap tra noi e gli altri. Un fossato che esiste ormai da almeno vent'anni e che nelle ultime stagioni è diventato così ampio da impedire non solo i risultati ma anche di poter coltivare sogni di gloria.

Si può accettare? No. Ma per evitare che il trend diventi irreversibile bisogna muoversi senza vivere nell'illusione che l'Italia sia quella che ha dominato l'Europa a Wembley o che basti qualche sporadica impresa per interrompere la caduta. Devono esserne consapevoli tutti, per primi i milioni di supporter di Inter e Milan costretti a vivere con la testa rivolta ad un passato ricco di trionfi e gloria mentre il presente racconta una realtà molto più dura: il Milan è tornato in Champions League dopo un'assenza lunga sette anni (11 marzo 2014) mentre l'Inter nelle ultime 19 gare giocate nell'Europa che conta ne ha vinte solo 5. Troppo poco per non essere una comprimaria confusa nel gruppo.

NO STADIO, NO GRANDE SQUADRA

Dal luglio 2019 Inter e Milan hanno depositato al Comune di Milano un progetto di fattibilità per il nuovo San Siro, stadio meraviglioso e carico di storia ma anche di evidenti limiti strutturali per immaginare che possa essere riqualificato e proiettarsi nel confronto con le altre grandi cattedrali europee, quelle nate dal 2000 in poi. Hanno discusso con l'amministrazione, corretto il progetto, ridotto alcune richieste e attendono che la politica milanese compia un passo definitivo. Due anni finiti nel congelatore, tra dibattiti sulle proprietà dei due club e tenzoni politiche con la scadenza elettorale a fare da scudo. A parole sono (quasi) tutti d'accordo con l'idea che un nuovo San Siro si debba fare, nelle sfumature ciascuno mette i distinguo che allungano i tempi e hanno reso fin qui inattuabile un'operazione che sarebbe la prima spinta per Inter e Milan nella strada del ritorno ai vertici.

Non è solo un dibattito di grande economia e finanza, ma milioni di tifosi devono sapere che si traduce e tradurrà in investimenti sulle loro squadre. E' impensabile che Suning ed Elliott, fino a quando ci saranno, buttino centinaia di milioni di euro in campagne di mercato disequilibrate senza un piano complessivo che faccia crescere i rispettivi club. Brutalizzando: vuoi tenere Lukaku e Donnarumma? Oggi non si può, il giorno che ci sarà un nuovo San Siro, forse, sì.

San Siro oggi: una cattedrale senza nulla intorno. Silente se non nel giorno delle partiteAnsa

MILAN E LIVERPOOL, CONFRONTO IMPARI

La stoica resistenza del Milan ad Anfield ha riscaldato i cuori rossoneri e raccolto applausi trasversali. Bene, bravi e purtroppo bis. Nel senso che difficilmente la prossima volta ci sarà uno scenario diverso e quella dopo ancora. Ma bisogna che i tifosi del Milan sappiano che il gap tra la loro squadra e quella di Klopp è gigantesco: dal 2017 al 2019 (ultime due stagioni pre Covid, elaborazione dati Deloitte) il Milan ha fatturato 116 milioni di euro in meno rispetto al Liverpool alla voce matchday. E ne ha presi 45 in meno rispetto all'Atletico Madrid, altro avversario di questa Champions League.

E bisogna che i tifosi sappiano che le tre squadre al top della Serie A (Juventus, Inter e Milan) per ricavi da stadio nello stesso arco di tempo hanno fatto segnare un desolante -375 milioni rispetto alle Top3 della Premier League, -434 sulla Liga spagnola e -140 rispetto alla Bundesliga tedesca. Come immaginare di correre la stessa finale dei 100 metri dovendo tenersi sulle spalle un elefante. Impossibile. Meno introiti, meno risorse da investire sulla competitività della squadra. Vale anche per l'Inter sconfitta dal Real Madrid che, pure in tempo di carestia, si è permesso di prendere il giovane talento Camavinga (40 milioni bonus compresi) e mettere sotto ricchissimo contratto Alaba. Dal 2017 al 2019 il Bernabeu ha generato ricavi superiori per 202 milioni di euro rispetto a San Siro nerazzurro malgrado i record di presenze e una presenza media di oltre 61mila spettatori.

PERCHE' IL VECCHIO SAN SIRO SIGNIFICA DECLINO

Non è solo un problema di prezzi applicati ai tifosi, tema delicatissimo come dimostra la vicenda della proteste dei milanisti per il listino Champions League di questa stagione, con marcia indietro del club. San Siro è uno stadio costruito negli anni Venti (del '900), più volte ampliato e ristrutturato a arrivato al limite delle sue possibilità di adattarsi al futuro. Che significa opportunità per i club di fornire servizi in un ambiente confortevole, attirare nuove generazioni di supporter, integrare la partita con altre esperienze anche multimediali e ricavare maggior spazi ad alta redditività come le aree hospitality o i settori Premium. Il vecchio Siro ha 30 Sky box, due aree lounge e una di palchi corporate ed è considerato già all'avanguardia in Serie A dove i soliti tre top club ricavano mediamente 634 euro a stagione per ogni singolo posto contro i 1.380 della Liga, i 1.306 della solita Premier League e i 945 della Bundesliga.

Moltiplicato per ogni singola stagione e spalmato su 5-10 anni significa condannarsi alla mediocrità. Dal 2017 al 2019 la Premier League ha generato ricavi da stadio tre volte superiori alla Serie A e la Liga ha moltiplicato per due, offrendo di conseguenza uno spettacolo molto più vendibile anche a livello commerciale e televisivo: altri introiti che contribuiscono a rendere incolmabile il gap che si è scavato. Il Covid ha accelerato il processo e rischia di farlo ancor di più nella fase d'uscita dall'emergenza pandemica. Non sarà sfuggito il colpo d'occhio di Anfield tutto esaurito con incasso multimilionario per il Liverpool laddove in Italia i club hanno dovuto attendere e lottare con i denti per raggiungere il compromesso della capienza al 50% a scacchiera senza alcuna certezza di aperture ulteriori; situazione che li ha obbligati a vivere alla giornata, rinunciare alle campagne abbonamenti, impegnarsi in una faticosa rincorsa alla (ri)fidelizzazione dei propri clienti-tifosi.

SERIE A, LA LENTA DISCESA

Tutto questo ha portato all'attuale fotografia della nostra competitività nell'Europa che conta. Dal 22 maggio 2010, giorno del Triplete interista di Moratti e Mourinho, nessuna italiana ha più vinto la Champions League e solo la Juventus (l'unica che da un decennio ha una struttura nuova e di proprietà insieme ad Atalanta, Sassuolo e Udinese) ha raggiunto due volte la finale nel 2015 e 2017. Nel 2006 comandavamo il ranking Uefa con Milan (1°), Inter (4°) e Juventus (5°) nella Top10. Quindici anni dopo è rimasta, guarda caso, solo la Juventus (9°) mentre le milanesi sono sparite. Dal 2011 al 2021 l'Italia non ha più conquistato alcuna competizione Uefa contro le 27 della Spagna, le 9 dell'Inghilterra e le 6 della Germania. Il futuro prossimo non sembra dare segnali di inversione del trend, anzi. Le difficoltà della Juventus nel reggere la competizione economica, certificate dalla necessità di ricorrere in breve arco di tempo a due aumenti di capitale da 700 milioni di euro complessivi, rischiano di togliere alla Serie A anche la 'punta di diamante' nel confronto con il resto d'Europa.

Senza ricavi certi e strutturali – lo stadio li rappresenta per eccellenza – nessuno potrà più investire sui top player che andranno altrove. La Serie A può ridursi al ruolo di campionato di formazione? Può assistere impotente alla sua marginalizzazione? Inter e Milan devono rassegnarsi alla decrescita (in)felice? Posto che non possono chiedere a Suning ed Elliott (o a chi per loro) di comportarsi come hanno fatto per decenni Moratti e Berlusconi in un calcio che non c'è più, la risposta è che solo dotando i due club degli strumenti per competere Milano sfuggirà al destino di perdere una sua eccellenza, quella che ha portato sotto la Madonnina 10 coppe dei Campioni, 27 trofei internazionali complessivi e 36 scudetti.

Il database Transfermarkt, che fotografa la quotazione di mercato di calciatori e rose, rimanda un'immagine impietosa della situazione: dal 2015 nessun club italiano figura nella Top10 come valore stimato del parco giocatori quando nel 2010 erano tre. Alla fine dell'ultima sessione di calciomercato il valore delle prime 5 squadre della Serie A era di 2,6 miliardi di euro contro i 4,4 delle corrispettive della Premier League. L'Inter è 12°, il Milan addirittura 16° dietro il Napoli di De Laurentiis. Il gap che nel 2006 era a nostro favore e nel 2010 limitato a -307 milioni è diventato così ampio da incidere direttamente nella competizione. I risultati del campo lo dimostrano. L'impossibilità di accedere ai ricavi direttamente collegati (premi Uefa, market pool e così via) chiude il cerchio. Un'inerzia che Milano può spezzare solo lasciando che Inter e Milan corrano ad armi pari, usando i soldi dei propri azionisti di maggioranza (1,2 miliardi di euro quelli preventivati per l'intero progetto nuovo San Siro) e raccogliendone i frutti anche al di fuori del campo visto che, dove alle parole sono seguiti i fatti, le ricadute economiche sono state positive anche sul tessuto sociale.

La Figc stima che se gli stadi italiani che hanno un'età media di oltre 60 anni, fossero davvero rinnovati o ricostruiti da zero dove si può e si deve, si creerebbero 25.000 posti di lavoro, 3,1 miliardi di gettito fiscale extra e oltre 25 miliardi di ricavi collegati destinati ad attività commerciali, trasporti, manifattura e comunicazione. Ce ne sarebbe a sufficienza per non perdere altro tempo. O, meglio ancora, perché i tifosi che si sono commossi ad Anfield e hanno masticato amaro per il blitz del Real Madrid a San Siro pretendano dai propri amministratori di passare in fretta e senza ulteriori tentennamenti dalle parole ai fatti.

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Giovanni Capuano