Narciso nelle colonie, di Vincenzo Latronico e Armin Linke
Armin Linke 2012
Lifestyle

Narciso nelle colonie, di Vincenzo Latronico e Armin Linke

Latronico e Linke ci portano alla scoperta dell'Etiopia in un libro appena uscito per Humboldt books

Comincia come un libro di avventure Narciso nelle colonie, il racconto (per immagini e parole) del viaggio in Etiopia dello scrittore Vincenzo Latronico e del fotografo Armin Linke. Comincia nel deserto arroventato a bordo di una Toyota sgangherata, con i nostri eroi persi da ore alla ricerca di un lago che sembra spostarsi sempre più in là per sottrarsi ai loro sforzi.

Un deserto di pietre, di capre e di persone (soprattutto di persone, come Latronico sottolineerà più volte), di parole incomprensibili e di calore ottundente. Un deserto in cui il tremolio dell’orizzonte si mescola alle indicazioni di uomini della stessa sostanza del vapore, ugualmente misteriosi e incomprensibili.

Ma in questo deserto hanno anche girato alcune scene di 2001 Odissea nello spazio e i nostri bravi occidentali lo sanno. Al silenzio delle mappe e della desolazione che li circonda cercano allora rimedio rintracciando nel paesaggio riferimenti alle scene sbiadite della loro memoria mentre le rocce e i promontori mostrano un’eloquenza ingannevole e pericolosa.

Alla fine troveranno il lago e il loro viaggio proseguirà. E incontreranno ancora luoghi e persone e cose che Latronico racconterà e Linke ritrarrà con la sua macchina fotografica. Ma è in queste prime righe che viene dichiarata ogni cosa.

L’Etiopia che li accoglie non è un territorio vergine né ingenuo. L’epoca del colonialismo italiano ha lasciato di sé una memoria incancellabile e le tracce sono dappertutto: dalle infrastrutture all’organizzazione del lavoro, dalla lingua all’economia. Ma di tutto questo all’Italia e agli italiani non resta che il vago ricordo di un senso di colpa non ancora elaborato. Troppo poco.

Vincenzo Latronico fa i conti con tutto questo: col suo immaginario filmico e culturale di giovane occidentale colto, con l’indefinibile senso di colpa di chi appartiene al popolo che è stato oppressore, con la vergogna che gli viene dalla nostalgia e dall’odio con cui gli Etiopi ricordano l’occupazione italiana. Soprattutto fa i conti con la storia della sua famiglia di cui in Etiopia è stato scritto un capitolo importante, all’ombra delle traversine della prima ferrovia del paese.

La sua storia, i ricordi, le colpe, i pranzi, il caldo, il tempo immobile e gli incontri sono gli ingredienti di un libro bello e profondo che ci porta alla scoperta di un paese e di un confine, un confine oltre il quale la coscienza di un occidente tecnologico, informato e iperconnesso è costretto ad ammettere la parzialità della propria visione di un mondo che conosce altre regole. Non è più il tempo dei viaggi dove Phileas Fogg poteva consultare il suo orologio da taschino a dorso d’elefante sicuro della superiorità della cultura britannica su quella indigena: due secoli dopo chi si mette in viaggio è costretto a mediare continuamente fra la propria cultura e quella dell’altro, fra la consapevolezza di un’alterità ineliminabile e l’impossibilità di godere dell’esotico senza venire a patti col proprio senso di colpa.    

Di tutto ciò un secolo di cultura visiva ha scolpito immaginari di granito, e in questo senso non potrebbe essere più adatto il progetto che Latronico e Linke firmano per Humboldt: un libro fatto di immagini (letterarie e fotografiche) che infrangono il confine fra il documentario e la storia, fra colpa e gratitudine, fra la precisione della scienza geografica e lessicale (molti i glossari e le cartine nella seconda parte del libro) e l’ambiguità di un’esplorazione sentimentale che non conosce requie. Vengono a patti insomma con l’immaginario costituito per trovare se stessi e l’altro fuori dalla palude dei cliché.

Ci sono riusciti? Nelle ultime pagine Latronico sembra nutrire qualche dubbio (da cui anche il titolo, Narciso nelle colonie): troppo sfocata ancora la nostra storia coloniale, troppo sfocati i nostri pensieri e le nostre identità oggi, troppo sfocati i progetti e il futuro di un paese come l'Etiopia che ha imparato a dimenticare il proprio passato (quando non a riscriverlo).

La memoria storica, il ricordo, la conservazione delle testimonianze, la loro valorizzazione, sono questi i processi che ci permetteranno di strutturare un immaginario e una cultura visiva storicizzati, in grado di riconoscere giudizi, condanne e assoluzioni.  Ma il cambiamento è lento come un viaggio, come questo viaggio, anche se come ogni viaggio, prima o poi, conoscerà una fine.    

Vincenzo Latronico, Armin Linke, Narciso nelle colonie. Un altro viaggio in Etiopia, Humboldt

@giuliopasserini

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Giulio Passerini