Louvre, il bello dell'Islam adesso è francese
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Louvre, il bello dell'Islam adesso è francese

"Les Arts de l'Islam" è la nuova ala di 3.500 metri quadrati con i capolavori della civiltà coranica

Il Louvre e il Profeta (sia lode a Lui). Il 23 settembre, nel museo che è la sontuosa vetrina d’Occidente, è stato inaugurato un padiglione interamente dedicato ai tesori della civiltà coranica. Ci sono le pie e preziose testimonianze della Cordoba di Averroè che anticipa di secoli la Firenze di Lorenzo il Magnifico, come il "gran Commento" da cui Galileo Galilei intuì il moto dei gravi, quindi il Porche Mamelouk, un portico del XV secolo, e ci sono, sui manufatti e sui reperti, le calligrafie di un’arte estranea alla descrizione della figura umana, ovvero i ritmici ornati da cui Leonardo Fibonacci, nel 1200, ricavò le cifre indo-arabiche degli algoritmi.

La galleria è Les Arts de l’Islam. È quella che Titus Burckhardt definì "impersonale come quella di un cielo stellato" e ci sono, infatti, gli arabeschi dei chiostri, i rami protesi sui fiumi con le loro gemme offerte ai sorrisi dei pesci e, infine, l’estenuante gara di sfumature cromatiche che ancora oggi, in prossimità della Senna, nel sottosuolo della Cour Visconti, con Ibn Shuhayd, voce d’Andalusia, ci fanno cantare "la sfera celeste che si manifesta nei colori, il rosso e il bianco sopra di noi che ci fa pensare alle guance sudate della nostra amata".

Uno spazio di 3.500 metri quadrati distribuito su due livelli, un forziere di 12 metri di profondità vestito di "iridescenza" (è il velo progettato da Mario Bellini e Rudy Ricciotti), un percorso di visita curato dall’architetto Renaud Piérard e le vetrine, pensate da Alessandro Goppion, realizzate "a scomposizione" ortogonale e diagonale, "aperte come ali dispiegate di un uccello in volo", tanto trasparenti quanto inespugnabili, disegnano un non spazio dove tutta quella meraviglia di arte risulta come un’infiorescenza di preghiera e danza.

Goppion, a capo della sua impresa milanese, è leader nel settore, ha realizzato nel 2010 anche le vetrine del Museo di arte islamica del Cairo e, ancora a Parigi, quelle dell’Institut du monde arabe. Con la propria tecnologia ha prestato opera ai più importanti musei del mondo, ma ci piace pensare che Goppion abbia confermato una costante che in più di mille anni di odio si rivela in forma di paradosso e cioè che forse solo l’Europa, oggi al Louvre, ieri con Johann Wolfgang Goethe, sa custodire l’incomparabile bellezza dell’Islam.

L’Alhambra è Dhikru-llàhai, ovvero "Ricordo di Dio". La patria dei popoli venuti da Roma, dal Reno e da Atene, forse più degli stessi musulmani d’Arabia, assolve al miracolo di perpetuare, nelle vestigia e nel tesoro culturale, il genio del Profeta venuto dalle sabbie. La moschea di Gerusalemme è stata edificata col marmo di Carrara, una decisione di Benito Mussolini che fino a qualche anno fa (prima del riaccendersi dei focolai xenofobi di casa nostra) garantiva agli italiani il libero ingresso. Basterebbe leggere un libro emozionante e informato come quello di Massimo Jevolella, Le radici islamiche dell’Europa (Boroli), per capire quanto ciò che ci descrive derivi da quello che Goethe definì quale "bagliore di stella".

L’Europa, nel suo destino, è ancora quella del Divano scritto dell’autore del Faust, e oggi, fra le tante produzioni scientifiche e storiografiche, non c’è biografia più completa e più affascinante di Muhammad, il libro di Martin Lings, scomparso nel 2005, già bibliotecario dell’Università di Oxford, poi segretario di René Guénon al Cairo. Il motto autoironico di tanti islamici europei, ieri come adesso, è sempre lo stesso: "Per fortuna ho incontrato l’Islam prima di conoscere i musulmani".

A Parigi, dunque, come a volere raccogliere ciò che per la Francia è eco di un orgoglio issato da Napoleone innanzi alle Piramidi, in Egitto, quando, nel luglio del 1798, alla folla radunata all’ombra della Sfinge pronuncia ciò che senza gigioneria è fato: "Io sono musulmano". La terra dell’Illuminismo e della Rivoluzione francese è oggi la più popolosa nazione islamica nell’Unione Europea, certamente lo è per l’immigrazione dal Maghreb. Fu anche il domicilio di Ruhollah Khomeini negli anni dell’esilio prima della Rivoluzione islamica. Da Parigi mosse i propri studi il massimo fra i teologi islamici europei: Henry Corbin.

Storia di passione e vita quella tra Cartesio e i beduini. La moschea di Parigi è fra i centri più vitali della cultura francese e neppure la dissennata politica estera di Nicolas Sarkozy, che ha portato la devastazione con il colpo di stato in Libia contro Muammar Gheddafi lasciando il campo libero ai massacri, né il recente dibattito scaturito da Richard Millet in difesa di Anders Breivik, il massacratore islamofobo norvegese, può scalfire quello che a tutti gli effetti è un patrimonio condiviso, al punto di fare apparire ovvio il riconoscimento che il presidente François Hollande darà a questo allestimento. Che, in virtù del design, fra il nero degli arredi e quello del pavimento, ripete gli effetti dell’uccello canterino dal piumaggio nero Ziryab.

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