Come si somministra un premio letterario
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Come si somministra un premio letterario

Verso la fine di quelle serate alcoliche, declinanti verso il sopore e incrudelite dai sentori acido-muschiati dei resti di un barbecue, quando ormai non c’è più niente da dire e quel che si dice è ugualmente trascurabile, mi è …Leggi tutto

Verso la fine di quelle serate alcoliche, declinanti verso il sopore e incrudelite dai sentori acido-muschiati dei resti di un barbecue, quando ormai non c’è più niente da dire e quel che si dice è ugualmente trascurabile, mi è capitato di vantarmi di una battuta, fatta da me in quell’epoca in cui il personaggio che ne è protagonista non era ancora un’intellettuale. La battuta, che non sussistendo nessuna delle condizioni sopra elencate tiro fuori oggi per uno scopo puramente retorico e per cui chiedo scusa in anticipo se dovesse offendere qualche tipo di sensibilità, era questa:

Consegnati a Las Vegas gli Oscar del porno. La statuetta per la migliore scena anale è stata tirata fuori da Sasha Grey.

Il fatto che Sasha Grey non avesse ancora scritto un libro (e che libro! E con che titolo elegante!) e che non fosse ancora diventata il nuovo feticcio di chi a un certo punto si è scoperto più interessato alla sua testa (il dramma di un’epoca, uno dei tanti segnali dell’inarrestabile androdeclino), non è irrilevante: fare oggi quella battuta, magari con riferimento a un premio letterario a cui a buon diritto il libro di Sasha Grey potrebbe partecipare, sarebbe del tutto fuori luogo se non proprio un segno di razzismo, da parte mia. Di più, sarebbe cecità letteraria: il libro è colto e furbo in egual misura, manierato ma non educato (cosa che considero un pregio), e lungi da me dire che non sembra scritto da una pornostar: mi taglierei la lingua piuttosto. Semmai, direi che non sembra scritto da una scrittrice, e lo direi come un complimento. Ma non è di questo che voglio parlare.

L’immagine di un premio che viene estratto dal vincitore, in contraddizione e anzi nell’inversione di qualsiasi regola basata sulla competizione, è per me molto rilassante, e a suo modo letteraria. L’allegria irresponsabile e la generosità a tratti folle dell’attrice, che nel libro mancano (cioè non sono stati trasferiti e incarnati nell’autrice), me l’ha data invece la lettura di un libro di J. Rodolfo Wilcock, Il reato di scrivere, un vero fiore al curaro sul cosiddetto mondo della Cultura e dell’editoria, una macchina d’acciaio e di logica al servizio dell’«impegno morale del linguaggio» e della scrittura.

È commovente come la sua durezza critica e priva di paura si metta al servizio della generosità, dell’anti-risentimento e di una specie molto smilza di ironia, come si schieri dall’altra parte di quasi tutte le mode editoriali, sia quelle degli arrivisti letterari sia dei loro critici, dei recensori che non leggono né capiscono una riga di quello che recensiscono come dei premiatori-dispensatori dei loro complessi (questi sì) anali e delle risoluzioni delle loro nature stitiche, dei geni incompresi come degli scrittori che non riescono a creare nessun mondo nonostante e contro ogni censura.

Ma è nella stupenda postfazione il nucleo, il dado da trarre definitivamente: Edoardo Camurri, che ha curato il libro, ricorda un capitolo di un altro libro di Wilcock, Frau Teleprocu, intitolato «Come si somministra il premio letterario», in cui si legge questa proposta:

«Gli autori vengono coricati ciascuno sul suo letto, su materasso un po’ duro, con la testa leggermente sopraelevata e un cuscinetto sotto il bacino, le gambe semiflesse, divaricate, la camicia tirata verso lo sterno, le gambe semicoperte. Gli autori dovranno respirare tranquillamente, rilasciare i muscoli, lasciar fare con serenità. Avranno tra le gambe una bacinella. Dopo un intervallo di consultazione, la giuria prende il premio letterario, bene lubrificato, l’inserisce improvvisamente in uno degli autori e lo spinge avanti con dolcezza. Il premio procede, in genere, senza difficoltà, per 10-12 cm.

Se si avverte una resistenza, si ritira alquanto il premio, lo si scuote leggermente e si ritorna a spingere con delicatezza, imprimendo all’autore qualche movimento di rotazione, sino alla totale premiazione. Gli altri autori possono nel frattempo rivestirsi. Dopo l’operazione, il premio letterario va accuratamente lavato, asciugato e riposto», pronto per altre avventure.

«In fin dei conti», ha ragione Camurri, «tutto questo ha a che fare con la felicità».

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Daniela Ranieri

Daniela Ranieri vive a  Roma, anche se si domanda perché ciò dovrebbe avere importanza in questa sede. Ha fatto reportage e documentari per la tv. Ha fatto anche la content manager, per dire. Vende una Olivetti del '79, quasi  nuova. Crede che prendere la carnitina senza allenarsi faccia bene uguale. Ha pubblicato il pamphlet satirico "Aristodem. Discorso sui nuovi radical chic" e il romanzo "Tutto cospira a tacere di noi" (entrambi Ponte alle Grazie) 

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