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Economia

Italia 2023, fuga dal lavoro a tempo pieno

Negli ultimi nove mesi 1,6 milioni di persone hanno scelto di dimettersi. Il motivo? Cercano un impiego che sia più flessibile per conciliare il tempo della vita familiare

Grandi dimissioni: in 9 mesi in Italia sono state 1,6 milioni. Si allarga nel mondo e anche nel nostro Paese, il fenomeno dei lavoratori che lasciano il posto fisso. Negli Usa si è toccato il record di 4,3 milioni di lavoratori dimessi, in Italia nel 2022 c’è stato un aumento del 22% rispetto al 2021.

In Usa lo chiamano Great Resignation o Big Quit, in Italia le Grandi dimissioni non sono a quei livelli, ma i numeri sono in forte salita. “In meno del 50% dei casi è per raggiungere una condizione economica migliore, ma la maggioranza delle dimissioni avviene per l’aspirazione ad avere più tempo per la famiglia e per se stessi, per crescere professionalmente e come persona e per dare un senso al proprio lavoro”, spiega Sabrina Bonomi, professoressa di organizzazione aziendale all’Università e-Campus e socia fondatrice della Scuola di Economia Civile. I lavoratori non si accontentano più.

Nei primi 9 mesi del 2022 in Italia ci sono state 1,66 milioni di dimissioni. Un aumento del 22% rispetto allo stesso periodo del 2021 (quando il dato era di 1,36 milioni). Parliamo di rapporti di lavoro terminati per dimissioni, non di numero di lavoratori dimessi. Sono gli ultimi dati trimestrali del Ministero del Lavoro ed evidenziano come le dimissioni volontarie siano in classifica il secondo motivo di fine rapporto di lavoro, dopo il non rinnovo dei contratti a termine. Risalgono anche i licenziamenti (dopo il periodo di blocco stabilito durante la pandemia): nei primi 9 mesi del 2022 (gennaio-settembre) sono stati circa 557 mila i rapporti interrotti per decisione del datore di lavoro, (+47% rispetto al 2021). Nel solo terzo trimestre 2022, le dimissioni sono state 562 mila (+6,6% rispetto al terzo trimestre 2021) e i licenziamenti quasi 181 mila (+10,6% pari a +17mila rispetto al 2021). “E’ un momento storico che ha portato le persone a riflettere sui contenuti del proprio lavoro. Le vite erano già complesse prima del Covid, il disagio c’era, ma la pandemia ha fatto da acceleratore. Trovarsi davanti a problemi di salute e all’incertezza e vivere senza relazioni sociali ha spinto a riflettere sulla necessità di recuperare il senso della propria vita. In più provare il lavoro da remoto ha fatto pensare al tipo e alla qualità del proprio lavoro. È come se i valori (il mio lavoro ha un senso? Il luogo in cui lavoro ha un senso?) siano tornati prioritari”, continua Sabrina Bonomi.

C’è quindi una scelta di vita diversa dietro questi numeri, ma c’è anche un dinamismo nuovo del mercato del lavoro. La ripresa occupazionale dopo la pandemia ha creato più opportunità di lavoro e quindi più offerta, per chi vuole cambiare posizione. Le persone che lasciano il lavoro di solito sono indice di un’economia in salute, ma la pandemia sembra avere rivoluzionato questo paradigma. “L’economia va meglio, ma la qualità per arrivare al miglioramento economico non è altrettanto alta. Abbiamo tanti lavori temporanei, quindi persone che lasciano un posto di lavoro per andare in un altro, perché non hanno trovato un legame forte e senso di appartenenza con l’azienda. Quando ci sono tanti lavori temporanei vuol dire che stiamo vivendo un’economia non sana…”, avverte Sabrina Bonomi. Grandi dimissioni significa un costo per le aziende innanzitutto. Investire sulla formazione e l’addestramento di un lavoratore ha dei costi, che portano a dei guadagni e dei benefici se il lavoratore resta. La retention (trattenere i dipendenti) è fondamentale nelle aziende per motivi di costi e per mantenere i flussi di conoscenza e informazioni all’interno. “C’è poi un altro pericolo, soprattutto in Italia. Queste scelte coincidono con la fuga dal nostro Paese. Ci si dimette per cercare contesti di lavoro più gratificanti e condizioni di lavoro migliori (orari più flessibili e maggiori benefit) e spesso lo si fa spostandosi all’estero”, spiega Sabrina Bonomi.

Le grandi dimissioni sono anche la risposta a un mondo del lavoro che per anni non ha ascoltato, dicono in molti. “Alcuni settori vivevano un disagio (pensiamo alla ristorazione) che le aziende non hanno compreso. Hanno capito tardi che era necessario cambiare l’organizzazione del lavoro. Questo fenomeno, con questi numeri, ha fatto riflettere le aziende, che ora stanno correndo ai ripari”, continua Bonomi che parla di una fase. “Non continuerà così. Le aziende non se lo possono permettere. Ora il mondo del lavoro deve investire su welfare aziendale e benessere organizzativo. Può essere un’occasione. Ripensare al lavoro e creare contesti dove le persone sono più valorizzate e quindi performanti porterà a un miglioramento produttivo ed economico. Certo servono leadership più umanistiche ed empatiche, che ascoltino!”, conclude Bonomi

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Cristina Colli