Se io avessi mille teste, le consegnerei a te
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Se io avessi mille teste, le consegnerei a te

«Se io ti portassi con me in giro e ti tenessi al campo come una puttana, pensa quale disonore trarremmo a nostro svantaggio»: con queste parole Eurialo, soldato tedesco (anzi: cavaliere di Franconia) giunto a Siena al …Leggi tutto

«Se io ti portassi con me in giro e ti tenessi al campo come una puttana, pensa quale disonore trarremmo a nostro svantaggio»: con queste parole Eurialo, soldato tedesco (anzi: cavaliere di Franconia) giunto a Siena al seguito dell’Imperatore, abbandona Lucrezia, «fanciulla di non ancora vent’anni, sposata al ricchissimo Menelao». E le doti di Lucrezia, descritte in una storia del 1444, non potevano essere più perturbanti: «né timida né sfrontata, serbava nel cuore femminile un animo virile. La fronte era alta, spaziosa e ben proporzionata, non solcata da alcuna ruga, le sopracciglia ben arcuate, con pochi e sottili peli, separate da giusto spazio. Gli occhi sfolgoranti di tale splendore che inebetivano chi li guardava, come succede a coloro che osano guardare il sole. Con essi ella avrebbe potuto uccidere chi avesse voluto sia, volendo, risuscitare i morti. (..). La bocca piccola e graziosa, le labbra di color corallo adatte ai morsi, i denti piccoli e ben allineati parevano di cristallo, e la lingua, muovendosi tra di essi, emetteva non banali discorsi ma delicatissime armonie».

L’autore si spinge oltre poco dopo, paragonando il cavallo di Eurialo, «dal collo eretto e dal capo superbo, che il ventre magro e la groppa larga rendevano splendido, di carattere ardente, irrequieto sulle zampe», proprio alla fanciulla «dopo aver visto Eurialo». Le pagine scottano di qualcosa che le accomuna, tre secoli prima e per la fisicità che non tralasciano di raccontare, a Sade, e quattro a Tolstòj per la psicologia delle ambivalenze: Eurialo le scrive una lettera, che lei fa a pezzi e butta nella cenere (mica nel fuoco), salvo poi ricomporla e baciarla pezzo per pezzo. Rosa dal dubbio e già colonizzata dall’amore, si dice che la prima regola è stare lontano da uno straniero che sembra bello. Alla fine, gli risponde: «tu sei un uomo: è tuo compito avere cura di me e di te. Non comincio a essere tua se non per esserlo per sempre». L’adulterio viene consumato nel letto matrimoniale, approfittando delle assenze di Menelao e della connivenza di un domestico di nome Sosia (la voce di cui i personaggi di Dostoevskij sono un’eco): è «niente è esente, niente è negato» a questo amore, conclusione dialettica e inevitabile di quell’amor cortese altomedioevale fondato sulla mezura, la misura esatta tra sofferenza e piacere e tra adorazione e impossibilità che può realizzarsi solo nell’adulterio.

Eurialo, più volte sul punto di essere colto nella stanza di Lucrezia («la legge Giulia è spietata contro gli adulteri»), spesso si rimprovera: «Ora hai conosciuto quale sia il potere dell’amore: lunghi lutti, brevi risa, piccoli dolori, grandi timori. Chi ama sta per morire e non muore mai. Perché ti sei di nuovo immischiato in queste sciocchezze?». Scampato il pericolo, esce dal suo nascondiglio in preda a una nuova eccitazione: «Lucrezia era vestita di una tunica leggera che non si discostava dal corpo e lasciava intravedere i seni e i fianchi»; «Sei mia», dice lui, «Ma è una colpa!», lei. Lui unì «le parole ai fatti»: «E tolto l’abito a Lucrezia, senza sforzo ebbe la meglio sulla donna, che voleva essere vinta».

Poi, raccontando gli eventi agli amici, dice «Sciocco che sono, ho affidato la mia vita a una donna… un animale selvaggio, infido, volubile, crudele, dedito a mille passioni. Ho affidato la mia vita a una donnicciola». Ma dopo poco “ragiona”, parlando all’ideale di lei: «perché non dovrei affidarmi a te? Se io avessi mille teste, le consegnerei a te. Tu hai diritto di vita e di morte su di me. O candido petto, dolce lingua, occhi soavi, ingegno pronto, membra statuarie e piene di vita, quando vi rivedrò? Quando potrò mordere di nuovo le labbra coralline? Quando di nuovo sentirò nella mia bocca la lingua tremante e accarezzerò nuovamente il tuo petto?».

La storia finisce con la lettera citata all’inizio: Lucrezia, restituita alla sua unità di donna nuda, si ammala e muore, «lacerata in due parti». Eurialo la sogna per qualche notte, si veste a lutto e non trova consolazione «fino a quando l’imperatore non gli diede in sposa una fanciulla di nobile stirpe, bella e avveduta».

Sarebbero notevoli queste pagine di sesso, disincanto, violenza, autodeterminazione femminile e abbandoni anche solo considerando che sono state scritte in un tempo di concili e guerre, crociate e eresie che stava per volgere al Rinascimento, in forma di lettera a Mariano Sozzini, senese e «giurista e in entrambi i diritti», da un suo conterraneo, sotto il titolo Historia de duobus amantibus (Storia dei due amanti); lo sono tanto più considerando che il loro autore, Enea Silvio Piccolomini, pochi anni dopo salirà al soglio pontificio come Papa Pio II.

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Daniela Ranieri

Daniela Ranieri vive a  Roma, anche se si domanda perché ciò dovrebbe avere importanza in questa sede. Ha fatto reportage e documentari per la tv. Ha fatto anche la content manager, per dire. Vende una Olivetti del '79, quasi  nuova. Crede che prendere la carnitina senza allenarsi faccia bene uguale. Ha pubblicato il pamphlet satirico "Aristodem. Discorso sui nuovi radical chic" e il romanzo "Tutto cospira a tacere di noi" (entrambi Ponte alle Grazie) 

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