L'india non diventerà mai una grande potenza economica. Ecco perché
Economia

L'india non diventerà mai una grande potenza economica. Ecco perché

Economia in frenata, corruzione, paralisi politica e riforme bloccate

Gli indiani faticano ad accettare che Manmohan Singh, il tecnico che nel 1991, in qualità di Ministro delle Finanze, approvò quelle riforme che, rilanciando l'economia nazionale, hanno convinto il mondo intero che anche per il Subcontinente fosse finalmente giunto il momento di lasciarsi la povertà alle spalle, rischi oggi, dopo essere diventato Primo Ministro, di riportare il paese ai tempi dell'"Hindu Rate of Growth", quando l'espansione annuale dell'economia difficilmente arrivava al 3%.

Possibile che l'idea che l'India si sarebbe prima o poi trasformata in una grande potenza economica (e non solo) fosse priva di fondamento? Forse la ricetta originale di Manmohan Singh avrebbe dovuto essere modificata e riadattata a quelle che di volta in volta erano le nuove esigenze del paese? E ancora: è stata la crisi finanziaria internazionale a creare così tante difficoltà per New Delhi oppure questa fortissima turbolenza ha solo accelerato un declino inevitabile?

L'interpretazione più esatta pare essere proprio quest'ultima. Che non nega che l'India abbia le potenzialità per trasformarsi in una grande potenza. Ma ritiene che, purtroppo, probabilmente non lo diventerà mai. Per cinque validi motivi.

1) Economia in frenata. In un paio d'anni i tassi di crescita sono scivolati dal dieci a poco più del 5%. Un livello insufficiente per una nazione in cui ancora oggi due terzi della popolazione vivono con meno di due dollari al giorno. Senza dimenticare che poco meno della metà ha meno di 25 anni. E se nessuno sarà in grado di offrire loro un lavoro, la quota di poveri e poverissimi potrebbe ulteriormente aumentare.

2) Corruzione. Pessime abitudini consolidate, burocrazia eccessiva e continue richieste di favori hanno trasformato l'India in un paese in cui fare qualcosa in maniera trasparente è impossibile. Cosa che, oltre a disincentivare gli investimenti esteri, non favorisce di certo competitività e sviluppo.

3) Paralisi politica. Pur consapevoli della necessità di intervenire in maniera repentina per evitare il collasso, le opposizioni hanno deciso di dissociarsi a prescindere dalle iniziative della maggioranza, provocando l'attuale paralisi.

4) Riforme bloccate. In un paese che deve identificare un nuovo modello di crescita, è inevitabile che non lasciando spazi di manovra al governo le riforme diventino impossibili.

Alla fine, quindi, si ritorna a Manmohan Singh. Accusato di non essere stato capace di guidarela nazione in un momento di grandissime difficoltà. Facendole intraprendere un sentiero che potrebbe farle bruciare i successi faticosamente conseguiti negli ultimi deceni.

In realtà, il Primo Ministro ha fatto del suo meglio. Certamente non è un cavaliere senza macchia, ma se fosse stato appoggiato appena un po' di più oggi il paese starebbe di certo molto meglio. Entro quindici mesi gli indiani saranno chiamati a scegliere un nuovo governo. E solo in quel momento, e soprattutto se sarà l'opposizione ad avere la meglio, potremo avere la certezza dell'inevitabilità del rallentamento economico del Subcontinente e della relativa, non totale, responsabilità di Singh nello stesso.

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Claudia Astarita

Amo l'Asia in (quasi) tutte le sue sfaccettature, ecco perché cerco di trascorrerci più tempo possibile. Dopo aver lavorato per anni come ricercatrice a New Delhi e Hong Kong, per qualche anno osserverò l'Oriente dalla quella che è considerata essere la città più vivibile del mondo: Melbourne. Insegno Culture and Business Practice in Asia ad RMIT University,  Asia and the World a The University of Melbourne e mi occupo di India per il Centro Militare di Studi Strategici di Roma. Su Twitter mi trovate a @castaritaHK, via email a astarita@graduate.hku.hk

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