La deflazione in Germania: anche la Merkel soffre
I prezzi al consumo sono scesi dello 0,2% rispetto al mese precedente, dell'1% in un anno. Solo la Bce può davvero fare qualcosa
La crisi alle porte. Anche la Germania inizia a vacillare, sferzata dal vento della stagnazione che nell’eurozona sta facendo vittime mese dopo mese. La deflazione è arrivata, così come il rallentamento delle attività economiche. E ora si attendono risposte da parte della Banca centrale europea (Bce). La pressione per l’avvio di un programma di acquisto di titoli di Stato, o Quantitative easing (Qe), aumenta sempre di più. Ma prima bisognerà aspettare nuovi dati.
La deflazione, cos'è e perché è un pericolo
Meno 0,2% rispetto al mese precedente, meno 1 punto percentuale rispetto a un anno prima. Ottobre, per la Germania, è stato un altro mese in cui l’indice dei prezzi al consumo è calato. Una contrazione attesa dagli analisti, come evidenziato dal consensus di Reuters, ma che potrebbe avere un impatto significativo sulle prossime decisioni di politica monetaria della Bce. Secondo i dati di Nordea, che ogni mese fa il punto sull’inflazione nella zona euro, il livello di allarme è stato toccato. La maggior parte dell’area euro è in deflazione e non sembrano esserci strumenti in grado di riattivare la crescita dei prezzi.
A peggiorare la situazione sono arrivati anche i dati sulla vivacità dei settori manifatturiero e dei servizi in tutta l’eurozona. Il dato della Germania è stato ben al di sotto delle aspettative. L’indice Pmi (Purchasing Managers'Index) elaborato da Markit ha toccato quota 52,1 a novembre, in calo rispetto al 53,9 di ottobre. In pratica, il minimo degli ultimi 16 mesi. Se è vero che l’indice resta sopra quota 50 punti, ovvero la soglia che separa un’economia in contrazione da una in espansione, è altrettanto vero che il deterioramento delle attività economiche in Germania è più veloce delle stime. Secondo Goldman Sachs “entro il primo trimestre 2015 gli indici Pmi potrebbero scendere sotto i 50 punti”. In altre parole, la Germania potrebbe tornare in recessione quanto prima.
La reazione degli operatori finanziari è stata, come prevedibile, nervosa. Come spiega Vincenzo Longo, market strategia di IG, “i dati di questa mattina sono stati veramente deludenti e hanno annullato il sentiment marginalmente positivo che si era creato dopo la pubblicazione dell’indice Zew martedì scorso”. Nello specifico, secondo Longo, “il mercato sta tornando a scontare un ritmo più veloce di deterioramento dell’economia dell’eurozona nell’ultima parte del 2014”. È quindi normale attendersi che qualcosa cambi nelle prossime settimane. Anche per Longo questi dati “tornano a mettere pressione alla Bce per un intervento già a dicembre sul fronte del QE, che dovrebbe interessare l’acquisto dei titoli di Stato”. Tuttavia, conclude lo strategist di IG, “fondamentali rimangono i dati della prossima settimana, quando saranno resi noti in ordine, l’indice IFO sulla fiducia degli imprenditori tedeschi, la stima flash sull’inflazione di novembre in Germania e nella zona euro”. Solo dopo la pubblicazione di questi dati si capirà quanto sono elevate le possibilità che Mario Draghi armi il suo bazooka con il Qe in stile americano.
Il compito più difficile, almeno in teoria, è quello di convincere la Germania che l’acquisto di titoli di Stato da parte della Bce è nel loro interesse e non rappresenta un rischio, né viola il mandato dell’Eurotower. Non dovrebbe essere troppo complicato, data l’attuale debolezza dell’economia tedesca. La sfida più grande, però potrebbe essere un’altra. Dopo aver lanciato le Targeted longer-term refinancing operation (Tltro), operazioni mirate di rifinanziamento a lungo termine, e un programma di acquisti di covered bond e di titoli cartolarizzati, cioè Asset-backed security (Abs) e Residential mortgage-backed security (Rmbs), cosa potrebbe accadere se nemmeno il Qe a tutti gli effetti funzionasse? È una domanda che attualmente è senza risposta, come ha ricordato nella nota mattutina la banca svizzera UBS. Se si guarda all’economia giapponese, a cui gli analisti di Deutsche Bank e Credit Suisse paragonano sempre con maggiore frequenza l’eurozona, e al recente ritorno in recessione gli scenari che si aprono non sono positivi. Per Draghi potrebbe essere quindi sempre più accidentato il percorso che porta l’area euro fuori dalle sabbie mobili in cui è entrata ormai 5 anni fa.