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(Ansa)
Televisione

Nel 2023 la tv italiana è cambiata, ma restano vecchi problemi

Bilancio di un anno passato davanti al piccolo schermo

Fine anno, epoca di bilanci, bilanci televisivi. Avremmo potuto fare meglio, contenere le manifestazioni più deteriori del nostro essere e prevenire lo scontro, a Ballando con le stelle, fra Teo Mammuccari e Antonio Caprarica? Avremmo dovuto salvare Barbara d’Urso dall’epurazione o impedire a Monteleone di ergersi ancora una volta a paladino di Rosa e Olindo? Avremmo dovuto trovare un equilibrio migliore tra il vecchio e il nuovo, investire su volti mai visti e talenti nascosti? Forse. Forse avremmo dovuto, forse sarebbe stato meglio fare diversamente. Ma l’anno, ormai, è chiuso e le consapevolezze non possono che tramutarsi in buoni propositi. «Faremo», «diremo», «saremo»: migliori, attenti, versioni aggiornate di quello che non siamo stati nel 2023, un anno che – televisivamente – ha avuto, però, i suoi punti di svolta.

LA RAI È ENTRATA NEL NUOVO MILLENNIO

È successo. È successo anche in Rai, dove nessuno sembrava più sperare di vedere un giorno altro all’infuori delle fiction. Mare Fuori è arrivato, e con questo l’ingresso in un mondo nuovo, digitale: quel genere di mondo che altrove esiste da tempo. La Rai ha prodotto, per la prima volta nel corso della propria storia, una serie capace di vivere oltre lo spazio della prima serata. Un fenomeno, matto, virale. Mare Fuori, di cui a febbraio sarà diffusa la quarta stagione, è stato il più eclatante caso televisivo dell’anno, l’unico che ha potuto portare RaiPlay a correre la grande competizione delle piattaforme streaming. Netflix l’ha voluto sulla propria library, il teatro ne ha fatto un musical, il New York Times, nella propria edizione domenicale, ha dedicato un intero reportage allo show italiano, all’entusiasmo che ha saputo suscitare, al pubblico che ha saputo intercettare. Mare Fuori, nel 2023, è stato «la» serie. E, con il proprio successo, ha dato atto di come la Rai, una Rai che nel 2023 ha fatto a meno di figure un tempo centrali nei palinsesti, di Fabio Fazio e Bianca Berlinguer, sia in grado di fare. E di fare bene: bene il nuovo, bene il vecchio. Bene Mare Fuori, la sperimentazione di RaiPlay, e bene, sempre e oltre ogni limite, la vecchia guardia: Amadeus, cui è stato dato un altro Sanremo, il quinto, poi Fiorello, l’unico in Italia a poter prendere in giro, facendolo ridere dei suoi stessi difetti, l’ad Rai.

MEDIASET, UN DOPO SILVIO SENZA TRASH (O QUASI)

La strada è stata segnata in pochi mesi. Pier Silvio Berlusconi, con la morte del padre, a giugno, ha imposto a Mediaset la rivoluzione sognata da tempo. Niente più trash, sensazionalismo, niente più salotti imbastiti su gossip e cronaca nera. Barbara d’Urso, il suo cuore e caffeuccio, è stata allontanata, Pomeriggio5 affidato a Myrta Merlino. Bianca Berlinguer, dalle fila Rai, è passata a quelle di Retequattro e Belén Rodriguez è sparita da Le Iene, al suo posto Veronica Gentili. L’intrattenimento, così come lo ha sempre declinato Canale5, con il Grande Fratello, eterno e inguardabile, e l’Isola dei Famosi, è rimasto. Ma attorno gli è stata costruita una struttura diversa, più concreta, più attenta. Una struttura poggiata sull’attualità e volti neutrali, pensata per attrarre meno polemiche e anteporre agli ascolti la dignità del contenuto.

LA 7, LA CONTINUITA'

È arrivato Corrado Augias, ma nulla è cambiato nella rete di Urbano Cairo. Enrico Mentana, per tutto il 2023, ha continuato a fare se stesso: l’appassionato maratoneta, l’atleta capace di trattenere il fiato e allargare i polmoni in un respiro tanto ampio da garantirgli aria sufficiente a qualunque immersione. Lilli Gruber ha usato Otto e Mezzo per portare avanti le proprie battaglie ideologiche, la costruzione di un mondo in cui gli ospiti si dividano fra buoni, osannati e celebrati, e cattivi, sbeffeggiati come scemi del villaggio. L’informazione è stata l’unica e più vera protagonista di un palinsesto approfondito e strutturato, manchevole, però, dell’effetto novità.

DISCOVERY, LA RIVALSA DEI «PICCOLI»

Fabio Fazio e Luciana Littizzetto, migrati dalla Rai al Nove, sono stati l’elemento probante di un processo in atto da tempo, geopolitica televisiva. Che tempo che fa lo hanno spostato su una rete minore, di quelle lontane dalla galassia delle generaliste. Eppure, lo show, che nella struttura è rimasto identico a se stesso, non ha subito contraccolpi. Anzi. Gli ascolti del Nove sono saliti a dismisura, arrivando ad eguagliare (o quasi) quelli di RaiTre. Che tempo che fa, con questa sua prima parte di stagione, ha totalizzato una media del 10,4% di share, con 2,1 milioni di spettatori a seguire un Tavolo che non ha perso nemmeno la propria rilevanza social. È stato un trionfo, dunque, un fatto storico. Warner Bros. Discovery, che tempo fa ha strappato Maurizio Crozza a La7, ha messo a segno il miglior colpo della propria vita televisiva. Di più. Ha dimostrato quanto la centralità del canale sia oggi marginale, quanto sia il volto a determinare il successo di un programma, non la rete che lo ospita. E, nel farlo, ha trovato pure il tempo per dare una rinfrescata all’intrattenimento, lanciando – con risultati altrettanto felici – quel gran fenomeno che è stato ed è Casa a prima vista, preserale agile, dinamico, di quelli che non chiedono altro all’infuori dell’empatia, regalando allo spettatore l’illusione di un protagonismo magnifico.

SPORT, IL CASO SINNER

Si potrebbe usare il calcio, per chiudere le riflessioni sull’anno televisivo che è stato. Ci si potrebbe dilungare oltre, analizzando ogni evento sportivo di interesse nazionale. Ci limiteremo, invece, ad uno: le Atp Finals, Sinner contro Djokovic. Su Sky Sport Tennis e Sky Sport Uno, il match è stato visto da poco meno di 1,2 milioni di telespettatori, per uno share totale del 6,4%. Su RaiUno, la stessa partita è stata vista da quasi 5,5 milioni di individui, con ascolti del 29,5%. Una domanda, dunque, si impone con urgenza. A che pro rendere lo sport di pochi, accessibile solo a chi paghi abbonamenti ormai lunari? Perché non renderlo per tutti, mandarlo in chiaro e coprire l’ammanco delle vendite dei diritti alle pay tv con i ricavi pubblicitari, proporzionali allo share?

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Claudia Casiraghi

(Milano, 1991)

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