Hostiles al cinema, il western della parola - La recensione
Con Christian Bale e Rosamund Pike un lungo viaggio per scortare un capo indiano malato e farlo morire nella sua terra. Seppellendo l’ascia di guerra
Alle radici del western fordiano ma anche, forse soprattutto, dell’America. Con uno sguardo rivolto al presente. Hostiles – Ostili (nelle sale dal 22 marzo, durata 134’) di Scott Cooper mette insieme (e contro) soldati blu e indiani nativi in un insanguinato fine Ottocento raccontando, prima che la nascita di una nazione, quella di una possibile integrazione: in un film dal passo quieto e misurato ma incendiato da conflittualità improvvise, potenziato nei panorami di magnificenza classica, dilatato nella profondità dei dialoghi oltre la rappresentazione visiva.
È il 1892 del New Mexico quando al capitano dell’esercito Joseph Blocker (Christian Bale) viene ordinato di riportare un capo Comanche malato e la sua famiglia nel Montana delle loro origini dopo sette anni di prigionia. Ma ci vuole una lettera del Presidente in persona per convincerlo. Perché odio e disprezzo si mescolano in lui dopo una vita passata a combattere il nemico, ad assistere alle sue efferatezze e ad uccidere a sua volta.
Cheyenne scatenati in un prologo sanguinoso
Un prologo Risentimento, per così dire, legittimato nell’ottica dello spettatore - poco prima dell’ingresso di Blocker nella vicenda - da un prologo terrificante con un’intera famiglia agricola sterminata d’emblée per mano di un’orda di Cheyenne indemoniati, frecce, spari, scalpi issati come vessilli e fattoria incenerita al termine della scorribanda. Salva per miracolo solo una donna che ha perso il marito Wesley (Scott Shepard) e le figlie Lucy e Sylvie (Ava e Stella Cooper, il cognome dice qualcosa), incluso il neonato che continua ostinatamente a tenere tra le braccia.
Una superstite insanguinata e attonita
La donna, sfuggita miracolosamente alla strage e ormai vedova, è Rosalie (Rosamund Pike). La ritroveremo poco più tardi, insanguinata e attonita, lungo il cammino intrapreso da Blocker alla volta del Montana col suo drappello d’uomini, scortando quella famiglia Comanche dai nomi ammalianti: il capo Falco Giallo (Wes Studi) divorato dal male e considerato da Blocker un “macellaio”, suo figlio Falco Nero (Adam Beach) con la moglie Donna Alce (Q'orianka Kilcher) e i loro figli Donna Vivente (Tanaya Beatty) e Piccolo Orso (Xavier Horsechief).
Così l’odio lascia il posto al dialogo
Rosalie si unisce al gruppo, nell’incedere lento dei cavalli lungo la rotta per il Montana. Tutti insieme. A turno carnefici e vittime, torturatori e torturati. E tutti con buoni motivi per odiarsi e piangere i propri morti in un quadro di reciproche pregresse crudeltà. Eppure, qualcosa accade tra loro; e il seme della solidarietà, della pace e del perdono prende vita a poco a poco, tra un assalto di Cheyenne e un’aggressione di fuorilegge cacciatori di pelli sventati collettivamente. Fino ad un epilogo quasi catartico e con uno spazio che si apre, inatteso, ai sentimenti.
Conflittualità e integrazione fra passato e presente
Dominano, nella progressione della storia (anche a livello di recitazione naturalmente), le figure di Blocker, Rosalie e Falco Giallo, ciascuno di loro rappresentando tre linee narrative essenziali in termini simbolici e di contenuto. Dunque le istituzioni, la comunità civile, il popolo dei nativi. Gli “attori” dell’America che con tutta la durezza e la ferocia d’un paese in costruzione s’avvia verso il nuovo secolo lasciandosi dietro una scia conflittuale destinata a non risolversi nell’immediato e neppure, forse, in un futuro più lontano. Non certo con i nativi, piuttosto sui temi universali delle integrazioni, delle intolleranze, delle guerre, degli spari facili, delle pallottole tuttora sibilanti.
La doppia dimensione dell’azione e delle parole
Il western di Cooper è molto moderno e riflessivo. Vive sulla doppia dimensione dell’azione e della parola, molto spesso con la seconda a prevalere sulla prima e l’effetto di dilatare il racconto addomesticandolo e un po’ frenandolo, comunque realizzando sulla costruzione dei dialoghi profondità e motivazioni. Specie nelle sviluppo di quella particolare tematica legata all’affrancamento dei nativi imprigionati, già introdotta da John Ford (sempre a lui si torna) in Sentieri e selvaggi e Cavalcarono insieme.