Capolavori in letteratura: una definizione
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Capolavori in letteratura: una definizione

Si può definire esattamente il concetto di ‘capolavoro’? Ecco uno spunto per riflettere, grazie a un saggio di Charles Dantzig

In ogni sorta di attività umana è diffuso l’utilizzo del termine “capolavoro”. Dalla pittura alla musica, dallo sport alla letteratura, quando si utilizza questa parola è chiaro a tutti che si sta parlando di qualcosa di eccezionale, uno scarto dalla norma, di un’opera che esce dagli schemi. Eppure, nonostante ciò, non è così semplice darne una definizione chiara e completamente esauriente.

Ci ha provato Charles Dantzig , un illustre editore e scrittore francese, che ha da poco pubblicato A propos des chefs-d'oeuvre (Grasset), un saggio, inedito per ora in Italia, in cui tenta proprio di spiegare il concetto di “capolavoro” in letteratura. L’intellettuale d’oltralpe, attraverso un percorso lungo secoli tra scrittori e opere capitali, conclude il suo libro affermando:

“Il capolavoro letterario è un libro eccezionale che crea il suo proprio criterio e che non si può giudicare se non tramite se stesso. Espressione la più audace possibile di una personalità, ogni capolavoro è unico. Niente attiene al capolavoro se non la forma di quel capolavoro. Il capolavoro è la creazione più esaltante dell’umanità”.

Ma, come lo stesso autore spiega in una recente intervista al Corriere della Sera, più che una targa definitiva al concetto tale formula rappresenta piuttosto un punto di partenza, una proposta di lavoro che possa aiutare a ragionare.

Nel suo saggio Dantzig inserisce numerosi esempi di importanti titoli che hanno raggiunto lo status di “capolavori”, dividendo i testi citati in “promossi” e “bocciati”. E se tra i primi troviamo senza sorpresa Teorema di Pier Paolo Pasolini (Garzanti) o Alla ricerca del tempo perduto di Marcel Proust (Einaudi), ecco che invece nella lista nera appaiono il Don Chisciotte di Cervantes (Bompiani), L’isola di Arturo della nostra Elsa Morante (Einaudi) o, addirittura, Viaggio al termine della notte di Céline (Corbaccio).

L’autore di A propos des chefs-d'oeuvre non risparmia nemmeno Philip Roth e Jonathan Franzen: il primo accusato di una scrittura altalenante, mentre il secondo di un abuso controproducente dei dialoghi.

Di fronte a bocciature di questa caratura, appare abbastanza chiaro che, nonostante l’autorevolezza dell’autore, il concetto di “capolavoro” non sia facilmente circoscrivibile, vista anche la forte componente di soggettività che si può trovare nella scelta di un’opera piuttosto che un’altra.

Esistono comunque titoli che innegabilmente sono capolavori, ormai stabilmente posti sull’altare più alto dell’universo letterario. Tale status può arrivare da differenti metri di giudizio, che possono riferirsi a un dato tempo, a un genere o all’intera opera di un singolo scrittore.


Da qualunque  punto di vista arrivi la corona d’alloro, un capolavoro rappresenta sempre un esempio da seguire e, talvolta un inarrivabile gioiello da ammirare, a prova di ciò che l’arte, la fantasia e l’ingegno umano sono in grado di creare. E proprio anche attraverso il riconoscimento, la conservazione e la conoscenza di queste opere l’uomo può orientarsi nella giungla dell’iperproduzione tipica della modernità.

Come disse Susan Sontag citando Wagner, “il capolavoro guasta la nostra tolleranza verso tutto il resto”.  
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- A propos des chefs-d'oeuvre - Charles Dantzig (Grasset)
- Teorema – Pier Paolo Pasolini (Garzanti)
- Alla ricerca del tempo perduto – Marcel Proust (Einaudi)
- Don Chisciotte – Miguel de Cervantes (Bompiani)
- L’isola di Arturo – Elsa Morante (Einaudi)
- Viaggio al termine della notte – Louis-Ferdinand Céline (Corbaccio)

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Andrea Bressa