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Ansa
Calcio

Milan, le ragioni dell'addio tra Maldini e Cardinale

Gli attriti con le proprietà, un carattere difficile e la fatica a calarsi nel ruolo di dirigente: ecco come si è consumato, episodio dopo episodio, il rapporto di Paolo con Elliott (prima) e Cardinale (poi). Fino al clamoroso epilogo

Non deve sorprendere che la storia tra Paolo Maldini e il MIlan a stelle e strisce sia finita. Questione di caratteri e visioni, inconciliabili le seconde mentre sulle prime il barometro di Casa Milan segnava meno tempesta rispetto alla scorsa stagione, quella delle frizioni con l'allora ad Ivan Gazidis e di un rapporto umano mai decollato veramente. La verità è che il dirigente che è stato leggenda del club e la proprietà che ha raccolto il testimone da Elliott parlavano e parlano due lingue diverse e che, venuto meno il collane dello scudetto vinto un anno fa a sorpresa, questa distanza è diventata insuperabile.

L'incontro tra Gerry Cardinale e Paolo Maldini ha solo sancito la necessità di uno strappo. Le modalità devono essere il più possibile rispettose della storia di un uomo che porta il cognome e il palmarés del capitano di mille battaglie, ma nella sostanza si è trattato della presa d'atto che on c'era le basi per proseguire insieme. A fare da detonatore la questione dell'autonomia rivendicata dal direttore dell'area tecnica e che nel giugno 2022 aveva prolungato all'infinito la trattativa per il rinnovo del contratto, con firma arrivata in extremis. Siccome il mercato successivo ha dato poco o nulla alla squadra di Pioli, potendosi giudicare al momento fallimentare, ecco che Cardinale ha chiesto di tornare a un modello condiviso nel quale lui crede molto e che, invece, non è quello che aveva in testa Maldini.

Tutto i l resto viene dopo: le recriminazioni sui 50 milioni investiti a vuoto nel 2022, i risultati non brillanti di una stagione che si è chiusa con il pass per la Champions League solo per (dis)grazia altrui, il ruolo di Pioli e anche le uscite pubbliche di Maldini che quasi mai sono piaciute alla proprietà. Anche e soprattutto quella dello scorso 16 maggio a caldo, dopo l'eliminazione per mano dell'Inter nella semifinale europea.

Il dirigente aveva parlato quasi da osservatore esterno chiedendo a RedBird investimenti per crescere, riaprendo il tema della scelta di De Ketelaere e del mancato arrivo di Dybala. Smontando pezzo per pezzo una filosofia di calcio che per Cardinale rimane invece centrale. Non basta aver rimesso a posto i conti del Milan, primo attivo dopo secoli e dopo gli anni terribili della parentesi di Li e del Covid: per RedBird questo è solo il primo passo per rendere l'investimento nel calcio un business. Per Maldini serviva allungare il passo e spendere per tentare il salto di qualità.

A Maldini viene anche contestata la difficoltà a calarsi a pieno nel ruolo di manager. Non è un problema di competenze, anzi, ma di atteggiamenti. E di parole dette o non dette. Si torna ai rapporti e a quella frattura difficile da sanare, un solco che si è approfondito con il passare dei mesi fino ad arrivare all'epilogo.

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Giovanni Capuano