'L'Apocalisse è un lieto fine': intervista a Ermanno Olmi
Foto Giacomo Gatti
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'L'Apocalisse è un lieto fine': intervista a Ermanno Olmi

Il regista si racconta in un'autobiografia in cui riflette sulla sua vita, prospetta il declino della nostra epoca e dà consigli su come affrontare il futuro

"Il mio bisogno di restare a contatto con la natura  è divenuto una vera necessità". Così Ermanno Olmi, regista di film cult come La leggenda del santo bevitore e L'albero degli zoccoli, giustifica la sua scelta di vivere lontano dalle città. Preferisce ambienti semplici che non definisce bucolici, ma necessari affinché l'uomo possa ritrovare la dignità di essere umano. Nella sua casa circondata dalla presenza prorompente ma serena della natura, il regista spiega a Panorama.it che l'ha intervistato, la filosofia alla base del suo libro autobiografico L'Apocalisse è un lieto fine, sottotitolo Storie della mia vita e del nostro futuro, edizioni Rizzoli.

Anche lei come tanti suoi colleghi si è lasciato tentare dall'autobiografia. Ce ne spiega il motivo?
Ho cercato di raccontare senza alcuna referenzialità, e in ogni pagina si avverte che la mia è stata un'esistenza all'insegna della sorpresa, senza alcuna pianificazione a priori. Non sono un uomo da agenda e in questa affermazione inserisco un piccola polemica. Noi dovremmo vivere la politica attraverso la nostra quotidianità cercando di realizzare aspirazioni universali con senso di responsabilità e in nome della libertà.

Quali sono i principi ai quali ha ispirato la sua vita personale e professionale?
Dal legame con la natura ho tratto la mia formazione che non può prescindere dal luogo nel quale siamo cresciuti e ci troviamo. Ho sempre messo in atto le mie facoltà critiche confrontando quotidianamente il mio pensiero con la mia vita vissuta. In quest'ottica tutti i libri del mondo non valgono quanto l'amicizia con un amico che ci apre il cuore e racconta se stesso e i suoi cambiamenti nel corso degli anni. Questa è la conoscenza vera dell'animo umano e con tale principio guida ho scritto la mia biografia. Sa che alla fine del libro quasi non mi riconoscevo? Il mio sforzo è stato proprio identificare la mia persona e farla riconoscere prima a me stesso, poi ai lettori.

Qual è la sua opinione sull'attuale stato del cinema italiano?
Il cinema sta soffrendo l'analoga crisi del vecchio sistema di comunicazioni dinanzi alla travolgente novità di Internet. La sala cinematografica appare obsoleta e superata anche perché molte tematiche sono trattate dalla tv che se ne è impossessata attraverso la fiction. E l'attenzione viene focalizzata su fatti violenti di sangue e di morte. Sembra quasi che appena si veda una scena di guerra se ne voglia fare una fiction. Naturalmente, perché la storia possa interessare, si devono toccare corde che la cronaca pura non può raggiungere. La parabola dell'orrore cresce esponenzialmente.

Quale potrebbe essere la spiegazione?
Pensiamo all'Impero Romano. Nel periodo di massima decadenza, il popolo andava all'arena per assistere a lotte che finivano quasi sempre in sbudellamenti. E lo faceva con lo stesso spirito con il quale oggi noi guardiamo scene crude e violente alla tv. Cosa può darci più brividi della violenza? Noi ci facciamo coinvolgere e diventiamo interpreti di una sorta di ambivalenza emotiva. Ad esempio pensiamo alle scene che mostrano terroristi esultanti dopo aver compiuto una strage. Ci commuoviamo per le vittime e ci ritroviamo ad essere partigiani di una parte di un'umanità in conflitto con l'altra. Purtroppo tutto oggi è diventato violenza. Persino le partite di calcio sembrano svolgersi al Circo Massimo.

Esiste una logica che giustifichi questa situazione?
La violenza deriva dal fatto che ci siamo sentiti traditi dalla felicità che abbiamo attribuito al denaro. Abbiamo creduto che diventare ricchi, uscire da millenni di povertà nei quali il popolo non aveva mai conosciuto l'abbondanza, potesse essere il toccasana in grado di risolvere tutti i problemi. Non è stato così. Al contrario, i problemi sono aumentati e si sono complicati. L'unica speranza è il ritorno ad una dimensione di vita più semplice e naturale che contempli lo sfruttamento diretto dei prodotti della terra, senza l'intervento delle multinazionali alimentari che stanno mettendo in schiavitù l'umanità.

Non le sembra un'utopia?
Un mio vecchio amico sacerdote un giorno mi disse: "attenti alle utopie, qualche volta diventano reali". Come ho scritto nel mio libro non temo di essere considerato un sentimentale, io sono un uomo di sentimenti, il che è diverso. Del resto, nella vita, se non si sono sistemati quelli, non si riesce a fare nulla.

Nel suo libro dice di aver un grande debito nei confronti di Marcello Mastroianni e di non aver mai potuto saldarlo. Ci spiega il motivo?
Per il film Il segreto del bosco vecchio, il poetico e visionario racconto di Dino Buzzati, avrei voluto che fosse Mastroianni a interpretare il personaggio del protagonista, il colonnello Procolo. Mi feci convincere dal produttore Mario Cecchi Gori ad affidare la parte a Paolo Villaggio, pur restando del parere che solo Mastroianni avrebbe potuto calarsi nelle mille sfaccettature del personaggio. Quando incontrai Marcello Mastroianni, ed era già al termine della sua vita, aveva da poco rilasciato un'intervista in cui diceva di essere finalmente pronto per girare un film con Olmi. Purtroppo era tardi, ma quella decisione mi è rimasta addosso come una colpa.

Nel libro dedica pagine molte belle alla città di Milano, ricordandone i mutamenti negli anni. Che pensa oggi della città?
Da bambino abitavo alla Bovisa, dove c'era un solo negozio che vendeva di tutto dal pane al sapone. Ricordo l'odore di quella bottega, unico, irripetibile che ho cercato invano altrove. Ricordo i rioni che circondavano il centro, ma nel giro di pochi anni li hanno massacrati, soffocandoli con palazzi e grattacieli che sfidano la Madonnina del Duomo. Però, come allora, Milano è rimasta la città dal cuore in mano. Guai se, invece del cuore, un giorno si ritrovasse in mano solo il portafoglio.

Dopo Cento chiodi aveva affermato di voler girare solo documentari. Ha mantenuto la promessa?
Certo. In questo periodo infatti sono sul set di due film-documentari. Il primo è La conservazione dell'area Falk. Seguirò i lavori di riqualificazione fino alla conclusione, quando sull'area verranno costruiti un polo sanitario e uno abitativo. Il progetto è già pronto, realizzato da Renzo Piano. Il secondo è un documentario dal titolo L'acqua e il pane di ogni giorno, che sto preparando per Expò 2015.

Le sue letture preferite?
Attualmente ho sul comodino I quattro libri di lettura di Tolstoj, scrittore che considero di livello biblico. Tra gli autori italiani preferisco quelli vissuti ai tempi della seconda guerra mondiale e dell'olocausto. L'egemonia della loro narrativa continua incontrastata ancora oggi.

L'Apocalisse è un lieto fine. Storie della mia vita e del nostro futuro
di Ermanno Olmi
edizioni Rizzoli
pagg. 264, 18 euro

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Marida Caterini.