La prova più schiacciante della sua infedeltà
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La prova più schiacciante della sua infedeltà

Quanto la gelosia sia un sentimento raccapricciante contiguo più alla paura che all’amore e quanto, come il timore di dormire al buio, si nutra dell’immaginazione delle possibilità più che della coscienza del torto subito (in questo caso si è già …Leggi tutto

Quanto la gelosia sia un sentimento raccapricciante contiguo più alla paura che all’amore e quanto, come il timore di dormire al buio, si nutra dell’immaginazione delle possibilità più che della coscienza del torto subito (in questo caso si è già fuori dalla gelosia e si entra nel rancore o nell’odio) lo si apprende nel tormentoso racconto che Milan Kundera inserisce in Amori ridicoli, intitolato Il falso autostop.

Un ragazzo e una ragazza in piena salute personale e relazionale si mettono in viaggio in auto in un giorno di sole per una vacanza di due settimane a Bystrica. Dopo pochi chilometri – lei che riflette sull’adeguatezza del proprio corpo in quel contesto amoroso, lui che è commosso dal suo pudore e dalla sua civetteria lievemente sgualcita da un anno di amore – si accorgono che sta per finire la benzina e si fermano in una stazione di servizio.

Lei deve andare in bagno (si vergogna di dire che deve fare pipì, o forse teme l’eccessiva confidenza col suo uomo come fosse la rinuncia alla possibilità di pensarsi diversa da come è) e così si incammina lungo la strada, poco distante dalla stazione, per ritirarsi in un boschetto. Una volta messa benzina, lui l’avrebbe raggiunta e fatta salire in macchina. E così fanno.

Solo che quando lui la raggiunge, nel momento in cui sta per abbassare il finestrino, la vede nell’accecante, radiosa luce della novità, e come capita in quegli istanti al fulmicotone in cui si pensa di avere dello spirito decide di dirle: «Da che parte, signorina?». L’attimo è delizioso, rapido: «Va a Bystrica?» chiede lei sorridendogli con civetteria. «Prego, salga», dice lui, e non sa che sta per entrare nell’inferno.

Il gioco prosegue. «Un’autostoppista così bella non mi era mai capitata», fa lui. «È proprio bravo a mentire», dice lei. «Ho l’aria di un bugiardo?» fa, incautamente, lui, che in questo momento è sia il fidanzato che sta portando la sua ragazza in vacanza, sia il guidatore che carica una sconosciuta in auto. «Ha l’aria di uno a cui piace mentire alle donne» dice lei, e mentre lo dice che si accorge di credere sul serio che al giovane piaccia mentire alle donne.

Non lo sanno se non in termini di una vaga ed elettrizzante ansia, ma la tenaglia psicologica delle identità, degli affetti, delle paure si sta già stringendo attorno a loro.

Lui decide di non offendersi, perché in fondo la frase non è rivolta a lui ma al guidatore sconosciuto. Ma divertito domanda: «E questo le dà fastidio?».

«Se io e lei stessimo insieme, mi darebbe fastidio», fa lei, aggrovigliando logica e principio di realtà. Si tratta di un sottile messaggio pedagogico rivolto a lui, che ritiene di precisare: «A una donna danno fastidio molte più cose nel proprio uomo che in uno sconosciuto» (questo, invece, è un sottile messaggio pedagogico del giovane per la ragazza, dice Kundera). Rincara: «Perciò, visto che noi siamo due sconosciuti, potremmo intenderci alla perfezione».

Lei, come avremmo fatto noi tutti in una situazione del genere, decide di ignorare la necessaria conclusione del sillogismo sotteso a quelle parole (se lo facesse, dovrebbe scendere dall’auto e scappare), però, gettandogli uno sguardo veloce, gli riconosce «in viso lastessa espressione con cui se l’era immaginato nelle più tormentose ore di gelosia»; è «terrorizzata dal modo galante» con cui lui le fa la corte, «a lei (a un’autostoppista sconosciuta), e dal vedere come quella parte gli stesse bene».

Ai suoi occhi quella che sta vivendo è la prova più schiacciante della sua infedeltà: in fondo, basta essere carine e salire sulla sua auto per avere un’avventura con lui. Il fatto che lui non faccia minimamente cenno a una fidanzata ufficiale (lei stessa!) che lo aspetta a casa è un’aggravante intollerabile, che le procura un «rancore breve e lancinante». Si volta dall’altra parte facendo un’espressione dura.

Quanto a lui, non ci sta capendo niente. In fondo, sente di essere arrabbiato con lei, forse «per non aver ascoltato e per aver rifiutato di essere se stessa quando lui lo aveva desiderato».

Lei ha un soprassalto di razionalità: forse è troppo severa, pesante, e lui sta solo giocando; ma invece di disintegrare il gioco con una carezza e un bacio veri, ha l’idea di dire «Mi scusi, non volevo offenderla». A questo punto, poiché lei insiste «con la sua maschera», il giovane capisce di dover trasferire «la sua rabbia sull’autostoppista sconosciuta che lei sta impersonando»; è così che scopre «all’improvviso qual è la vera natura del proprio personaggio»: mette da parte le galanterie «con le quali ha voluto lusingare indirettamente la sua ragazza», e comincia «a recitare la parte dell’uomo forte che rivolge alle donne soprattutto i lati rudi della mascolinità: volontà, sarcasmo, sicurezza di sé».

Si produce un cortocircuito: «per la ragazza, la sarcastica compostezza del giovane» capita «molto a proposito»: la libera da se stessa. «E se stessa voleva dire soprattutto la gelosia». Nell’istante in cui non vede «più accanto a sé il giovane che cercava di sedurla con galanteria» e vede «invece il volto inaccessibile», la sua gelosia si placa. In fondo, può darsi, anche con una sconosciuta avrebbe potuto assumere quell'espressione indifferente. Forse, in questo preciso momento lui starebbe pensando a lei. Perciò può dimenticare se stessa e abbandonarsi al suo personaggio, «un personaggio attinto dalla cattiva letteratura. L’autostoppista aveva fermato la macchina non per farsi dare un passaggio, ma per sedurre l’uomo che viaggiava nell’auto». Riprende le vesti della ragazza leggera tutta immersa nell’irresponsabilità spensierata del flirt, sfiorando la volgarità. Lui la guarda e sente «nei suoi confronti un crescente disgusto».

Non è però soltanto disgusto: «quanto più la ragazza si allontanava da lui mentalmente, tanto più egli la desiderava fisicamente». 

In fondo, stanno entrambi assaporando l’amaro privilegio di essere lì presenti all’atto di seduzione di uno sconosciuto da parte del proprio partner; di vedere da vicino come l’altro si comporta e cosa dice quando lo tradisce, «quando lo ha tradito, quando lo avrebbe tradito»; ciascuno ha «il paradossale onore di essere lui stesso l’oggetto della infedeltà dell’altro».

Dopo un esasperante sdoppiamento che arriverà allo stupro, il gioco finirà, male, in uno squallido motel, oltre il «confine proibito» dove forse si trova la verità dell’amore.

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Daniela Ranieri

Daniela Ranieri vive a  Roma, anche se si domanda perché ciò dovrebbe avere importanza in questa sede. Ha fatto reportage e documentari per la tv. Ha fatto anche la content manager, per dire. Vende una Olivetti del '79, quasi  nuova. Crede che prendere la carnitina senza allenarsi faccia bene uguale. Ha pubblicato il pamphlet satirico "Aristodem. Discorso sui nuovi radical chic" e il romanzo "Tutto cospira a tacere di noi" (entrambi Ponte alle Grazie) 

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