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Economia

Anche l'Afghanistan nelle fauci del Dragone?

Dopo oltre due anni dall'uscita di scena degli Stati Uniti in Afganistan si stanno moltiplicando gli accordi commerciali ed i contatti tra le società cinesi e i funzionari dell'Emirato islamico dell'Afghanistan nel settore minerario

Dopo oltre due anni dall'uscita di scena degli Stati Uniti in Afganistan si stanno moltiplicando gli accordi commerciali ed i contatti tra le società cinesi e i funzionari dell'Emirato islamico dell'Afghanistan nel settore minerario. In questi anni, oltre 500 società cinesi sono entrate nel paese per investire nelle sue risorse e di queste società circa un centinaio si sono registrate presso il Ministero delle miniere e del petrolio per investire nel settore estrattivo del paese.

Lo United States Geological Survey (USGS), con una ricerca tra il 2009 ed il 2011, concluse che l'Afghanistan potrebbe contenere 60 milioni di tonnellate di rame, 2,2 miliardi di tonnellate di minerale di ferro oltre a oro, argento, zinco, uranio, mercurio e litio. La provincia di Ghazni ha mostrato il potenziale per importanti depositi di litio. L'USGS ha stimato che i depositi nella provincia di Helmand potrebbero produrre circa 1,4 milioni di tonnellate di terre rare, altri rapporti stimano che le risorse di terre rare dell'Afghanistan siano tra le più grandi al mondo. L’USGS ha valutato le risorse minerarie afghane in oltre 1 trilione di dollari.

La necessità per l’Emirato di trovare nuovi flussi finanziari, dopo che gli aiuti internazionali sono stati congelati, ha reso l'estrazione mineraria una delle poche vie di finanziamento. Una strada già percorsa in passato, effettuata illegalmente, con un costo per l’allora governo di Kabul di quasi a 300 milioni di dollari all'anno. Pechino comprende bene l'economia fragile e in crisi dell'Afghanistan e tuttavia, quelli che potrebbero sembrare progetti "piccoli" per la Cina, marginali nella sua iniziativa globale Belt and Road, hanno il potenziale per iniettare entrate significative nell'economia afghana e nelle magre casse dell'Emirato.

Un accordo, firmato all’inizio di quest’anno, dall’Emirato con Xinjiang Central Asia Petroleum and Gas Co., una società partecipata dal governo cinese, per estrarre petrolio e gas dal bacino di Amu Darya nella provincia di Sar-e-Pul, nel nord del paese, prevede investimenti fino a 150 milioni di dollari all'anno, che aumenteranno dopo tre anni a 540 milioni di dollari all'anno con una durata complessiva del contratto di 25 anni. In luglio l’impianto estrattivo ha già cominciato a produrre segno evidente che anche un accordo relativamente modesto è importante per la Cina: la dipendenza dalle importazioni di petrolio è del 70% del suo fabbisogno, quindi Pechino non trascura la possibilità di assicurarsi ulteriori fonti di approvvigionamento.

Analisti politici ed economici afghani sostengono che l'accordo non abbia alcuna base legale e violi le convenzioni e le leggi internazionali favorendo Pechino e mettendo in pericolo gli interessi nazionali afghani. Ma per quanto il contratto sia in contraddizione con i principi dei contratti internazionali oggi Kabul non dispone di un team di esperti per redigerlo e finalizzarlo e per monitorarne l'attuazione. Inoltre va sottolineato che se è intuibile che la società cinese raccoglierà ingenti profitti dall’intera operazione d’altro canto oggi è l’unica compagnia disposta ad accettare questo rischio.

Già dall’insediamento del regine talebano in Afghanistan nell'agosto 2021 era evidente che la Cina avrebbe cercato di cogliere l'opportunità di controllare la regione ed espandere le sue ambizioni geo-economiche ma l'impegno di Pechino in Afghanistan va inquadrato nel contesto di una strategia a lungo termine per consentire alle aziende cinesi, piccole o grandi, private o statali, di accedere alle risorse afgane. Ed in questo quadro va letto l'arrivo, nel novembre 2021, come riferito dal Global Times, dei rappresentanti di almeno cinque società cinesi per condurre ispezioni in loco su potenziali miniere di litio.

Perché l’entità delle risorse di litio del paese in realtà non è chiaramente definita. Un memorandum interno del Pentagono affermava che i depositi di litio in Afghanistan sono così vasti da poter "modificare radicalmente l'economia afghana" e che il Paese "potrebbe diventare l'Arabia Saudita del litio". A Pechino, che di estrazione di litio se ne intendono, spiegano che le speculazioni sui “potenziali” colossali utili provenienti dal litio afghano sono probabilmente esagerate. Il valore reale dei giacimenti deve considerare il costo dell'estrazione, che è proibitivo in un Paese senza sbocco sul mare e con infrastrutture pressoché inesistenti.

Ed anche lo scalpore destato dall’arresto di due cittadini cinesi e dei loro collaboratori afghani accusati di aver tentato di contrabbandare circa 1.300 tonnellate di rocce contenenti litio fuori dall'Afghanistan va ricondotto nel giusto alveo. E’ molto probabile che i minatori locali del Nuristan occidentale alle ricerca di pietre preziose gettassero via la roccia contenente il litio poiché, per loro, priva di interesse.

Oltre ad essere ricche di minerali contenenti litio, le pegmatiti dell'Afghanistan ospitano il berillo alla cui famiglia appartengono lo smeraldo, l'acquamarina, la morganite ed altre importanti pietre preziose. L’arrivo di commercianti cinesi, certamente molto più cosci del valore sul mercato di rocce contenenti litio al 30%, li ha indotti a tentarne l’esportazione che l’Emirato ha dichiarato illegale pochi mesi dopo il suo insediamento. Il contrabbando di risorse naturali dell'Afghanistan da parte dei cinesi non è nuovo ma non va confuso con una strategia, ancora tutta da disegnare, del Dragone sulle risorse del litio afghano.

Diversa invece la situazione sulla miniera di rame di Aynak: a maggio, l'ambasciatore Wang ha riferito all'Emirato che China MinMetals Corporation (CMC), la società a partecipazione statale titolare della concessione, avrebbe accelerato i "lavori preliminari" sulla miniera situata a 35 chilometri a sud della capitale afghana, Kabul, all'estremità settentrionale della provincia di Logar che contiene circa 450 milioni di tonnellate di minerale di rame con un tenore del 2,3% nella parte centrale del deposito.

Posta all’incrocio delle culture ellenistica e indiana, Mes Aynak, viene paragonata a Pompei e Machu Picchu per dimensioni e significato, si ritiene abbia tra i 1.000 e i 2.000 anni, era una volta una vasta città organizzata attorno all'estrazione e al commercio del rame. Ma è il tema su cui pare stiano sorgendo nuove controversie tra la CMC e l’Emirato a lasciare basiti. Notoriamente le compagnie cinesi preferiscono l'estrazione a cielo aperto piuttosto che in sotterraneo visti anche i costi significativamente superiori.

Ebbene l'Emirato Islamico dell'Afghanistan che altri non è se non quella banda di tagliagole che ha fatto esplodere i buddha giganti di Bamiyan nel marzo 2001 ora si oppone allo scavo a cielo aperto poiché gli archeologi sostengono, giustamente peraltro, che la miniera potrebbe far scomparire per sempre l'antica città buddista scavata tra queste immense vette.

Anche l’esito di questa vicenda chiarirà ulteriormente quale sarà l’approccio della Cina nei confronti dell’Emirato ma è probabile che il pragmatismo cinese e la consapevolezza dei fallimenti consecutivi di due potenze mondiali, URSS e USA, facciano propendere per un suo impegno molto limitato in Afghanistan finalizzato a quelle risorse come gli idrocarburi, il litio o il rame di cui la sua economia ha una necessità primaria.

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Giovanni Brussato