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(Ansa)
Tasse

Novità sulle tasse: gli autonomi le pagano come i dipendenti

Uno studio smentisce alcune delle principali dicerie sull'evasione fiscale

I lavoratori autonomi insieme ai dipendenti sono le categorie che in Italia pagano più imposte. A dirlo è uno studio congiunto fatto dalla Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa e l’Università di Milano Bicocca, pubblicato dalla rivista scientifica "Journal of the European Economic Association". Un aspetto interessante, visto che in tutti questi anni si sono sempre colpevolizzati i lavoratori autonomi, quando si parlava di evasione fiscale. Sicuramente in questa, come in tutte le altre categorie reddituali, si nascondono degli evasori, ma identificare come principali colpevoli i lavoratori autonomi è sbagliato e ora la conferma arriva anche dai numeri. Lo studio ha dunque evidenziato come a pagare più tasse sono i dipendenti, gli autonomi seguiti dai pensionati e infine da chi percepisce soprattutto rendite finanziarie e locazioni immobiliari. Altro dato interessante è che il reddito nazionale ha continuato a ridursi dal 2004 al 2015 del 15%. Il 50%

più povero ha subito la maggiore perdita, con un calo di circa il 30%. Tra questi troviamo i giovani tra i 18 ei 35 anni, che hanno perso circa il 42% del loro reddito. A sottolineare come le categorie più fragili in Italia continuano ad essere i Millennials, che rispetto ai loro genitori, non riescono a fare il “salto generazionale” in termini economici. Alla disuguaglianza generazionale si aggiunge anche quella di genere che risulta significativa per ogni classe di reddito e raggiunge valori estremi nell'1% più ricco della distribuzione, dove le donne guadagnano circa la metà degli uomini.

Irpef poco progressivo

Aspetto interessante della ricerca è la parte sulla progressività del sistema fiscale italiano. Lo studio, oltre ad analizzare la distribuzione dell’intero reddito nazionale, si è anche focalizzato su quello individuale, l’ammontare e la raccolta di tasse raccolte dallo Stato. "In questo modo - commenta Andrea Roventini, autore dello studio, direttore dell'Istituto di Economia della Scuola Superiore Sant'Anna - abbiamo dimostrato che l'intero sistema fiscale italiano è solo blandamente progressivo per il 95% più basso della distribuzione del reddito, con un'imposizione fiscale che sale dal 40% al 50%. Il sistema diventa addirittura regressivo per il 5% dei contribuenti più ricchi con un'aliquota effettiva che scende fino al 36% per chi guadagna oltre i 500 mila euro annui". Un tema su cui l’attuale governo con la riforma fiscale sta lavorando. Il primo passo di rivedere le aliquote fiscali e mettere una franchigia per i redditi sopra i 50.000 in relazione alle tax expenditure pari al 19% è un passo verso la direzione di una maggiore equità. Ovviamente il grosso lavoro sulle detrazioni e deduzioni fiscali deve essere ancora fatto. Se si riuscirà ad organizzarle in modo progressivo, allora si potrà sicuramente avere un miglioramento dell’equità fiscale.

Confronto con l’estero

Lo studio mette a confronto la concentrazione dei redditi dell'Italia a livello internazionale. Nel dettaglio, il nostro sistema è stato paragonato a quello Usa e francese. Ebbene, lo studio ha riscontrato che l'Italia presenta un livello di concentrazione dei redditi simile a quello della Francia. Realtà molto lontane dall'estrema concentrazione osservata negli Stati Uniti. Tuttavia, ciò che desta preoccupazione è il trend in rilasciato della quota di reddito detenuta dalle fasce di reddito meno abbienti. In Francia le fasce più deboli hanno visto un modesto aumento della loro quota di reddito, in Italia si osserva l'opposto, con le fasce più povere che diventano sempre più svantaggiate. Elemento, anche questo, che si inserisce nelle ultime decisioni politiche del governo Meloni. Nella legge di Bilancio 2024 si è infatti confermato il taglio del cuneo fiscale alla fascia di lavoratori fino a 35.000 euro. Unico neo: non è una misura strutturale.

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Giorgia Pacione Di Bello