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Politica

L’immigrazione non può salvare questo paese

Purtroppo ripresa economica ed equilibrio delle pensioni non dipendono dall’impiego di stranieri. Che, in molti casi, ha un effetto opposto.

Non credo che gli immigrati ci pagheranno le pensioni. Non credo che gli immigrati faranno scendere il debito pubblico. Anche se queste frasi ormai vengono ripetute a manetta, non ci credo. Anzi, non ci credo proprio perché vengono ripetute a manetta a tal punto che non sono nemmeno più frasi: sono formule magiche, dogmi della fede da cui è praticamente impossibile dissociarsi. Persino il governo di Giorgia Meloni, nel suo primo Def, documento di programmazione economica, inserisce a pagina 124 una tabella per dimostrare che l’aumento degli immigrati porterà a una riduzione del debito pubblico. Eppure la stessa leader di Fratelli d’Italia, negli anni passati, criticava documenti simili, dicendo che era offensivo che il governo pensasse di risolvere i problemi economici con l’immigrazione, e che bisognava prima preoccuparsi di lavoratori italiani e natalità. Che cos’è cambiato?

Sarò grillo parlante, sarò fuori dal coro, ma continuo a pensare che l’unico modo per ridurre il debito pubblico sia rilanciare l’economia abbassando le tasse. E non trasformando il Paese di un bivacco di sfaccendati. Vi sembro bizzarro? Eppure i dati sono abbastanza chiari: solo il 30 per cento degli stranieri presenti in Italia versa regolarmente tasse e contributi. Il 30 per cento. Per altro quel 30 per cento dichiara redditi medi di 12.700 euro l’anno, cioè meno della metà di un lavoratore italiano. E con questo dovremmo ripianare il debito pubblico? Pagare le pensioni degli italiani? Risanare le casse dello Stato? Ma qualcuno ci può credere davvero? Senza contare che, pur apportando in media meno contributi all’erario, gli immigrati pesano eccome su di esso: secondo i calcoli di Alberto Brambilla, grandissimo esperto di previdenza e conti pubblici, per gli immigrati spendiamo oltre 30 miliardi fra assistenza sanitaria, istruzione e altro. Quasi il doppio di quanto essi pagano di tasse (16-17 miliardi di euro).

Ergo: gli immigrati ci costano almeno 13-14 miliardi di euro l’anno. Eppure noi sentiamo ripetere continuamente come se fosse una verità rivelata che sono la nostra salvezza. Che riducono il debito pubblico. Che pagano le pensioni. Come mai? Semplice: perché è vero che gli immigrati servono all’economia. Sono fondamentali. Ma non per pagare le pensioni né per ridurre il debito pubblico: sono fondamentali per abbassare gli stipendi. Non mi stancherò di ripeterlo: è per questo che c’è tanto interesse al loro arrivo. Perché la concorrenza di manodopera a basso costo, più o meno regolare, costringe tutti i lavoratori ad abbassare la testa. Non è un caso se i salari continuano a diminuire mentre le aziende europee realizzano profitti record, tanto da stupire persino la Banca centrale europea.

Credo di averlo già scritto, ma lo ripeto: se qualcuno ha qualche dubbio in merito vada a Monfalcone, in provincia di Gorizia. Bisognerebbe organizzare gite con i pullman, bisognerebbe portare là editorialisti e pseudoeconomisti. Così possono vedere con i loro occhi a che cosa servono gli immigrati. Non a ridurre il debito. Ma a ridurre gli stipendi. E la sicurezza del lavoro. E le garanzie degli operai. Un tempo l’operaio dei cantieri navali di Monfalcone era tutelato, orgoglioso, giustamente retribuito. Faceva parte di una certa aristocrazia lavorativa. Adesso, andate a vedere: i lavoratori dei cantieri sono tutti stranieri, per lo più bengalesi, riuniti in cooperative che subaffittano il lavoro ad altre cooperative e così via in una catena al ribasso. Stipendi miseri e meno garanzie. Ecco a cosa serve l’immigrazione.

Si è fatta tanta polemica sull’espressione «sostituzione etnica», come se a pronunciare queste parole ci si iscrivesse immediatamente al partito della difesa della razza. Ma la razza non c’entra niente. C’entra la sostituzione di bambini nati in Italia con persone di un’altra etnia. È quello che pacificamente sta avvenendo. È quello che apertamente auspicano tutti i paladini dell’immigrazione. Se uno sostiene a spada tratta che per mantenere vivo un Paese in cui non nascono più bambini non bisogna aumentare le nascite ma aumentare gli immigrati, che cosa sta sostenendo? Proprio quello: la «sostituzione etnica». L’espressione non piace? Chiamiamola Paperina, Minnie o Adalberta , non importa. Ma sempre di quella roba lì si tratta.

E la cosa che colpisce più di tutti è che a sostenere questa sost…, pardon: questa Adalberta nell’interesse della finanza e della grande industria sono proprio coloro che dovrebbero per statuto e missione difendere i lavoratori. E che invece assistono al loro impoverimento, al loro progressivo ridursi alla miseria, continuando a ripetere come un mantra gli slogan che van di moda: gli immigrati ti pagheranno la pensione, gli immigrati ridurranno il debito pubblico... Poi non si stupiscano se quelli li mandano a stendere. n © riproduzione riservata

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Mario Giordano

(Alessandria, 1966). Ha incominciato a denunciare scandali all'inizio della sua carriera (il primo libro s'intitolava Silenzio, si ruba) e non s'è ancora stancato. Purtroppo neppure gli altri si sono stancati di rubare. Ha diretto Studio Aperto, Il Giornale, l'all news di Mediaset Tgcom24 e ora il Tg4. Sposato, ha quattro figli che sono il miglior allenamento per questo giornale. Infatti ogni sera gli dicono: «Papà, dicci la verità». Provate voi a mentire.

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