The View MIlano
(The Glamore Group)
Food

«The View Milano» il nuovo cuore della Milano, da bere (con stile)

Il nuovo locale, parte del The Galmore Group si mostra già eccellenza per la filosofia, la carta dei drink creata da Gabriele Sirtori ed una location su Piazza Duomo unica

Per i più nostalgici la Milano da bere non esiste più, si è estinta con l’arrivo del nuovo millennio, e forse anche prima. Eppure, nell’ambiente della mixology, Milano è considerata ancora una capitale del bere bene, al pari di Londra e di Barcellona. A testimoniarlo, un fenomeno in continua ascesa, quello di associare la ricettività più esclusiva ai nomi di grandi barman, in grado di prendere lo “spirito” di allora, mixarlo con un futuro fatto di ricerca e contaminazione, e condensare il tutto in un bicchiere, magari con vista sulla Madonnina.

È il caso di The Glamore (more than glamour), che promette di diventare il nuovo punto di riferimento dell’ospitalità, della ristorazione e del bere bene nel cuore pulsante di Milano. Un hub verticale, con accesso su Piazza del Duomo, camere, suites e ristoranti che dominano Galleria Vittorio Emanuele II e affacci a cui non ci si abitua mai, come quello di The View Milano al quinto e ultimo piano. Un occhio al Duomo, a Palazzo Reale e al Museo del ‘900, e l’altro alla vita che scorre ininterrottamente tra le geometrie dei marmi e dei graniti della piazza. In questa cornice prendono posto il ristorante guidato dallo chef Rafael Rodriguez con la sua proposta Nikkei (nippo-peruviana) ed il bar capitanato da Gabriele Sirtori, una vera perla nel cuore pulsante della città. Nella carta del bar i grandi classici non mancano, il servizio è fatto al tavolo e nella bottigliera ci sono solo premium line. Un lavoro di ricerca dietro, fatto per realizzare una lista di venti signature che sono apprezzatissimi e richiestissimi. A testimonianza del fatto che il cliente, oggi, vuole bere bene anche in pieno centro, guardando il Duomo, e non si accontenta più di uno scatto da pubblicare o di un semplice Spritz - che per altro qui è fatto ancora alla vecchia maniera, con il Select - ma vuole scegliere un gin in base alle botaniche, sa cos’è uno shrub, apprezza il tè infuso nell’alcool e in generale, vuole sperimentare lasciando carta bianca al barman. Segno che la Milano da bere è cresciuta, non invecchiata, ma maturata.

Gabriele Sirtori, Direttore e Barman «The View Milano»

Gabriele, Come si sta a Milano?

«Piazza Duomo non dorme mai. Non è paragonabile a le Ramblas di Barcellona, ma non ho mai vissuto un giorno in cui non facessi fatica a raggiungere il bar, sgomitando in Galleria Vittoria Emanuele II tra cittadini e turisti».

Una città che non si ferma mai, come The View?

«Già, siamo aperti 365 giorni all'anno. Il bar dalle 11 del mattino alle 2 di notte; il ristorante dalle 19 alle 23, con un servizio tapas da mezzogiorno fino alle 22».

Guardiamo oltre Piazza Duomo, come si beve a Milano?

«Insieme a Londra e a Barcellona, Milano è sicuramente una capitale del bere. Basti pensare al Camparino, nostro vicino di casa, dove ogni giorno c'è la coda per entrare. Per fortuna ci sono ancora i grandi bar dove resistono i professionisti che curano dal dettaglio del limone alla scelta del prodotto; poi c’è chi si limita a fare qualcosa di alcolico che riempie il locale».

Come si articola l’offerta dal punto di vista della miscelazione?

«In carta ci sono i classici, non possono mancare il MI-TO, il Negroni, il Manhattan. In più ci sono i nostri signature, che sono sette e sono pensati insieme al mio collega Gabriele Maderna. Sono buoni certamente ma hanno quella dose di presenza scenica che il nostro locale impone. In questo momento storico c'è una forte componente social che richiede un requisito non trascurabile, quello dell'instagrammabilità. In fondo, si tratta di creare qualcosa di talmente bello e particolare che la gente sia portata senza forzature a pubblicarlo sui loro profili, e di conseguenza a pubblicizzarlo. Uno dei drink è servito in una scarpa di cristallo con un lucidalabbra allo shrub di lampone da passarsi sulle labbra prima di degustare, così che la sensazione di frutti rossi sia enfatizzata. Un altro, ha la piccantezza del gin all'jalapeño, accompagnato dall'aria al peperoncino, e viene servito con due provette che servono ad aumentare o diminuire il grado di piccantezza».

Si gioca molto sull'aspetto estetico?

«L'occhio, spesso, guida l'acquisto. Ma questa è una regola di marketing che vale per tutti. Noi ci crediamo così tanto da inserire sul menu le foto dei cocktail. Il drink nella scarpa è uscito per la prima volta alle otto di sera e dopo poco sono arrivate tre comande di tavoli che sono rimasti colpiti vedendolo sul tavolo accanto. Nonostante costi cinquanta euro!»

Come si giustifica un drink da cinquanta euro?

«Sul costo finale influiscono: il contenuto, la vodka Belvedere Ten costa molto, poi c'è l'idea di chi l'ha pensato, il contenitore, che è costato tanto e va ammortizzato, e sicuramente la posizione e la vista dalla terrazza».

Quante persone lavorano dietro al bancone e in sala?

«Quattro barman e dieci camerieri, che si muovono a turno. Non sono pochi, ma va considerato che il servizio del bar è fatto al tavolo, in modo che il cliente veda la bottiglia e la quantità della base alcoolica che viene messa nel bicchiere. Lo stesso vale per i drink, la chiusura dello Champagne cocktail o del Mojito champagne, ad esempio, viene fatta in sala».

Chi sono i vostri clienti?

«Quelli interni dell'hotel The Glamore, ma anche quelli che provengono dai 5 stelle lusso qui intorno, dal Mandarin Oriental, dal Bulgari, o dal Four Seasons. Una clientela alto spendente che sa e vuole bere bene e ci scelgono perché trovano un ambiente riservato».

Cosa cerca un vostro cliente medio?

«Il cocktail più bevuto a Milano è ancora lo Spritz, che propongo nella versione originale con il Select. Da noi non è così richiesto. Nella top ten ci sono Daiquiri, Bellini, Margarita, Negroni e Americano».

E se volessi un bicchiere di vino?

«La carta vini è firmata da Alessandro Troccoli, professionista a livello mondiale. Ha inserito champagne di altissimo livello, distillati importanti come il Port Ellen 40anni, il Rum Havana Maximo».

Esiste una proposta pairing con i piatti del ristorante?

«È in fase di studio un abbinamento completo in pairing con il menu. Al momento abbiamo un piatto di noodles con king crubs che abbino ad un cocktail che ha fiori commestibili e frutta, succo di cedro, yuzu e gin, completato con una spruzzata di profumo di Louis Vuitton».

Quanto studio c’è dietro una proposta del genere?

«Prima di tutto c'è pazzia, poi viene un grande lavoro di pazienza e di sensi. Dietro la ricettazione dei drink, dietro la scelta dei distillati, prima dell'apertura del locale, c'è stata una lunga selezione».

Ci sono tè in carta?

«Sto studiando per diventare tea sommelier. Sono un appassionato della materia, per questo ho inserito in carta del tè bianco, tè giallo, il Rooibos Earl Grey e il tè Matcha. Anche qui il servizio è fatto come tradizione impone, quindi si usa una teiera con filtro lungo, una clessidra per il tempo di infusione, e viene servito alla giusta temperatura in base alla tipologia di tè. Lo usiamo anche in miscelazione perché ammorbidisce l'effetto dell'alcool ed i sapori si mischiano piacevolmente».

Dà l'idea di essere quasi un piccolo alchimista.

«La nostra linea è simile a quella di cucina. Al bancone siamo in quattro a lavorare e all'interno abbiamo uno spazio in cui facciamo tutte le preparazioni, le prove, gli sviluppi vari. Un drink passa almeno da venti prove e altrettanti errori prima di entrare in carta».

Dietro al bancone due uomini e due donne. Chi vince?

«Lavoro da sempre con le barlady, le trovo più precise a livello tecnico, e più eleganti nella costruzione delle decorazioni. Elisa e Giorgia, le nostre barlady, sono un esempio per tutti in fatto di fame di sapere, di interesse, di entusiasmo e di organizzazione».

Quanta tecnologia c'è dentro la miscelazione?

«La tecnologia aiuta molto sia la preparazione che la decorazione e finitura del cocktail. Si può lavorare con l'aria, le bolle, concetti che qualche anno fa erano sconosciuti. La tecnologia è evoluzione e aiuta a semplificare il lavoro, soprattutto quando devi servire 400 drink al giorno».

La vostra carta con che cadenza cambia?

«I grandi classici restano sempre. I nostri drink hanno una turnazione ogni due mesi, in base alla stagionalità. In inverno abbiamo in carta un cocktail con il melograno, un altro con il mandarino a base rhum, partendo sempre dalla frutta fresca. Stiamo studiando anche un drink con la castagna».

Avete difficoltà a reperire personale?

«Più che altro, trovo sempre più difficile trovare gente che ti ascolti e ragazzi educati e non presuntuosi. Al momento non ci manca forza lavoro, sono molto fortunato, anche perché mi piace insegnare ai giovani. Tanti colleghi hanno abbandonato il lavoro una volta finita la pandemia, perché si sono ricordati quanto era bello vivere la sera, o forse perché la passione non era così forte. Non saprei identificare una causa di questa grave mancanza di personale, ma tant’è, bisogna farci i conti e lavorare di conseguenza. Motivare le persone con cui lavori è fondamentale per accendere o riaccendere un fuoco. Anche questo fa parte dei compiti di un bar manager».

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Nadia Afragola