E intorno a te, noi
Sai, per fare una famiglia serve tempo. Non bastano molecole, cellule, carne, nervi, geni e sangue: mischiati. Non basta un tetto e un piatto in comune. Serve tempo da vivere insieme
DIARIO DEI GIORNI DISPARI
17 agosto '16 - E intorno a te, Agnese, ci siamo noi. Filippo, mamma e io. Noi che facciamo parte del tuo mondo. Noi che con te condividiamo spazi e tempo.
C’è Filippo, tuo fratello. Maggiore. E anche un po’ capitano. Di quelli generosi, che dietro la timidezza sanno nascondere il cuore grande che gli batte dentro. Di quelli che bisogna conoscerli bene per seguirli fino in capo al mondo. E imitarli. Proprio come fai tu, che lo copi in tutto. Nelle risate forti che ci fanno divertire, nell’arrampicarti e saltare sul divano, nel mangiare la pizza con le mani davanti a un film, nella gioia che provi nell’andare in bicicletta, nella curiosità con cui guardi il mondo, nel coraggio che hai di tuffarti in mare, nell’inventare canzoni, usando parole astruse. Sì, lui, Filippo. «Icco» per te. Lui che ti bacia con la stessa foga con cui prende a morsi la vita e le fette d'anguria. Lui che ti toglie le macchinine dalle mani, ma «mica perché le femmine devono giocare con le bambole, ma perché, cavolo papà, sono il gioco più prezioso che ho». Lui che quando si sveglia, al mattino, prima ancora di fare colazione, si mette sul dondolo a leggere e poi ti fa il baciamano, «da vero gentiltopo».
Poi ci sono io. «Tteo», come stai imparando a dire. Papà come da subito mi hai chiamato, dandomi i brividi. Io che vivo nell’urgenza di tenerti tra le braccia e con il cuore diviso, tra la voglia di veder crescere i tuoi centimetri e la paura che ciò avvenga troppo velocemente. Io che ti prendo sulle spalle per abituarti a guardare il mondo da un altro punto di vista. Io che mi prendo volentieri i rimbrotti di mamma se, mettendoti a letto, indugio troppo nel tenerti in braccio (perché so che questi momenti, pieni e fugaci insieme, non torneranno più). Io che non conoscevo la parola pazienza, prima di sedermi a imboccare te e il tuo peluche. Io che ho scoperto un’altra tonalità di blu grazie ai tuoi occhi e ho imparato una nuova grammatica del cuore, declinandolo in vari modi.
E poi c’è mamma. «Ita», come ti capita di chiamarla, imitandomi. Mamma: cioè ogni risposta a ogni tuo bisogno. Mamma che sa di pane appena sfornato e brezza di mare. Mamma che è stata la tua prima casa. Mamma che sceglie borse «carine, ma soprattutto capienti» per uscire senza dimenticare le tue cose. Mamma che si trucca tenendoti in braccio, che prepara la cena tenendoti in braccio, che risponde alle mail di lavoro tenendoti in braccio, che ti insegna a essere una donna tenendoti in braccio. Mamma che capisce prima (e più) degli altri il tuo pianto e la tua stuzia. Mamma che è davvero sinonimo di tutto, per la sua bambina. Ed è capace di tutto, pronta a tutto. Anche a lasciarti andare, quando sarà il momento.
Eccoci qua: questi siamo noi, Agnese. Belli: di quella bellezza vissuta che hanno le persone normali.
Noi che riempiamo il tuo tempo. Perché, sai, per fare una famiglia serve quello: il tempo. Non bastano molecole, cellule, carne, nervi, geni e sangue: mischiati. Non basta un tetto e un piatto in comune. Serve tempo da vivere insieme. Da condividere. Tempo di abbracci e porte sbattute. Comprensioni, pazienza e ribellioni. Preoccupazioni e tenerezze. E silenzi, gesti, gioie e amarezze. E mani dolci e spalle forti. E lacrime e risate, dolori e canzoni da urlare. E quiete e tribolazioni e segreti sussurrati. Coccole a nanna e sorrisi a colazione.
Ora, io non so se, da grande, te ne farai una tua o no, di famiglia. Nel primo caso, ti auguro che assomigli un po’ alla nostra, un po’ sgarrupata ma felice. Nel secondo, spero che la nostra tu la tenga sempre dentro e, ripensandoci, ti scappi un sorriso. E anche un pizzico di nostalgia.