Impiegati statali, le cose da sapere sul nuovo contratto
DANILO SCHIAVELLA/ANSA
Economia

Impiegati statali, le cose da sapere sul nuovo contratto

Per i dipendenti pubblici, il 2018 poterà 85 euro lordi in più sulle buste paga, dopo quasi 10 anni di blocco salariale

I primi statali che festeggeranno sono circa 240mila impiegati, dirigenti e quadri dipendenti dei ministeri, delle agenzie fiscali e degli enti pubblici non economici. Nella notte del 23 dicembre, a poche ore dal Natale, queste categorie di “travet” hanno visto finalmente scritti nero su bianco i dettagli del loro nuovo contratto di lavoro, grazie al quale otterranno un aumento medio sullo stipendio di 85 euro al mese.

Anche se l’intesa riguarda per adesso una minoranza dei 3,25 milioni di dipendenti pubblici italiani, è considerata comunque molto importante perché farà da apripista il rinnovo del contratto di tutti gli altri impiegati statali già concordato nei mesi scorsi dal governo e dai sindacati. Presto arriveranno infatti gli stessi aumenti medi in busta paga anche per 800mila tra medici, infermieri e amministrativi che lavorano nella sanità pubblica, per quasi un milione di dipendenti degli enti locali e per un ulteriore esercito di un milione di persone tra insegnanti e altri addetti della scuola.

Fine dell’austerity

Dopo quasi 10 anni di austerity, dunque, gli statali italiani vedono di nuovo lievitare le loro retribuzioni. Va infatti ricordato che nel dicembre del 2009, in piena crisi economica, il governo Berlusconi decise un primo blocco dei salari dei dipendenti pubblici, puntualmente riconfermato ogni anno da tutti gli altri esecutivi che ne hanno preso il posto, quelli di Monti, Letta e Renzi.

Nel giugno del 2015, però, una sentenza della Corte Costituzionale ha giudicato il blocco dei salari ormai illegittimo poiché si era protratto troppo a lungo nel tempo e non era più giustificato da ragioni di emergenza finanziaria. E così, il governo Gentiloni e i maggiori sindacati dei dipendenti pubblici hanno iniziato una lunga trattativa culminata in un accordo di massima siglato il 30 novembre del 2016, in cui sono stati fissati alcuni punti fermi.


Aumenti medi di 85 euro (lordi)

Innanzitutto, si è deciso di dare agli statali una media di 85 euro lordi in più sulla busta paga ogni mese, distribuendo gli aumenti con criteri di equità. E’ stato cioè deciso di favorire il più possibile i lavoratori pubblici con i redditi bassi i quali, avendo una qualifica inferiore , dovrebbero in teoria avere invece un incremento salariale meno genersoso.

Inoltre, è stato studiato un meccanismo per evitare che il ritocco verso l’alto delle retribuzioni facesse perdere a molti impiegati il bonus irpef, cioè lo sconto sulle tasse di 80 euro mensili concesso nel 2014 dal governo Renzi, che si annulla non appena viene oltrepassata la soglia di 26.600 euro annui di reddito.


Le intese con l’Aran

Una volta definiti questi pilastri, c’è voluto più di un anno per vedere rinnovati nel dettaglio tutti i contratti degli statali. Va ricordato infatti che gli accordi sindacali dei dipendenti pubblici si basano su una procedura particolare, articolata su vari livelli. Prima il governo e i sindacati raggiungono un accordo di massima che stabilisce l’importo dei futuri aumenti.

Poi la palla passa a un’agenzia statale che si chiama Aran e che cura la contrattazione delle singole categorie, dalla sanità alla scuola, passando per gli enti locali e i ministeri. Ecco perché l’accordo raggiunto il 23 dicembre viene considerato un apripista per il rinnovo dei contratti di tutte le altre categorie. Per i dipendenti ministeriali, l’aumento medio è stimato tra i 63 e i 117 euro mensili che, al netto delle tasse, per la maggioranza di lavoratori corrisponderanno a circa a 45 -50 euro al mese.


Limite al precariato

Non va dimenticato, però, che gli accordi contrattuali raggiunti non si limitano soltanto a questioni salariali. Sono previste infatti norme più severe contro l’assenteismo e limiti ben precisi all’uso dei contratti a termine, di cui spesso si è abusato nella Pubblica Amministrazione. Nello specifico, le assunzioni a tempo determinato non potranno durare per più di 3 anni (come nel settore privato) e non potranno riguardare più del 20% dei dipendenti di un ente.

Infine, c’è un altro particolare importante: è previsto un rafforzamento della cosiddetta contrattazione di secondo livello, con cui i singoli enti potranno concordare con i sindacati regole specifiche per quanto riguarda gli orari, i turni, le ferie e le condizioni di lavoro, con l’obiettivo dichiarato di stimolare la produttività. La speranza è che, oltre agli aumenti in busta paga, il nuovo contratto porti alla pubblica amministrazione italiana meno precarietà e un po’ di efficienza in più.

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Andrea Telara

Sono nato a Carrara, la città dei marmi, nell'ormai “lontano”1974. Sono giornalista professionista dal 2003 e collaboro con diverse testate nazionali, tra cui Panorama.it. Mi sono sempre occupato di economia, finanza, lavoro, pensioni, risparmio e di tutto ciò che ha a che fare col “vile” denaro.

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