Bersani sicuro di vincere (e se facesse la fine di Occhetto?)
Renzi lo sfida e Monti lo insidia. Il segretario del PD, che era sicuro di vincere, comincia a tremare
Si dice pronto a assumersi la responsabilità di governare, davanti all’Italia e davanti al mondo. Pier Luigi Bersani è (era?) sicuro di vincere. Questa responsabilità non ha voluto assumersela quando Silvio Berlusconi si è dimesso da presidente del Consiglio. Allora i tempi non erano maturi, il PD non era pronto: niente elezioni anticipate. Meglio promuovere (“va’ avanti tu che a me vien da ridere”) un esecutivo che prendesse le decisioni dolorose e impopolari che ha preso questo governo.
Ora, Bersani si è deciso. Pregusta l’ingresso a Palazzo Chigi. È addirittura impaziente, dà l’impressione del leader d’opposizione cresciuto di rimessa che tenta di trasfigurarsi in capopopolo vincente e presidente del Consiglio in grado di parlare a tutti gli italiani. Pur di riuscire, annuncia alleanze le più vaste (e confuse) possibili. Ma comincia a tremare per l’offensiva di Matteo Renzi, il sindaco di Firenze che ha sfidato la nomenklatura del PD e miete consensi crescenti fuori e dentro il partito. Nella tenaglia tra Renzi e le pressioni per il Monti-bis, la macchina di Bersani potrebbe ribaltarsi e il suo sogno di gloria trasformarsi in beffa cocente, un po’ come quella che condannò Occhetto, timoniere della gioiosa quanto fallimentare macchina da guerra anti-berlusconiana del 1994, a ritirarsi a vita privata. Dalle stelle (o, meglio, a un passo dalle stelle) alle stalle.
Un doppio incubo. Da un lato Renzi, dall’altro Super Mario. Già, Monti: il “tecnico” chiamato dai partiti e dai poteri forti a togliere le castagne dal fuoco alla politica mettendo la faccia su provvedimenti che nessun leader (da Berlusconi a Bersani) voleva intestarsi. Ora Monti potrebbe succedere a se stesso. Spinto da ambienti bancari, imprenditoriali e istituzionali per convinzione o perché garante di una politica che penalizza la classe media ma tutela banche, finanza e classi dirigenti, l’ex presidente della Bocconi, ex Commissario Europeo e oggi senatore a vita provvisoriamente premier, continua a dire che la sua è un’esperienza transitoria, che presto andrà in vacanza. Non esclude di tornare a Palazzo Chigi, ma non si candiderà. Se tornerà a fare il primo ministro, sarà perché i partiti lo vorranno di nuovo, perché non avranno alternative. Casini è l’unico che sembra rassegnato a un risultato elettorale complessivamente incerto e a dire apertamente che ci sarebbe da augurarsi, dopo Monti, il Monti-bis. In realtà nessuno vuole (forse neppure Casini), ma quasi tutti in Parlamento lo votano e potrebbero votarlo ancora, il prossimo anno.
L’Italia aveva avuto premier forti, espressione di partiti di maggioranza relativa, ma anche premier che conquistavano Palazzo Chigi perché aghi della bilancia in un panorama politico frammentato e instabile. Infine, “tecnici” chiamati a guidare l’esecutivo (Dini e, in un certo senso, anche Prodi e Amato). Mai, però, aveva avuto un capo del governo sostenuto (seppure tra i mal di pancia) sia dalla maggioranza sia dall’opposizione. E mai nel Palazzo si era disquisito, alla vigilia delle elezioni, di un presidente del Consiglio non candidato. La morale è che c’è ancora troppa sfiducia da parte degli italiani in questa classe politica e in questi partiti.
Monti è l’altra faccia di Grillo. Tra l’uno e l’altro, c’è ancora spazio per un candidato capace di incarnare il nuovo e restituire agli italiani un pizzico di fiducia nella politica. Proviamo a dargli un nome?