Don Joe: Spaccato è un invito a lasciare il segno - Intervista
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Don Joe: Spaccato è un invito a lasciare il segno - Intervista

Il nuovo brano del beatmaker, fondatore dei Club Dogo, vede la partecipazione di Madame e Dani Faiv, due tra i talenti più interessanti del rap italiano di oggi

Nell'eterna competizione tra rap old school e trap, due mondi spesso inconciliabili, c'è chi riesce a ottenere il meglio dai due mondi. Non a caso Don Joe, tra i più importanti beatmaker italiani e fondatore dei Club Dogo, ha prodotto brani per Marracash, Gemitaiz, MadMan, Nitro, Fabri Fibra, Emis Killa, Noyz Narcos, Max Pezzali e tanti altri, collezionando numerose certificazioni con dischi di platino e dischi d'oro. Sono da poco usciti due brani che confermano il suo tocco di re Mida dell'hip hop e la sua capacità di saper tirare fuori il meglio degli artisti con i quali lavora: Spaccato con i featuring di Madame e Dani Faiv, due dei talenti più interessanti del rap italiano (Dogozilla Empire/Sony Music) e Algoritmo, il nuovo brano di Willie Peyote con la straordinaria partecipazione di Shaggy, un nome che non ha certo bisogno di presentazioni (Virgins Records Italia).

Spaccare ha un beat molto potente ed elettrico, con due dei migliori talenti rap italiani, Madàme e Dani Faiv: il testo della canzone è stato pensato per affrontare al meglio questo difficile momento della ricostruzione dopo il lockdown?

"Spaccare si inserisce nel filone dei rap motivazionali che ha caratterizzato la mia discografia, penso a Spacco tutto e Brucia ancora con i Club Dogo. Spero che aiuti a far ripartire un po' le cose, il brano nasce dalla stima artistica che nutro sia verso Madame che Dani, due veri talenti che si amalgamano alla perfezione. Siamo riusciti a finire le registrazioni un attimo prima del "lockdown", poi il brano l'ho chiuso da solo, finché non è venuto esattamente come volevo. Abbiamo scritto insieme questo pezzo per spingere le persone a "spaccare", a lasciare il segno in qualche modo perché ora come non mai dobbiamo dare il massimo e mettercela tutta».

Il 1° maggio, in occasione della festa del lavoro, è uscito Algoritmo, il nuovo brano di Willie Peyote di cui hai curato la produzione, con la partecipazione straordinaria di Shaggy. La base, caratterizzata da fiati alla Memphis Horns e da un piano jazz, è la dimostrazione che è ancora possibile, nel 2020, proporre testi conscious rap con una basa dal sapore old school?

"Sì, assolutamente, avevo da un anno lo strumentale nel cassetto, ma stavo aspettando l'artista giusto per valorizzarla al meglio. Quando mi sono incontrato con Willie, a lui è piaciuta subito ed ha iniziato a scrivere il testo. Dopo che avevamo pronte le prime due strofe, grazie all'aiuto della Virgin, si è aggiunto anche Shaggy per la terza: lavorare con lui è stata una grandissima soddisfazione, un goal per me, perché lui rappresenta il mio background musicale, tra reggae e hip hop, al quale abbiamo aggiunto un tocco contemporaneo con la batteria Roland Tr-808 che si usa normalmente nella trap".

Ti dà più soddisfazione trovare il beat prefetto per un determinato brano o scoprire e lanciare un nuovo talento del rap per la Sony, di cui sei consulente ?

"Il beat perfetto, che in parte è un dono e in parte sbattimento, duro lavoro ed esperienza, è il fulcro di ciò che faccio, ma anche lo scouting mi appassiona, sono molto attento alle nuove leve del rap e mi esalta portare ancora più in alto qualcuno che ritengo meritevole. Tra noi beatmaker c'è sempre una sana competizione per rimanere al passo con i tempi, ma in oltre vent'anni di carriera mi sono preso tante soddisfazioni e ora me la vivo più tranquillamente, quasi come fosse un gioco, non ho più l'ossessione dell'hype e sono più rilassato in quello che faccio. Peccato solo che in Italia il produttore spesso non venga visto come un artista, mentre in Usa citano prima Timbaland e Dj Khaled rispetto ai rapper con i quali hanno collaborato in un loro brano".

Nonostante tutti citino sempre Mi Fist come apice dei Club Dogo, un album di culto che ha imposto Milano come il centro nevralgico del rap italiano, è vero che il tuo lavoro preferito è Penna Capitale?

"Sì, perché è stato il primo in cui ho potuto esprimere pienamente la mia visione musicale, il suono che avevo in mente, tra reggae, funk e dancehall, anche se è innegabile che con Mi Fist, che musicalmente era un po' un'accozzaglia, abbiamo fissato la bandierina e indicato la strada a molti, sdoganando il rap dai temi politici delle posse per raccontare le nostre esperienze di tutti i giorni, con un linguaggio crudo e diretto".

Si può affermare che il messaggio di fondo del tuo libro autobiografico "Il tocco di re Mida" è che, per ottenere il successo, devi lavorare duro, non arrenderti mai davanti alle difficoltà e buttarti nelle cose?

"Sì, certo, anche se serve pure un po' di botta di culo, ma non mi sono fermato al primo ostacolo e, quando serve, vado in guerra contro tutto per ottenere quello che voglio. Mi sarei dovuto abbattere per il diabete, ma ci ho imparato a convivere, così come a tante altre cose, senza mai piangermi addosso. Oggi ho l'impressione che troppi ragazzi siano bloccati e che si lamentano perché non hanno i mezzi, ma non stanno sui social come dovrebbero e sembra che tutto gli è dovuto. In realtà oggi puoi fare musica solo con un pc, non hai più scuse, devi dimostrare di essere bravo: se sei forte, alla fine, emergi. Non c'è bisogno di spinte e di grandi etichette dietro, i ragazzi oggi hanno Youtube e Instagram per mettersi in mostra. Piangersi addosso è l'ultima cosa che devono fare".
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Gabriele Antonucci