Il ritorno del mobile bar
Winston mobile bar by Lema
Lifestyle

Il ritorno del mobile bar

Al centro di molti salotti borghesi degli anni Cinquanta, il cabinet drink, con tanto di specchi e luci led, viene riproposto dalle maggiori case di design. Per una rinnovata convivialità e una ritualità domestica del bere.

Si racconta che Alfred Hitchcock classificasse i suoi ospiti, per lo più attori e produttori, in due grandi categorie: quelli che avevano predisposizione per le alchimie alcoliche e quelli che, al contrario, non subivano il fascino della mixologia a portata di bicchiere.

Tra questi ultimi, purtroppo, c'era il bel Paul Newman che, in quanto bevitore esclusivamente di birra, non solo venne invitato una sola volta a casa Hitchcock ma recitò in un unico film del maestro del brivido, Il sipario strappato.

Ora, al di là dell'aneddoto e del carattere tosto del regista inglese, non sarebbe sbagliato ammettere che la convivialità, e quindi la capacità di creare una narrazione più disinibita di se stessi, possa essere facilitata da un buon cocktail ovvero da un equilibrato mix di sentori e sapori in grado di stimolare sensi e parlantina. Fa parte delle dinamiche di quella civiltà del bere che i grandi film hanno contribuito a diffondere, a cominciare da Colazione da Tiffany e da quel White Angel(vodka e gin) che Audrey Hepburn si versa per ben due volte nella coppa da Martini. «È indubbio che il nostro, come altri locali, abbia contribuitoalla rinascita del bere e che abbia educato molti palati di diversa età a capire l'importanza delle strutture all'interno dei drink» interviene Marco Russo del milanese 1930, al venticinquesimo posto nella prestigiosa classifica 2020 del The World's 50 Best Bars.

Insomma, dopo l'età d'oro degli chef è iniziata, già da qualche anno a dire il vero, quella dei bartender. Dopo il trip dei fornelli hi-tech, dei piani cottura a induzione e degli abbattitori tra le mura domestiche, ecco il ritorno del mobile bar. «Era un elemento d'arredo fondamentale nelle case della borghesia internazionale, perfino uno status symbol» spiega l'architetto Gabriele Buratti, artefice della madia Gallery per Porro. «Certo, ora è difficile vedere in un living l'angolo bar con il bancone e gli sgabelli come negli anni Cinquanta, anche perché oggi si beve in modo diverso. Di fatto però, la riscoperta dello stare in casa ha portato con sé il ritorno a certe ritualità domestiche come quella del preparare i cocktail. Il mobile bar contemporaneo risponde a tale esigenza e grazie alla sua struttura rivelatrice di interni retroilluminati e specchiati, regala alla casa anche un tocco di eleganza» conclude l'architetto.

Precursore del revival del mobile bar è senza dubbio il designer francese Christophe Pillet, che già nel 2015 aveva disegnato il mobile Winston per Lema seguito nel 2019 da Steward, che dichiarava: «Questo arredo tipico delle case tradizionali, dopo un lungo oblìo, adesso sta riconquistando un ruolo da protagonista all'interno di raffinati progetti di interior design. In fondo è una moderna scatola delle meraviglie pensata per una clientela cosmopolita attenta ai dettagli». Così, aprendo le ante o facendole scorrere, si svelano giochi di led e di specchi, di velluti e fragranze lignee perfette per ospitare bicchieri e bottiglie.

Sì perché il contenuto è fondamentale per questo lussuoso e speciale contenitore. «Non possono mancare coppe Martini, tumbler alti, cioè bicchieri lunghi detti Collins per shakerare, medi ovvero Highball glass, e bassi, noti come Old fashioned» dice Luca Angeli, barman di lungo corso al Four Seasons di Milano e membro del Belvedere collective. «Questi contenitori si prestano a vari tipi di cocktail che non hanno bisogno di tecniche esagerate per essere realizzati. Servono un bar spoon, un cucchiaino lungo, uno strainer o colino e un misurino. Il trucco sta nel tenere nel congelatore vodka e vermouth, perché la temperatura di servizio è fondamentale».

Nomi di bicchieri e terminologie di strumenti da imparare, e gli errori da evitare? «Uno tipico dei giovani adepti è shakerare i sodati come l'acqua tonica o lemon che esplodono» dice sornione Livio Morena, bar manager del Drink Kong di Roma, tra i migliori 50 bar al mondo. «Prima si mescolano gli spiriti e poi si aggiunge la parte sodata. Inoltre, mai stravolgere le ricette che hanno una loro ragion d'essere. E un consiglio: usate pochi ingredienti, di qualità e il cocktail sarà perfetto». E se lo dice lui...

Fever Tree/John Lewis

Un regalo di Natale diverso dal solito per brindare e condividere momenti di allegria, anche a distanza. Questa la proposta di Engine, azienda produttrice di gin 100% italiano e biologico dall’estetica inaspettata e dirompente. Per queste feste Paolo Dalla Mora, imprenditore nel settore della moda e degli spiriti, ha ideato tre kit ispirati a lattine di olii e carburanti, gare di motocross e veicoli da corsa, nel ricordo dei grandi miti degli anni Ottanta come l’intramontabile Dodge Charger, l’auto ribattezzata «Generale Lee» nella fortunata serie televisiva Hazzard.

Il «kit Speakeasy» riproduce fedelmente una tanica da benzina e contiene tutto l’occorrente per preparare un ottimo gin tonic: due bottiglie di gin Engine, cinque bicchieri Engine e sei lattine di Fever Indian Tonic Light (un prodotto esclusivo per questo kit). Realizzato a mano dagli artigiani delle Langhe, il «kit Speakeasy» è disponibile in un’edizione limitata di colore rosso, realizzata proprio in occasione del Natale. Un originale Bar da Salotto pensato per poter preparare un gin tonic come ai tempi del proibizionismo.

Il «GT Bartender kit» - dove Gt sta per Gran Turismo e ovviamente come Gin Tonic - è invece confezionato come un fusto in ferro dalla forma cilindrica tipica del grasso per motori. Il kit contiene due bottiglie di gin Engine, 12 bicchieri e 12 bottiglie di Fever-Tree Indian Tonic. Un regalo perfetto per i veri intenditori, che al loro gin tonic non dimenticano mai di aggiungere una foglia di salvia. Per ultimo, il «2 Strokes kit» prende il nome dal motore a due tempi e contiene una bottiglie di gin Engine e due bicchieri, per chi preferisce festeggiare in intimità.

Nio Cocktail, la start up italiani che ha racchiuso i cocktail più amati in un formato pocket, questo Natale ha scelto di collaborare con Acqua di Parma per un box unico e originale. Si chiama «Aperitivo in Terrazza» e contiene una selezione di due cocktail a scelta e una candela firmato da Acqua di Parma. Bastano due bicchieri e dei cubetti di ghiaccio, agitate la vostra bustina e versate il vostro cocktail firmato dal noto barman Patrick Pistolesi. Un mix dalla qualità eccezionale da abbinare all'eleganza di una candela a base di spezie agrumate, per apprezzare al meglio l'atmosfera di un aperitivo italiano e rendere speciale la vostra casa.

Se siete amanti delle tradizioni inglesi e ogni Natale non vedete l'ora di far scoppiare il vostro «Christmas cracker», quest'anno non perdetevi la versione ideata da Fever-Tree. Tra i produttori più amati al mondo di miscelatori per bevande premium, questa azienda inglese ha ideato delle colorate confezioni contenti una piccola bottiglia di gin (l'ideale per due cocktail) e una delle loro amate acque toniche aromatizzate. Cin cin!

Engine

Cinque cocktail per l'inverno

iStock

Quando fuori fa freddo, non c’è niente di meglio che un cocktail per scaldarsi. Ecco allora che Nio ha selezionato i cinque mix più adatti alla stagione, da assaporare da soli o in compagnia.

Cosmopolitan

Un classico contemporaneo immancabile in ogni stagione. Con Ketel One, arancia dolce-piccante di Cointreau, mirtillo rosso e lime, è perfetto per ritrovare nel bicchiere un sapore dolce dal retrogusto acido. Diventato popolare grazie alla serie tv Sex and the city, è riconosciuto oggi come il cocktail più glamour.

Negroni

L'intramontabile re dei cocktail Campari. Creato a Firenze dal Conte Negroni tra il 1919 e il 1920, rimane ancora oggi uno degli aperitivi classici italiani più apprezzati. Diventato popolare anche grazie a Ian Flaming che cita il cocktail in uno dei romanzi della saga di James Bond.

Tea sour

La categoria dei sour è una delle più antiche nella storia dei cocktail, anzi si può dire che rappresenti il punto di inizio per l’arte della miscelazione. I sour sono un equilibrio molto semplice: una parte dolce (di solito lo sciroppo di zucchero), una parte amara dal succo di lime o limone e un distillato che dà il carattere al mix.

Manhattan

Il calore del whisky Bulleit e la dolcezza del Vermouth Cocchi creano un aperitivo perfetto. Creato al «Manhattan Club» di NY e poi diventato presto molto popolare anche in Europa, probabilmente aiutato dal suo nome che rappresenta una perfetta sintesi della Grande Mela racchiusa in un bicchiere.

Gimlet

Una citazione del 1928 recita: «Gin, una punta di limone e soda». La descrizione del 1953 nel romanzo di Raymond Chandler, The Long Goodbye stabiliva che «un vero Gimlet è metà gin e metà succo di lime e niente altro»; proprio come suggerisce il Savoy Cocktail Book del 1930.

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Antonella Matarrese

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Mariella Baroli