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Calcio

Il processo Juventus a Roma conferma che la giustizia sportiva così non funziona

La Cassazione dichiara l'incompetenza territoriale di Torino. E' una vittoria delle difese ma il procedimento ordinario sarà lungo mentre quello sportivo ha già consumato tutto. E la sua sentenza...

Il processo alla Juventus si sposta da Torino a Roma, lo fa per ordine della Corte di Cassazione che ha accolto i rilievi dei legali del club e degli altri indagati. Un colpo di scena solo parziale, visto che già il procuratore generale si era espresso per la mancanza di competenza territoriale torinese, solo ipotizzando lo spostamento a Milano (sede della Borsa) e non a Roma dove allocano i server del sistema che gestisce le informazioni al pubblico. Roma o Milano, dal punto di vista del quadro generale cambia poco. La sintesi è che aveva ragione la Juventus quando nel maggio 2021 aveva già sollevato la questione di competenza territoriale, senza che fosse lasciato tempo per una pronuncia sul ricorso. Si era allora ancora nella fase delle indagini preliminari, prima che la chiusura disposta dalla Procura di Torino cristallizzasse le decine di migliaia di pagine dell'inchiesta Prisma portandole davanti al GUP e mettendole nella disposizione della giustizia sportiva.

Ci sono due piani da tenere in considerazione. Dal punto di vista del procedimento ordinario l'accertamento della mancata competenza territoriale torinese non mina la legittimità del lavoro svolto dai pm Mario Bendoni, Marco Gianoglio e Ciro Santoriello, poi messosi da parte per le imbarazzanti frasi anti-juventine pronunciate nei mesi precedenti: le carte Prisma restano valide e sarà un nuovo pool della Procura di Roma a vagliarle e a decidere che impostazione dare all'eventuale nuova richiesta di rinvio a giudizio. Cosa tenere e cosa tagliare, insomma, laddove a Torino l'intero corpo veniva considerato "pistola fumante" di una serie di reati gravissimi. Si allungano i tempi, si conferma che un procedimento ordinario è costruito su una rete di diritti e doveri bilanciati tra accusa e difesa, a maggior ragione quando l'oggetto del contendere è materia tecnica e scivolosa come i bilanci di un'azienda da oltre mezzo miliardo di fatturato quotata in Borsa.

C'è, però, il secondo livello da considerare ed è quello che più interessa milioni di tifosi. Dato per assodato che i tempi della giustizia sportiva non possono essere quelli della giustizia ordinaria, è evidente che tutte le volte che i magistrati torinesi hanno portato l'inchiesta Prisma davanti a un giudice ne sono usciti sconfitti. E' accaduto nel rifiuto a concedere misure cautelari per l'ex presidente Andrea Agnelli, nella valutazione fatta da Procura e Gip di Bologna a proposito delle carte legate all'affare Orsolini (ritenute a Bologna non sufficienti per configurare un falso in bilancio nemmeno in ipotesi) e ora davanti alla Corte di Cassazione.

Eppure quei faldoni sono diventati non solo materiale d'accusa ma prova accertata a prescindere nei passaggi davanti ai diversi tribunali federali, fino alla conclusione di una pena che nel suo complesso è costata alla Juventus quasi 100 milioni di euro di danni. Udienze velocissime, dibattito compresso all'inverosimile, poca o nessuna analisi periziale delle carte ereditate da Torino: questo l'ecosistema in cui si è celebrato il processo sportivo alla Juventus e ai suoi (ex) dirigenti. Il tutto immerso nel clamore dell'opinione pubblica alimentato dalla lettura di brogliacci di intercettazioni che sempre e comunque altro non sono stato che la ricostruzione di una parte, l'accusa dei pm di Torino, nemmeno ancora passata al vaglio di un giudice.

E' questo il vulnus della vicenda sportiva. In un calcio sempre più business e sempre meno sport, la sensazione è che quando ci si trova a misurarsi con presunti reati di carattere finanziario non ci si possa più permettere la compressione di tempi e modi che ha caratterizzato gli ultimi cinquant'anni. Non può esistere una forbice così larga tra l'accuratezza di un processo ordinario e la sbrigativa superficialità di quello sportivo. Se il tema sono analisi e interpretazioni finanziarie, è difficile accettare per giusto che non esista per principio confronto tecnico e che la ricostruzione dell'accusa - copia e incolla - diventi la prova per emettere una sentenza.

A lato un'ultima riflessione: nella sessione di calciomercato appena conclusa gli accordi tra società per venirsi incontro, anticipare o ritardare operazioni sui giovani per questioni di bilancio, plusvalenze e così via si sono riproposte con regolarità. Nessuno ha alzato un dito per eccepire. Al netto della vicenda Juventus, se non si comprende che questo andazzo rappresenta un rischio strutturale per la tenuta di tutto il sistema significa che nei mesi scorsi si è solo pensato a punire qualcuno, aspettare chissà cosa su altri (se le valutazioni delle altre procure saranno simili a quella di Bologna) e passare oltre. Un lusso che il calcio italiano non si può permettere.

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Giovanni Capuano