Algeria proteste
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Algeria, la rivolta nel paese può moltiplicare i migranti

Il collasso politico in Algeria alla vigilia delle elezioni potrebbe avere gravi effetti anche sul nostro paese

"L’Algeria rischia uno scenario siriano" ha messo in guardia il primo ministro Ahmed Ouyahia, dopo le proteste di massa delle ultime settimane. «Da anni il fuoco covava sotto le ceneri. Se si scatenasse una guerra civile, molti lascerebbero il Paese e l’unica via di fuga è il mare. La rotta verso la Sardegna non si è mai interrotta» sottolinea l’ex ammiraglio Fabio Caffio. La candidatura al quinto mandato del capo dello Stato, Abdelaziz Bouteflika, 82 anni, costretto su una sedia a rotelle da un ictus e addirittura - secondo il giornale Tribune de Genève - in pericolo di vita, ha acceso le manifestazioni di piazza.

L’Algeria è un gigante dai piedi d’argilla. Metà della popolazione ha meno di 30 anni e la disoccupazione giovanile si avvicina al 30 per cento. Una moltitudine che chiede un reale cambiamento, non ha nulla da perdere e non mollerà la protesta. Sul sito della nostra ambasciata si legge che «l’Algeria costituisce un partner d’interesse strategico per l’Italia». Se il Paese collassasse ci troveremo però di fronte ad una Libia all’ennesima potenza. Profughi in fuga sui barconi, terrorismo, interessi economici a rischio e destabilizzazione dell’area.

«Se l’Algeria entrerà in una “fibrillazione libica” il Mediterraneo centrale sarà semplicemente fuori controllo. Per l’Italia sarebbe lo scenario peggiore» spiega Marco Bertolini, ex generale dei paracadutisti e comandante dei corpi speciali. Tutti, ad Algeri, hanno il fiato sospeso in vista di una possibile discesa in campo delle forze armate, che gestiscono il potere reale fin dai tempi dell’indipendenza del 1962. L’esercito algerino è il meglio attrezzato del continente dopo il Sudafrica. I militari hanno a disposizione il 6 per cento del Pil, che equivale al 54 per cento della spesa per la Difesa dei paesi del Nord Africa.

Il comandante effettivo e garante di Bouteflika è il capo di Stato maggiore e viceministro della Difesa, Ahmed Gaid Salah, che si è formato nelle accademie sovietiche. L’ultimo ufficiale di rango superiore ad avere partecipato alla mattanza degli anni Novanta: allora sulle forze jihadiste che avevano vinto le elezioni si concentrò la repressione dell’esercito e queste imbraccirono le armi. Il tremendo bilancio della guerra civile fu di oltre 150 mila morti. Non a caso il generale Salah sta ripetendo il monito: «C’è chi vuole riportare il Paese agli anni della violenza». Il 25 febbraio scorso il ministro della Difesa, Elisabetta Trenta, ha incontrato ad Algeri il capo di stato maggiore, che ha ribadito: «Siamo pronti a sviluppare una maggiore cooperazione tra i nostri eserciti per aumentare la sicurezza nel bacino sud del Mediterraneo, specialmente per quanto riguarda la lotta al terrorismo». Difficile se la situazione precipitasse, anche se dal 2005 abbiamo firmato un accordo che «consiste nello sviluppare la cooperazione militare e tecnica tra Italia e Algeria, in uno spirito di reciproca amicizia».

Lo scorso settembre Leonardo ha annunciato l’insediamento di una fabbrica in Algeria, per produrre elicotteri AgustaWestland. Per ora la protesta anti-Bouteflika rimane sotto controllo, ma «l’Algeria è collegata al Maghreb sul fianco sud, dove non sono debellate le cellule legate all’Isis e di Al Qaida, che puntano ad infilarsi nell’instabilità» osserva ancora Marco Bertolini.

È Paese fondamentale anche per la stabilità della Libia e delle altre nazioni dell’area. «Una massiccia opera di prevenzione e lotta all’infiltrazione di terroristi è stata posta in essere da assetti algerini lungo le fasce confinarie con Tunisia, Libia e Mali, in uno sforzo che è risultato efficace» si legge nell’ultimo rapporto dei servizi segreti per il Parlamento. Federico Borsari, ricercatore dell’Ispi, il centro studi di geopolitica, monitora la situazione. «È come se ci fosse una “primavera araba” molto in ritardo. Nel 2011 l’avevano evitata temendo il ritorno al bagno di sangue del passato» spiega l’esperto. «L’escalation è possibile, ma tutto dipenderà dalle mosse dell’esercito e del regime. L’Italia e la comunità internazionale sono stati colti di sorpresa dalla velocità e magnitudo della protesta».

Il nostro Paese ha importanti interessi energetici ed economici in Algeria. Sono presenti circa 180 imprese, nello Stato nordafricano vive un migliaio di italiano e ad Algeri abbiamo una nostra scuola. Il grande business riguarda il gas, che importiamo per il 37 per cento, quasi nella stessa percentuale di quello che facciamo arrivare dalla Russia. «L’Eni ha siglato recenti accordi per nuove esplorazioni off shore» aggiunge Borsari. «Il problema è che la nostra capacità di incidere anche a livello europeo, per evitare il peggio, è scarsa se non nulla». Il gasdotto Transmed di 2200 chilometri, che arriva in Italia viene chiamato in modo non ufficiale «Enrico Mattei».

In Algeria operano anche altre grandi aziende italiane come l’Ansaldo, Saipem, Enel, Astaldi, Todini, Trevi e Bonatti. La paventata guerra civile non danneggerebbe solo i nostri interessi energetici ed economici. «Se salta il “tappo” algerino rischiamo di venire travolti da un’ondata di persone in fuga sui barconi» evidenzia una fonte di Panorama in prima linea sull’immigrazione «Nello scacchiere abbiamo una nave italiana ed un elicottero del Lussemburgo dello schieramento Frontex, che in caso di emergenza potrebbe venire potenziato».

Il governo algerino ha sempre usato il pugno di ferro deportando alle frontiere, spesso in mezzo al deserto, i migranti subsahariani. Se il Paese sprofondasse nella violenza e nell’anarchia rischiamo prima di tutto una nuova Libia, ma poi saranno soprattuto gli algerini a partire, con numeri che potrebbero tornare ai picchi delle primavere arabe. Vero è che la meta degli algerini è la Francia, ma per arrivarci spesso transitano dall’Italia. Al momento gli arrivi sono contenuti, ma la situazione potrebbe cambiare velocemente. La rotta clandestina già tracciata, soprattutto con gli sbarchi fantasma di piccoli e veloci natanti, arriva in Sardegna. Nel 2018 sono 1213 gli algerini approdati nel nostro Paese. Da inizio anno, il crollo del 95 per cento degli sbarchi, comporta numeri molto bassi; questa nazionalità nordafricana è però al 15 per cento, terza dopo tunisini e bengalesi.

«L’impegno di Algeri nel contrasto ai flussi migratori illegali verso l’Europa si è accompagnato ad una decisa azione di contenimento della spinta migratoria dal Sud» si legge nel rapporto annuale dei servizi segreti reso noto a fine febbraio. «Tutto questo in un Paese la cui tenuta resta nodale per gli equilibri della regione e che si appresta a vivere un delicato passaggio elettorale». Il voto presidenziale del 18 aprile può riattizzare la violenza e l’intelligence certifica che attraverso i barconi sono arrivati in Europa anche terroristi, seppur in numero limitato. «Trasferimenti effettuati con analoghe modalità» scrivono gli 007 «e quindi da considerarsi “a rischio”, hanno continuato a riguardare anche la tratta Algeria-Sardegna». © riproduzione riservata

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Fausto Biloslavo