Milano in the Cage – The Movie

Milano in the Cage - The Movie: realisticamente al cinema. La recensione

Tutto dal vero: arti marziali estreme per la redenzione di un uomo perduto in un "sottosuolo" metropolitano fatto di squallore, violenza e solitudini

I sotterranei d’Italia. Che non sono quelli della Frisco raccontata da Kerouac ma transitano ugualmente nel sottosuolo della vita, invisibili e scuri. Magari ipertatuati come Alberto, detto Al (Alberto Lato), protagonista di Milano in the Cage – The Movie (in sala dal 25 maggio) di Fabio Bastianello, cineasta e creativo molto versatile cui si deve il ruvido, aspro e discusso Secondo tempo (2010), pianosequenza di 105 minuti tutto in diretta sul mondo ultrà del calcio torinese.

Le tenebre e la dannazione
Da Torino a Milano, comunque, il passaggio non è meno tosto. Non c’è il football dello stadio e la scena, anzi, è assai peggiore. Lo sport s’affaccia con la boxe e, nel finale, con le arti marziali più estreme; ma in mezzo, interamente dal vero o quasi, l’esistenza di Al rumina desolazione e sordidezza, immersa nelle tenebre e nella dannazione.

Egli è ancora giovane, ma invecchiato sotto il peso dell’ostilità metropolitana in una città dalla superficie ricca, alacre e zelante ma dal sottosuolo rovinoso e sgangherato. Fa il pugile, la guardia del corpo, il buttafuori in un rivoltante mondo discotecaio dove gira la droga “che non è più quella di una volta” e turbinano frasi del tipo “dove lo trovi un altro posto come Milano con tutti questi sfigati che spendono un sacco di soldi ogni sera per strafarsi?”.

Dopo aver toccato il fondo
E giù così, tra un amico pusher, entourage e traffico di prostituzione, malavitosi d‘ogni risma in un circolo dove Alberto, pure di sentirsi qualcuno, diventa protagonista. Toccando quel classico fondo dal quale tenta di risalire, còlto da un soprassalto d’umanità e di responsabilità: glie lo impone la sua coscienza di padre assente dalla vita di un figlio che quasi non conosce e che, adesso, vuole recuperare con tutte le sue forze.

Impiegandole, quelle energie, anche fisiche, nella radicale disciplina delle arti marziali miste (nota come MMA, Mixed Martial Arts), cioè quello sport dov’è ammesso – con le sue regole – un po’ di tutto mescolando lotta e percussione (lo allena e lo guida Max Greco, campione mondiale ed europeo di Kick Boxing). Una prova che per lui diventa strumento di riscatto sociale, culminando nel combattimento finale del torneo Milano in the Cage cui partecipa offrendo alla storia un epilogo di forte tensione.

Senza finzione la lotta nella “gabbia”
The cage, la gabbia, appunto. Con otto lati, quante sono le porte di Milano. Dentro la quale si svolge drammaticamente, tutta live, tutta dal vero e “senza copione” la lotta conclusiva, tanto reale quanto simbolica perché a suo modo rappresenta il conflitto di Al contro il suo stesso passato oltre ad essere la classica fune cui uno si aggrappa per risalire dal precipizio.

Violento e feroce, il film si esprime attraverso un realismo fattuale con venature neo-iper: semplicemente riprendendo e documentando in contemporanea ciò che la scena, quasi spontaneamente, offre alla macchina da presa. Non sottraendosi, certo, alla ricomposizione di una parte del tracciato biografico del protagonista, della sua discesa agli inferi e della sua aspirazione alla risalita; ma facendo in modo che, anche nei passaggi di inevitabile “finzione”, la verità del racconto non venga meno, offrendo anzi alla storia e al suo personaggio-guida (e ad altri “attori” presi, come si diceva una volta, “dalla strada”) l’opportunità (e il merito) di esprimersi con una recitazione totalmente nature,  senza mediazioni e sovrastrutture.

Il gusto della sperimentazione
Non c’è che dire. Il regista ha scovato un figura drammaticamente avvincente, infilandosi in un contesto cinematografico che ha il gusto un po’ antico della ricerca, della “militanza” e della sperimentazione.

Un underground milanese di vocazione documentaristica e, al tempo stesso, di attenzione al rapporto fra la realtà documentaria (e documentabile) e la sua interpretazione. Che, qua, con coca e tatuaggi, ombre e terrore, trasmette sensazioni oppressive istigando a necessarie riflessioni sociali. La lettura del rovinoso andare di Al e lo sguardo sulla sua vita si riproducono in un colore quasi completamente desaturato fra gente stracciata e sfatta, solitudine e squallore, parolacce e anabolizzanti, oscurità torbida e fumante.

Un ampio capitolo musicale
Su questo palcoscenico si abbatte, non spiacevolmente, una dose massiva di musica. Con una trentina di tracce (non estese) ondeggianti tra l’hard rock metal dei Fake Idols, la voce del compianto Dr. Feelx, il rock rivisitato dei Panicles e quello pop-alternative di Omar Pedrini, il progressive / metal degli Overnuit Machine, il rap del Sopravvissuto di Ion promosso a leitmotiv del film.

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Ovrall Pictures distribuzione, Ufficio stampa film Studio Vezzoli R-evolution Alessandra Vezzoli e Mariapaola Romeri
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