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ANSA/GIUSEPPE LAMI
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Licenziamenti degli statali: il vero obiettivo di Renzi

Le sanzioni per i "furbetti" esistono già. Devono solo essere fatte rispettare. Il premier lo sa. Ma ha bisogno di distrarci dai problemi veri

Chi ha frequentato le scuole con qualche profitto non avrà dimenticato la godibilissima pagina dei Promessi Sposi dedicata al fenomeno dei “bravi”, e alle “gride” (cioè decreti) emesse dai governatori spagnoli per estirpare questa piaga dell’epoca.

Manzoni con garbata perfidia mette in fila una serie di ordinanze scritte con linguaggio magniloquente contro i bravi, minacciati delle pene più straordinarie visto il “pessimo effetto che tal sorta di gente, fa contra il ben pubblico, et in delusione della giustizia”. La comicità sta nel fatto che a distanza di pochi anni si susseguono questi minacciosi quanto inutili proclami, che evidentemente non sortiscono alcun effetto concreto.

Sono passati quattro secoli, ma lo stile di governo non è cambiato. I bravi nel frattempo si sono estinti da soli, ma di problemi irrisolvibili ce ne sono altri forse anche più complicati. Uno dei più avvertiti in Italia è l’inefficienza del pubblico impiego: non per caso proprio in queste settimane il comico Checco Zalone (che non è esattamente Charlie Chapiln, e neppure Totò) batte ogni record d’incassi con un film che satireggia quest’attitudine nazionale.

E contro i furbetti del pubblico impiego, gli impiegati assenteisti in particolare, ogni governo che si rispetti annuncia le sue gride minacciosissime. Il tema appassionò fra gli altri il solitamente pacato Renato Brunetta, all’epoca Ministro della Funzione Pubblica del Governo Berlusconi che qualcosa fece davvero, visto che il DL 150 del 2009 prevede il licenziamento degli impiegati assenteisti e fannulloni.

Ma evidentemente qualcosa non deve aver funzionato, visto che oggi il Ministro Madia “informato, con non poco dispiacere dell'animo suo, che ogni dì più in questo Stato va crescendo il numero di questi tali (i furbetti) prescrive di nuovo gli stessi rimedi, accrescendo la dose, come s'usa nelle malattie ostinate”.
In effetti la graziosa ex-nuora di Giorgio Napolitano, e prima di lei il giovane statista fiorentino che siede a Palazzo Chigi, pare abbiano avuto quest’idea geniale dopo una trasmissione televisiva dedicata al lavoro dei pubblici dipendenti (no, non si tratta di “Chi l’ha visto”, come insinuano i maligni). E quindi, detto fatto, ecco una grida bell’e pronta, approvata a tambur battente ieri dal Consiglio dei Ministri.

Ovviamente se la intesta Matteo Renzi, lasciando alla dolce Marianna solo il ruolo del contorno: “via in 48 ore i dipendenti pubblici assenteisti!”. Bella minaccia, suona davvero bene. Don Gonzalo Fernandez di Cordova, Governatore di Milano, non avrebbe saputo dire di meglio!
Dunque, finalmente i truffatori e i fannulloni vengono cacciati.

In realtà le pene esistono già: il licenziamento senza preavviso per i furbetti del cartellino, nonché il carcere da uno a cinque anni, il rimborso del danno di immagine, e – per i medici compiacenti – anche la radiazione dall’albo. Tutto questo attraverso un procedimento disciplinare interno che deve concludersi entro 120 giorni, e che di fatto oggi nella pubblica amministrazione ha una durata media di 102 giorni (dati 2013). Passare da 120 giorni a 30 (le 48 ore sono già svanite) dunque cancellerà l’odioso fenomeno? Questa è la grande riforma?

La realtà ovviamente è molto più complessa. Non è la gravità della pena, già oggi più che sufficiente (per merito, va detto, di Brunetta), che dev’essere aumentata. È la sua effettività, cioè la certezza che l’infrazione venga accertata e punita. Naturalmente la sagace Madia ha pensato anche a questo: sanzioni pesanti, fino al licenziamento e alla denuncia per omissione di atti d’ufficio per il dirigente che non attivi l’azione disciplinare.

C’è però un piccolo problema, che forse è sfuggito in tale fervore. Se il dirigente che non si attiva rischia la condanna per omissione d’atti d’ufficio, il dirigente che invece si attiva, se la magistratura del lavoro al termine dell’iter dà ragione al dipendente, e quindi obbliga la pubblica amministrazione a risarcirlo, rischia già oggi la condanna per danno erariale. Nel dubbio, cosa accadrà? Non è difficile immaginarlo: si rafforzeranno la complicità e la prassi di coperture reciproche (o ricatti reciproci) fra dirigenti e dipendenti per rendere ancora più difficile la scoperta degli illeciti.

Se il Presidente del Consiglio avesse in mente di risolvere il problema, e avesse un po’ di cultura liberale, potrebbe ispirarsi alla teoria di public choice (potrebbe piacergli, visto che è in inglese, se solo sapesse chi era Buchanan). Come spiega Gordon Tullock: “in realtà, i burocrati sono esattamente come le altre persone e, come le persone in generale, sono più interessati al proprio benessere che all’interesse pubblico. Il problema è elaborare un apparato che spinga i burocrati, per loro stesso interesse, a perseguire l’interesse di tutti noi, nello stesso modo in cui il panettiere è spinto dal proprio interesse a rispondere ai bisogni del sarto”.

La risposta, semplificando, sta nel rendere economicamente convenienti comportamenti virtuosi, per i dirigenti pubblici e per i dirigenti dei dirigenti. Lo ha proposto anche un giuslavorista che dovrebbe essere molto amato da Renzi, Pietro Ichino. Ma nelle gride governative non ce n’è traccia. Perché? Possiamo azzardare un’ipotesi?

Risolvere il problema non è l’obbiettivo di Renzi (di antica scuola democristiana, il premier non ci crede affatto); l’obbiettivo è distrarre l’opinione pubblica con qualcosa che piace. In questi giorni, fra problemi bancari, difficoltà internazionali, borse che crollano, lo statista di Rignano sull’Arno ne ha disperatamente bisogno. Proprio come i Governatori di Sua Maestà Cattolica il Re Filippo IV.

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Serenus Zeitblom