Gabriele Centazzo, l'imprenditore anti-Confindustria
Titolare della Valcucine, ha speso 100 mila euro per comprare tre pagine sul Corriere della Sera e su La Repubblica. E gridare il bisogno di un Rinascimento italiano. Che inizia dal fare pulizia in Confindustria
L’incipit è un duro attacco a Confindustria “un carrozzone che ormai ha acquisito tutti i vizi della politica, più attenta a preservare le poltrone che non a investire nella difesa delle piccole e medie imprese che sono la vera ossatura dell’economia italiana”. Si presenta così Gabriele Centazzo, da Pordenone, 63 anni, fondatore della Valcucine, tipica azienda manifatturiera del NordEst (170 dipendenti per una quarantina di milioni di fatturato).
Ha speso 100 mila euro per acquistare tre pagine su Corriere della Sera e Repubblica e dire la sua sul possibile nuovo “Rinascimento Italiano” economico, etico e culturale. A cominciare però dalle pulizie in casa. Da Confindustria, appunto.
Lui si è già dissociato uscendo dall’associazione. E invitando alle dimissioni di massa ha già raccolto sul sito rinascimento-Italiano.it una cinquantina di adesioni tra imprenditori e liberi professionisti. Né il presidente Giorgio Squinzi né il responsabile nazionale delle Piccole e medie imprese Vincenzo Boccia commentano: “mi ha chiamato soltanto il presidente della sede locale, guarda caso un ex politico” spiega l’imprenditore. “Era preoccupato che non parlassi male della sua territoriale. Io ho risposto che per quanto mi riguarda potevano chiudere tutte”.
Centazzo non vuole essere simpatico per forza. Non ha mai cercato poltrone. E guai a dirgli che imita i messaggi a pagamento di Della Valle, amico e sodale sostenitore delle iniziative (politiche e non) di Luca Cordero di Montezemolo: “Io ho cominciato con il primo 8 anni fa, spiegando che l’Italia deve credere nella sua bellezza e nella sua creatività. Lui è venuto dopo”.
In un momento in cui il credito stringe, il debito incombe e la recessione incalza, Centazzo si è preso la briga di fare due conti in tasca alle associazioni di categoria. “Non mi sento rappresentato da Confindustria” scrive Centazzo “che ormai ha acquisito tutti i vizi della politica italiana: sprechi, troppe poltrone, quasi zero investimenti. Squinzi è un ottimo imprenditore, ma non smentisce questo andazzo. Appena insediato si è subito premurato di nominare 11 vicepresidenti, in un sistema che già conta 267 organizzazioni, dunque altrettanti presidenti e direttori”.
I numeri non mentono. “Nel 2010 le aziende italiane hanno pagato alle proprie associazioni di rappresentanza 494 milioni di euro, quelle inglesi 23 milioni e quelle francesi 23,3. Noi paghiamo 20 volte di più: dove vanno tutti questi soldi?”.
Quello di Gabriele Centazzo non è però uno sfogo aretino (il suo segno zodiacale è ariete). Non vuole sfondare, bensì proporre. “Cosa fare? Potremmo organizzarci in una struttura snella, che destini il 70 per cento dei contributi alla ricerca, il 30 alla salvaguardia della bellezza italiana e il 20 alle spese correnti della struttura. Credete sia impossibile? Pensiamo a che cosa è più utile: forse tutelare il nostro patrimonio culturale e la sua industria o le segreterie? Serve di più creare un centro di ricerca Unico dedicato alle Pmi, che spesso non hanno le risorse per brevettare o acquisire brevetti, o comprare auto tedesche di rappresentanza?” E a questo proposito ci sta anche una battuta: “Ma possibile che la Maserati non possa produrre un’auto utile a questo, rappresentativa e non sportiva, per tenere alto il Made in Italy nel mondo?”, incalza.
La lista dei desiderata possibili è lunga. Passa da “relazioni sindacali più creative e partecipative, cominciando magari dall’inserimento di un rappresentante di fabbrica in consiglio di amministrazione o dalla condivisione degli utili con i dipendenti là dove sia possibile” per arrivare alla istituzione di una Agenzia nazionale confindustriale per la difesa del Food italiano e dei brevetti in generale. “Sa quanti tentativi di imitazione del nostro cibo, dei nostri prodotti, delle nostre innovazioni ci sono nel mondo? Purtroppo le piccole imprese non hanno la forza di far valere le proprie ragioni in giudizio. Ma se ci fosse un network di avvocati internazionali a disposizione, pagato con le quote associative dei soci di Confindustria, forse potremmo far sentire la nostra voce”.
“Bisogna buttare tutto e ricominciare da un punto zero. L’Italia per salvarsi ha bisogno di un timoniere, di un leader carismatico e di una visione che non ha più. Io riassumo questa visione in creatività, innovazione e ricerca, nella bellezza che da sempre rappresenta il nostro patrimonio” e che ha conosciuto il suo massimo proprio nel Rinascimento.
Per Centazzo tutto può e deve convergere: l’istruzione universitaria, gli stanziamenti, la formazione del senso e del gusto etico dei giovani manager e non. “E tutto questo deve partire dalla scuola, come previsto dalla nostra Costutuzione. Per questo il mio vuole essere anche un accorato appello al presidente Napolitano. Ritroviamo la strada della tutela, dell’impegno e della bellezza”.
Rinascimento Italiano è una sigla. Ha simpatizzanti. Idee. Eppure Centazzo nega fermamente qualsiasi volontà politica: “Non scherziamo, non mi interessa. Volevo soltanto creare dibattito, contribuire a una scambio di idee per colmare un vuoto ormai insostenibile aprendo la strada a i giovani, alla freschezza del loro entusiasmo e delle loro idee”. Anche lei parla per slogan? Tra poco ci saranno le elezioni e dobbiamo scegliere: chi tra Matteo Renzi, Antonio Alfano, Puerluigi Bersani, Pierfedinando Casini e i grillini? “La sinistra ha Renziche è giovane e propositivo, dovrebbe tenerne conto” è la risposta ”Quanto ad Alfano, non lo vedo abbastanza carismatico”. E Monti? “Un ottimo superministro dell’economia che può indicare la strada e spiegare il mestiere ai più giovani come io sto facendo in azienda”.
Il punto è interessante: Centazzo passa il testimone a nuovi manager o ai figli? “Ad entrambi. La nostra visione, sulla quale abbiamo puntato affinché l’azienda avesse un futuro e stiamo tramandando, è il riciclo, la tutela dell’ambiente. Noi oggi proponiamo cucine completamente riciclabili, garantite sino a fine vita. A questo punto noi ci incarichiamo di ritirarle e rimettere interamente in circolo”. Nel 2011 Valcucine ha ottenuto il “Premio Innovazione”. E resiste allo spread.