​erbe aromatiche e profumi di primavera
iStock
Lifestyle

La primavera nel piatto

Gli amanti delle definizioni lo chiamano «foraging», ma «l’andar per prati» a raccogliere erbe è un’usanza antica come l’arte del saperle cucinare. Attenzione però, bisogna conoscerle bene... In Italia è un fiorire di corsi per coltivare questa passione e di chef che hanno inserito nei loro menù cibi dal «sapore di campo». Ecco i migliori.

Da «ditelo con i fiori» a «fatelo con le erbe» il passo è corroborante come una corsa nei prati di primavera. Ora i guru del marketing lo chiamano «foraging» e sono persuasi di averlo inventato loro per dare sostanza allo stile naturale. Ne sanno poco di civiltà rurale dacché andar per erbe è abitudine antica quanto l’uomo. Benedetto da Norcia con l’orto dei semplici, parcella del più vasto hortus conclusus, sapeva perfettamente indicare ai monaci quali fossero le erbe da mangiare e quelle per medicare. Sovente le due capacità si sovrapponevano: la salvia, per esempio, si chiama così dai tempi dei romani per le sue proprietà medicamentose oltre che aromatiche (dal latino «salvus» - salvo, sicuro, benefico, sano). Ma, ancor prima, Ippocrate e Galeno affidavano alle erbe il ripristino dell’armonia che era considerato il modo per curarsi. Non si badava tanto - come fanno oggi gli erboristi - al principio attivo, quanto alla capacità di restituire equilibrio naturale.

Sfogliando il Regimen Sanitatis della Scuola Salernitana (XII secolo) si nota come il recipe (la ricetta) fosse insieme precetto alimentare e somministrazione di farmacopea. Sorprendente è che l’homo erectus, siamo nel Pleistocene, un milioncino d’anni orsono, avesse una dieta molto equilibrata: da «essere intelligente», subiva meno dei primati suoi parenti le oscillazioni stagionali delle riserve alimentari e stava sazio. Studiando i denti dei nostri avi, ricercatori della Goethe University di Francoforte hanno scoperto che «in quanto onnivori e carnivori occasionali, erano meno dipendenti dall’approvvigionamento alimentare stagionale». Si comportavano come noi: d’inverno proteine animali, a primavera tutti a cercare erbe. Come avrebbe fatto, ogni Sabato del villaggio, la donzelletta che Giacomo Leopardi - che «vien dalla campagna, in sul calar del sole, col suo fascio dell’erba; e reca in mano un mazzolin di rose e viole». Ecco questo è il «foraging»! Più facile a dirsi che a farsi. Perché ci vuole competenza. Con le erbe è come con i funghi: non sono tutte buone, alcune velenose. Lo sanno bene gli erboristi che ne usano anche di potenzialmente tossiche, ma in dosaggi adeguati.

Un rischio cui si può porre rimedio. Corsi per riconoscere le erbe si fanno ovunque in Italia, è indispensabile imparare a come raccoglierle senza alterare l’ecosistema. È una delle preoccupazioni di Fabio Taffetani dell’Università Politecnica delle Marche. Botanico, studioso delle erbe spontanee, a Monte San Pietrangeli, provincia di Fermo, tiene lezioni regolari all’Accademia delle erbe spontanee (accademiadelleerbespontanee.it).

Sull’altro versante dell’Appennino, a Forcatura di Foligno, il professor Luciano Loschi, invece, ha fondato l’Accademia delle erbe campagnole (accademiaerbecampagnole.eu). A Milano e in tutta la Lombardia questi corsi sono organizzati dalla Coldiretti (coldiretti.it), a Roma e nel Lazio ci si può rivolgere all’Accademia delle Arti Erboristiche (accademiadelleraierboristiche.org), in Toscana a Pisa e a Firenze ci sono gli orti botanici più antichi d’Italia e lì s’impara tutto. Dal Trentino alla Sicilia, insomma, ovunque ci sono associazioni, scuole, corsi che aprono alle meraviglie del mondo vegetale. Se ci si appassiona in questa caccia al tesoro della natura, non se ne può più fare a meno.

In questi giorni per prati e pascoli si vedranno fiorellini bianchi emergere da steli smeraldini: quello è l’aglio orsino. Si chiama così perché ne sono ghiotti gli orsi che lo pascolano come diuretico. Si usano gli steli e i bulbi, esattamente come l’altro aglio, ma con un tocco assai più gentile. La «crema di orsino» è ottima. L’attrattiva per chi fa il cerca-erbe in questo periodo (si va avanti quasi fino a giugno) sono gli asparagi selvatici. Ci si cucina di tutto: dal risotto al ripieno per gli involtini, ma danno il massimo nella frittata. Al posto del pepe si può usare il crescione d’acqua, si trova lungo i ruscelli. Per fare soave un piatto si aggiunge la malva, per speziarlo basta un po’ di senape e si risparmia sul sale: sono fiori gialli ubiquitari. Per un aroma particolare l’anice detta anche pimpinella, per una nota vegetale il tarassaco (ancora fiori gialli), per una frittella speciale fiori di sambuco, per un’insalata croccante o un ripieno di tortelli gli spinaci selvatici, per un «wasabi» nostrano la rucola. E poi la borraggine, l’ortica (profuma gli impasti), l’equiseto, l’artemisia e l’assenzio (con questi due andiamoci piano), la portulaca e l’elicriso. Come dessert, fragoline di bosco.

Sono almeno 100 le erbe commestibili spontanee. Ora sono il valore aggiunto di molti chef che creano piatti solo con questo patrimonio. Dallo spaghetto all’arrabbiata vegetale - ogni forchettata un’erba diversa che cresce in piccantezza - Michele Biagiola da Macerata (ristorante Signore te ne ringrazio) se ne va sui Sibillini a cogliere il meglio; imperdibili anche le orecchiette alla borragine di Peppe Zullo che stando a Orsara di Puglia (Osteria Peppe Zullo) ha a disposizione la Gravina, un giacimento di erbe tra cui i mitici lampascioni, una specie di cipolle selvatiche.

Uno dei precursori nell’alta cucina dell’uso di erbe è Davide Oldani che al suo D’O a Cornaredo firma le «Aromatiche food»: aromi selezionati e testati direttamente dallo chef da distribuire in punti vendita specializzati. Deliziosi sono i piatti di Mariangela Susigan, una «vestale» della natura nel piatto che al suo Ristorante Gardenia di Caluso - siamo nel Canavese - propone il risotto toma e silene, poesia pura.

Altra sacerdotessa della natura in tavola è Antonia Klugmann all’Argine di Vencò (zona Collio), con piatti agli aghi di abete o all’amaranto. E poi c’è Gilberto Rossi che col suo Pepenero a San Miniato (siamo nel Pisano) è un profeta del tartufo che, a forza d’andar per boschi, si è convertito alle erbe: dal tarassaco fa ripieno per i tortelli e con gli asparagi selvatici dei capolavori gastronomici. Perché, come scriveva nel Settecento Giovanni Targioni Tozzetti nel suo De alimenti urgentia, «con l’herbe anche la carestia s’acqueta!».

I più letti

avatar-icon

Carlo Cambi

Toscano di nascita e di formazione (economico-giuridica) diventa giornalista professionista a 23 anni. Percorre tutto il cursus honorum a Repubblica fino a dirigere le pagine di economia. Nel 1997 fonda I Viaggi di Repubblica - primo e unico settimanale di turismo - che dirige fino al 2005 quando sceglie di vivere a Macerata insegnando marketing del territorio e incontra Maurizio Belpietro col quale stabilisce un sodalizio umano e professionale. Autore radiofonico e televisivo continua a occuparsi di economia ed enogastronomia. Ha scritto una trentina di libri. Il suo best seller? Il Mangiarozzo.

Read More