Viaggio nelle mense dei nuovi poveri da lockdown
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Viaggio nelle mense dei nuovi poveri da lockdown

Reportage nel refettorio di Milano della Caritas: «Tanti tiravano avanti con lavoretti, magari in nero, che adesso sono scomparsi. E molti non hanno ricevuto la Cig»

Secondo gli ultimi dati diffusi dall'Istat, in Italia si contano 4,6 milioni di individui in povertà assoluta, ovvero persone che non possono permettersi determinati beni di prima necessità, come un tetto sotto il quale dormire e il cibo per nutrirsi. Anche in una città come Milano, dove negli ultimi mesi, complici gli effetti della pandemia, il numero di poveri è salito a livelli preoccupanti. Basta pensare che in un solo mese, tra ottobre e novembre 2020, la Caritas ambrosiana ha registrato 672 nuovi nuclei familiari che hanno richiesto la tessera per fare la spesa presso gli empori convenzionati. Il Covid ha acuito malesseri sociali e creato nuovi poveri con un impatto anche all'interno delle mense per i poveri, più che sulla quantità sulla qualità degli ospiti che le frequentano.

Dignità

Nel capoluogo lombardo esistono molti posti che erogano questo servizio, dalla mensa dell'Opera San Francesco a Pane quotidiano, passando per il Refettorio ambrosiano della Caritas. Rispetto al periodo precedente alla pandemia si presentano al sistema di aiuto della Caritas persone che fino a qualche tempo fa non si erano mai viste, persone cosiddette «insospettabili», che avevano un lavoro e l'hanno perso a causa del Covid e sono precipitate nel giro di poco tempo in uno stato di grave indigenza. Persone che svolgevano attività informali e riuscivano a sopravvivere approfittando delle opportunità che il mercato del lavoro, in alcuni casi nero, aveva messo loro a disposizione. Molte di queste sono vittime della grande crisi del 2008, dalla quale non si erano mai risollevati del tutto non avendo trovato un vero lavoro, ma a cui avevano saputo sopperire in qualche modo vivendo di lavoretti cancellati dal Covid: dalle colf ai parcheggiatori abusivi, fino ai buttafuori delle discoteche.

«Quel che emerge è una grande trasformazione dovuta alla pandemia che ha spazzato via una serie di attività informali con le quali questa tipologia nuova di persone che si rivolge ai nostri servizi riusciva ad avere un reddito minimo che consentiva loro di pagare un affitto e avere quelle risorse per soddisfare i bisogni essenziali», conferma il portavoce della Caritas ambrosiana Francesco Chiavarini. Nell'ultimo anno nella Milano di Beppe Sala, dove è innegabile che le priorità rispetto al divieto di fumo all'aperto, alle piste ciclabili o al green siano altre, è raddoppiato il numero di individui in condizioni di disagio tale - per lo più uomini e donne tra i 45 e i 54 anni - da dover chiedere aiuti alimentari. Tra questi il 30% è costituito da persone che avevano diritto alla cassaintegrazione ma l'hanno ricevuta troppo tardi, oppure in misura insufficiente per andare avanti con le proprie forze. Un altro 20% è costituito da persone che il lavoro lo hanno perso in quanto i contratti a tempo determinato con cui erano stati assunti non sono stati rinnovati. Numeri che nei prossimi mesi, con la fine del blocco dei licenziamenti, sono destinati a crescere inesorabilmente.

Raccontare la povertà non è mai semplice. Se non la si vive in prima persona, l'unico modo per provare a farlo è attraverso gli occhi e gli sguardi della gente. Attraverso l'umiltà e la dignità di persone che per avere un piatto sul tavolo mettono da parte imbarazzo, vergogna, orgoglio. Una minestra, un paio di gallette di pane tostato, un hamburger di pesce con contorno di patate al forno e una fetta di torta per dolce. Tutto recuperato dalle eccedenze alimentari provenienti dai supermercati della grande distribuzione e condito con la passione e l'affetto che i volontari della Caritas ambrosiana aggiungono tra gli ingredienti delle varie portate per far sentire a casa chi una casa non ce l'ha e chi rischia di perderla, per riempire, oltre che le pance, quegli sguardi apparentemente vuoti, segnati dai problemi della vita quotidiana, con gesti e parole.

lo chef e il regista

È questa l'atmosfera che si respira e si vive al Refettorio ambrosiano di Milano, dove ogni sera, tra l'acciottolio di posate e il profumo che dalla cucina invade quasi tutta piazza Greco, si accolgono 90 ospiti per la cena. Un posto che dal 2015 è in prima linea per combattere la povertà e che rappresenta un unicum fin dal nome: Refettorio, dal latino «reficere», cioè «rifare» e «recuperare». Motivo per cui, a differenza degli altri luoghi, si può accedere soltanto dopo essere stati indirizzati dai centri di ascolto (380 in tutta la diocesi) sparsi sul territorio. L'obiettivo non è quello di fermarsi all'offerta di un pasto caldo, ma di far proseguire gli ospiti in un percorso di accompagnamento e promozione umana.

«A Milano i posti dove mangiare sono tanti», spiega Chiavarini, «noi abbiamo voluto dare un significato diverso, ossia che chi viene qui non lo fa solo per mangiare ma anche per essere incluso in un progetto più ampio che va oltre la cena, e quindi un posto dove dormire, un aiuto per cercare un lavoro e vari servizi di accompagnamento sociale». Un luogo - nato e lasciato in eredità da Expo per volontà dello chef Massimo Bottura e del regista Davide Rampello - non solo materiale, ma anche spirituale, dove da una parte si aiutano persone a uscire da situazioni di grave difficoltà, e dall'altra si crea un manifesto contro lo spreco alimentare trasformando in pasti ciò che verrebbe buttato.

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Salvatore Drago